Sono un paria. Questo è il risultato principale del mio lavoro giornalistico
negli anni della seconda guerra cecena e dell'aver pubblicato all'estero
alcuni libri sulla vita in Russia e sulla guerra cecena. A Mosca non mi
invitano alle conferenze stampa né alle riunioni alle quali siano presenti
personalità del Cremlino, perché non pensino che gli organizzatori covano
simpatie nei miei confronti. Nonostante questo, tutti i più alti
rappresentanti del governo mi parlano, se interpellati, quando scrivo i miei
articoli o faccio delle inchieste, ma solo segretamente, dove non possono
essere visti: all'aperto, in qualche piazza, in case sicure alle quali
arriviamo prendendo strade diverse, come spie. Agli alti dirigenti piace
parlare con me. Sono felici di darmi delle informazioni. Mi incontrano e mi
raccontano quello che succede ai vertici. Ma solo in segreto.
A questo non ci si abitua, ma si impara a conviverci. È esattamente così che
ho dovuto lavorare durante la seconda guerra cecena. Mi nascondevo
dall'esercito federale russo, ma ero sempre in grado di entrare in contatto
clandestinamente con le singole persone attraverso intermediari di fiducia,
così che i miei informatori non corressero il rischio di essere denunciati
ai generali.
Quando il progetto di cecenizzazione di Putin ebbe successo (facendo sì che
i ceceni "buoni" leali al governo uccidessero quelli "cattivi" che vi si
opponevano), ricorsi allo stesso sotterfugio per parlare con gli ufficiali
ceceni "buoni", che naturalmente conoscevo da molto tempo e che prima di
diventare "buoni" mi avevano accolto nelle loro case nei mesi più difficili
della guerra. Adesso possiamo incontrarci solo clandestinamente perché sono
un paria, un nemico. Anzi, un nemico incorreggibile che non si presta a
essere rieducato.
Non sto scherzando. Tempo fa Vladislav Surkov, vice presidente
dell'amministrazione presidenziale, ha spiegato che esistono dei nemici che
possono essere ricondotti alla ragione e nemici incorreggibili con i quali
ragionare è impossibile e che devono essere semplicemente "epurati"
dall'arena politica.
E così stanno cercando di togliere di mezzo me e altri come me.
Il 5 agosto del 2006 mi trovavo in mezzo a una folla di donne nella piccola
piazza di Kurčaloj, un polveroso villaggio ceceno. Indossavo sulla testa una
sciarpa ripiegata e annodata come fanno molte donne della mia età in Cecenia,
senza coprire completamente il capo ma anche senza lasciarlo scoperto. Era
essenziale che mantenessi l'anonimato, altrimenti chissà cosa sarebbe
successo.
Su un lato della piazza, sulla tubazione del gas che attraversa tutto il
villaggio di Kurčaloj, erano stesi dei pantaloni di tuta maschili,
imbrattati di sangue. Allora era già stata portata via la testa mozzata
dell'uomo, che non vidi.
Nella notte tra il 27 e il 28 di luglio alla periferia di Kurčaloj due
combattenti ceceni erano caduti in un'imboscata tesa loro dalle unità di
Ramzan Kadyrov, leader amico del Cremlino. Uno, Adam Badaev, era stato
catturato, mentre l'altro, Hoj-Ahmed Dušaev, di Kurčaloj, era stato ucciso.
Verso l'alba una ventina di macchine Žiguli, piene di uomini armati,
entrarono nel villaggio e andarono alla stazione di polizia. Avevano con sé
la testa di Dušaev. Due di loro la appesero. Sotto stesero i pantaloni
insanguinati che ora stavo vedendo.
Gli uomini armati passarono due ore a fotografare la testa con i cellulari.
La testa rimase lì per 24 ore, poi i miliziani la portarono via ma
lasciarono i pantaloni dove stavano. Gli agenti dell'ufficio del procuratore
generale cominciarono a ispezionare la scena dello scontro e la gente del
posto sentì uno degli ufficiali chiedere a un sottoposto: "Hanno finito di
ricucire la testa?".
Il corpo di Dušaev, con la testa ricucita al suo posto, fu portato sul luogo
dell'imboscata e gli agenti del procuratore generale cominciarono a
esaminare la scena del crimine seguendo le normali procedure investigative.
Scrissi di questo sul mio giornale, astenendomi dal commentare e limitandomi
a mettere un po' di puntini sulle "i" a proposito di quello che era
successo. Arrivai in Cecenia quando uscì l'articolo sul giornale. Le donne
nella folla cercarono di nascondermi perché erano sicure che gli uomini di
Kadyrov mi avrebbero uccisa sul posto se avessero saputo che mi trovavo lì.
Mi ricordarono che Kadyrov aveva pubblicamente giurato di uccidermi. Durante
una riunione del suo governo aveva detto che ne aveva abbastanza, e che la
Politkovskaja era condannata. Me l'avevano riferito membri di quello stesso
governo.
Perché? Perché non scrivevo quello che voleva Kadyrov? "Chiunque non sia dei
nostri è un nemico". Così ha detto Surkov, e Surkov è il principale
sostenitore di Ramzan Kadyrov nella cerchia di Putin.
"Ramzan mi ha detto, 'È così stupida da non conoscere il valore del denaro.
Le ho offerto dei soldi ma non li ha presi'", mi raccontò quello stesso
giorno un vecchio conoscente, un alto ufficiale delle forze speciali della
milizia. Lo avevo incontrato in segreto. Essendo "uno dei nostri",
diversamente da me, avrebbe avuto dei problemi se ci avessero visti insieme.
Quando venne l'ora di andarmene era già sera, e insistette perché mi
fermassi in quel luogo sicuro. Temeva che potessero uccidermi.
"Non devi uscire", mi disse. "Ramzan è infuriato con te".
Decisi di andarmene comunque. Quella notte mi aspettavano a Groznij per un
altro colloquio segreto. Propose di farmici accompagnare con un'auto della
milizia, ma mi sembrò ancora più rischioso. A quel punto sarei diventata un
bersaglio per i combattenti.
"Sono almeno armati, là dove stai andando?", domandò ansiosamente. Durante
tutta la guerra mi ero sempre trovata tra due fuochi. Quando qualcuno
minaccia di ucciderti sei protetto dai suoi nemici, ma domani il pericolo
verrà da qualcun altro.
Perché corro tutti questi rischi? Solo per spiegare che la gente in Cecenia
ha paura per me, e lo trovo molto commovente. Hanno paura per me più di
quanto ne abbia io, ed è così che sopravvivo.
Perché Ramzan ha giurato di uccidermi? Una volta lo intervistai e mandai in
stampa l'intervista esattamente come l'aveva rilasciata, con la sua tipica
stupidità da idiota, con la sua ignoranza e le sue inclinazioni diaboliche.
Ramzan era convinto che l'avrei riscritta completamente, presentandolo come
un uomo intelligente e onesto. Dopotutto così si comporta oggi la
maggioranza dei giornalisti, quelli che "stanno dalla nostra parte".
È abbastanza perché qualcuno giuri di ucciderti? La risposta è semplice
quanto la morale personalmente incoraggiata da Putin. "Siamo spietati con i
nemici del Reich". "Chi non è con noi è contro di noi". "Coloro che sono
contro di noi devono essere annientati".
"Perché te la prendi tanto per quella testa mozzata?", mi chiede Vasilij
Pančenkov quando ritorno a Mosca. Dirige l'ufficio stampa delle truppe del
Ministero degli Interni, ma è una brava persona. "Non hai niente di meglio
di cui preoccuparti?". Gli sto chiedendo di commentare i fatti di Kurčaloj
per il nostro giornale. "Scordatelo. Fingi che non sia mai successo. Te lo
dico per il tuo bene!".
Ma come posso dimenticarlo, se è successo?
Disprezzo la linea del Cremlino elaborata da Surkov, che divide le persone
tra coloro che stano "dalla nostra parte", "non dalla nostra parte" o
perfino "dall'altra parte". Se un giornalista è "dalla nostra parte",
riceverà premi e rispetto, forse anche un invito a candidarsi alla Duma. Se
un giornalista "non è dalla nostra parte", invece, sarà considerato un
sostenitore delle democrazie europee, dei valori europei e diventerà
automaticamente un paria. È il destino di tutti quelli che si oppongono alla
nostra "democrazia sovrana", alla nostra "tradizionale democrazia russa".
(Cosa mai sia, non lo sa nessuno, eppure giurano di esserle fedeli: "Siamo
per la democrazia sovrana!")
Non sono un animale politico. Non ho mai aderito a un partito e lo
considererei uno sbaglio per un giornalista, almeno in Russia. Non ho mai
sentito il bisogno di candidarmi alla Duma, anche se in passato sono stata
invitata a farlo.
Dunque quale crimine mi ha meritato questa etichetta di "non una dei
nostri"? Mi sono limitata a riferire quello che ho visto, niente di più. Ho
scritto e, meno frequentemente, ho parlato. Sono perfino riluttante a
commentare, perché mi ricorda le opinioni impostemi durante la mia infanzia
e la mia giovinezza sovietiche. Mi sembra che i nostri lettori siano capaci
di interpretare da soli quello che leggono. Ecco perché il mio genere è il
reportage, con limitati interventi personali. Non sono un magistrato ma
qualcuno che descrive la vita che ci circonda per coloro che non riescono a
vederla con i loro occhi, perché quello che viene mostrato alla televisione
e di cui scrive la schiacciante maggioranza dei giornali è ammorbidito e
indebolito dall'ideologia. Le persone sanno molto poco di quello che succede
in altre parti del loro paese, a volte perfino nella loro regione.
Il Cremlino reagisce cercando di bloccarmi l'accesso alle informazioni: i
suoi ideologi suppongono che sia il modo migliore per rendere inoffensivo
quello che scrivo. Però è impossibile fermare qualcuno fanaticamente dedito
alla professione di raccontare il mondo che ci circonda. La mia vita può
essere difficile, più spesso umiliante. A 47 anni non sono, dopotutto, così
giovane da accettare di imbattermi costantemente nei rifiuti e di farmi
sbattere in faccia la mia condizione di paria. Però posso conviverci.
Non voglio dilungarmi sulle altre gioie della strada che ho scelto:
l'avvelenamento, gli arresti, le lettere e le e-mail minatorie, le minacce
di morte al telefono, il fatto che mi convochino ogni settimana nell'ufficio
del procuratore generale per firmare dichiarazioni praticamente su tutti gli
articoli che scrivo (la prima domanda è sempre: "Come ha ottenuto questa
informazione?"). Ovviamente non mi piacciono gli articoli costantemente
derisori che appaiono su altri giornali e su siti internet che mi hanno a
lungo presentata come la pazza di Mosca. Trovo disgustoso vivere così; mi
piacerebbe ricevere un po' più di comprensione.
La cosa più importante, però, è continuare il mio lavoro, descrivere la vita
che vedo, ricevere tutti i giorni in redazione persone che non hanno un
altro luogo in cui portare i loro guai perché il Cremlino trova le loro
storie inopportune, e così il solo luogo che può dar loro voce è il nostro
giornale, la Novaja Gazeta.
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posted by mirumir at
10/16/2006 09:55:00 AM
Archivio Politkovskaja07/10/2006 Archivio Politkovskaja
Comunque il giorno fatidico è arrivato e la giornalista Anna...
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