LA SLAVISTA ANNA RAFFETTO
RICORDA LA GIORNALISTA UCCISA: «ERA UNA MORALISTA E AVEVA IL CORAGGIO DI
NON NASCONDERLO»
«Se Putin avesse detto chiaramente “Datele fastidio, ma non fatele del
male perché la sua presenza mi è utile per dimostrare al mondo che in
Russia non ci sono problemi con la libertà di stampa”, non sarebbe
successo quello che è successo». A Torino Anna Raffetto, slavista, che
ha curato per l’Adelphi la pubblicazione in Italia del coraggioso libro
della Politkovskaja, «La Russia di Putin», continua a chiedersi il
perché di questa morte tragica e sconvolgente: «Non pensavo che finisse
così», La Raffetto ha conosciuto e si è guadagnata l’amicizia della
giornalista vincendo la diffidenza di una donna che sapeva di essere nel
mirino. «Quando ci siamo conosciute meglio mi aveva raccontato delle
precauzioni quotidiane che prendeva: ogni mattina nel garage esaminava
il fondo dell’automobile per vedere se non fosse stato piazzato un
ordigno, limitava al massimo i contatti, stava molto attenta alle
persone che veniva a conoscere».
Particolari che la reporter raccontava con tono dimesso, «quasi con
pudore». Non una giornalista-star, quella donna di 48 anni con lo
sguardo sempre serio dietro gli occhiali e la voce tranquilla, che
sembrava più una professoressa che un’intrepida inviata di guerra. «Non
si metteva mai in posa, aveva una grande sobrietà, faceva cose grandiose
e le raccontava come se non ne fosse stata protagonista», ricorda la
Raffetto. Una questione di stile naturale, ma anche, forse, una reazione
inevitabile: «Le cose che raccontava erano talmente terribili che non
restava che narrarle senza esaltazione».
Ma c’era sempre la passione, quasi una missione: «Una volta le dissi:
hai fatto abbastanza, vieni via dalla Russia, rifugiati all’estero». La
Politkovskaja rispose: «Ho delle persone da difendere, non posso farlo
se non sto nel mio Paese». Era conscia dei rischi che correva, del
destino che l’aspettava: «Ne parlava con una serenità malinconica, come
di un percorso segnato da cui non si può deviare». Una visione del
proprio dovere ereditata dalle migliori tradizioni dell’intellighenzia
russa, che a molti sembrava ormai sorpassata: la casa editrice inglese
aveva, per esempio, operato un editing sul suo libro, rendendolo più
stringato. Ma l’Adelphi si è attenuta alla versione originale, con tutta
la passione e la rabbia della Politkovskaja: «Era una moralista e aveva
il coraggio di non nasconderlo», dice la Raffetto.
Perfino i nemici moscoviti della giornalista oggi riconoscono che
credeva nelle cose che scriveva, graziandola dell’accusa di essere
«venduta». La sua amica torinese la ricorda come una persona «veramente
nobile, come ce ne sono poche, averla conosciuta è stata una festa».
Aver saputo della sua fine, un dolore. «Avrebbe dovuto prendere una
guardia del corpo», dice Anna Raffetto e si interrompe: «Sarebbe stato
inutile». Una volta chiese alla Politkovskaja come avrebbe potuto
aiutarla, ed ebbe la risposta: «Pubblicando le cose che scrivo, dandomi
la voce».
Anna Zafesova
Fonte: www.lastampa.it
10.09.06
Archivio Politkovskaja07/10/2006 Archivio Politkovskaja
Comunque il giorno fatidico è arrivato e la giornalista Anna...
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