E’ stata un’esecuzione annunciata quella di Anna Politkovskaja, la
giornalista russa che aveva dichiarato guerra al Cremlino, a Putin e
a quei generali colpevoli del genocidio in Cecenia. L’hanno fatta
fuori, a Mosca, sull’ingresso del suo condominio perché era stata
scomodo testimone di un conflitto epocale tra la Grozny
dell’indipendenza e la Mosca dell’autoritarismo e della
sopraffazione. Ora si scopre anche che aveva previsto tutto. Aveva
scoperto e rese note le regole di una guerra particolare sul fronte
del Caucaso, ma soprattutto nelle retrovie del mondo dei servizi
segreti. E così questa eterna ragazza di 47 anni e due figli - che
teneva stretti i suoi occhiali da miope mentre correva tra le valli
cecene – si era preparata alla fine. Sapeva che l’intelligence del
Cremlino non poteva perdonarla. Era troppo invadente, nota,
coraggiosa e dura nei confronti dei mastini di quel ministero della
Difesa che lei chiamava ministero della Guerra.
Aveva già conosciuto la repressione nei suoi confronti, ma nello
stesso tempo aveva cercato ostinatamente di svolgere un ruolo di
mediazione tra la guerriglia cecena e le truppe di Mosca. Combatteva
la sua guerra scrivendo e denunciando. Lo testimoniano quelle
corrispondenze dal fronte caratterizzate da notizie impietose di
scontri, attentati, bombardamenti e raid. Tutto con stile freddo,
toccante. Ma aveva annunciato – con notevole anticipo – anche la
storia della sua fine.
Lo aveva fatto, con spirito critico, in uno dei suoi ultimi
reportage. Una sorta di lapide. Perché aveva detto di non escludere
che un bel giorno un suo articolo non sarebbe stato pubblicato.
Sarebbe finito, come la sua vita, in un cestino. Sicuramente sapeva
di aver messo le mani su qualcosa che scottava. E Dimitri Muratov,
il direttore del quotidiano Novaia Gazeta dove Anna
Politkovskaja scriveva regolarmente, ha voluto subito annunciare che
l'omicidio "sembra essere una punizione per i suoi articoli".
Si sa ora che il giornale stava per pubblicare nuove rivelazioni su
episodi di corruzione in seno al ministero della Difesa e del
contingente russo in Cecenia. Ma la giornalista aveva anche nemici
fra i guerriglieri i quali non le perdonavano i continui riferimenti
al traffico di armi tra l’opposizione cecena e le forze russe. Nei
suoi reportage raccontava, infatti, di soldati che rubavano
munizioni e armi dalle basi militari.
Riferiva sempre, con precise documentazioni, il giro di affari e le
tecniche usate per il commercio clandestino e forniva il costo delle
operazioni: un dollaro per 10 proiettili di mitra, 10 dollari per il
caricatore delle pistole Makarov; mitra da 400 dollari in su. Con un
kalashnikov che poteva costare fino a mille dollari e le mine russe
vendute dai soldati per 500 dollari. Ecco, quindi, che Anna
Politkovskaja era malvista da quanti navigavano nel mercato nero
delle armi.
Personaggio scomodo: così era definita a Grozny e a Mosca.
Di lei restano le cose che ha scritto. Restano quei premi che si era
conquistata in patria ("Penna d'oro", l'equivalente del Pulitzer) e
all’estero. Nel febbraio del 2003 in Danimarca aveva ricevuto un
riconoscimento ufficiale per l’impegno giornalistico e per
l’attività in favore della democrazia nel Caucaso. Nel 2004 era
stata insignita con il premio intitolato all'ex premier svedese Olaf
Palme in quanto "simbolo della lunga battaglia per i diritti umani
in Russia"… Non aveva sponsor e partiti alle spalle. Aveva fatto
dell’indipendenza di giudizio la sua arma preferita.
Nei suoi scritti aveva sempre parlato delle pesanti violazioni del
Cremlino in riferimento agli articoli 3 e 4 della Convenzione di
Ginevra, compiute durante le azioni repressive e intralciando – di
conseguenza - il lavoro della Croce Rossa Internazionale nell’area
di conflitto.
Aveva denunciato le sistematiche violazioni delle leggi di guerra da
parte delle forze federali contribuendo ad “arricchire” - con
drammatiche documentazioni - i pur circostanziati rapporti di
Human Rights Watch. Riferiva sempre di bombardamenti e
cannoneggiamenti di centri abitati e di distruzioni immotivate e
rappresaglie contro i civili. E negli ultimi tempi aveva esteso il
raggio delle sue inchieste anche ad una nuova attività messa in atto
dall’intelligence di Putin. Una delicatissima operazione di ascolto
e controllo dell’intera popolazione. Un piano denominato “Sorm2” -
una versione russa di “Echelon” – organizzato dal Goskomsvyaz
(Comitato statale per le comunicazioni) in collaborazione con il Kgb
con il compito di intercettare i messaggi di posta elettronica in
Cecenia. Si parla, in proposito, di centinaia di "black box" che,
analogamente a quelle installate a bordo degli aerei, sarebbero
capaci di registrare tutte le attività che hanno luogo in Internet.
Anna Politkovskaja, dal fronte della Cecenia, aveva così alzato il
tiro. Difendeva i ceceni vittime del genocidio e denunciava
l’escalation del Cremlino di Putin. Con tutta probabilità ha pagato
per questo.
Ora, con il suo omicidio sale a 56 il numero dei giornalisti uccisi
quest'anno nel mondo. Le ultime due vittime erano state due reporter
tedeschi uccisi in un'imboscata nel nord dell'Afghanistan. E secondo
i dati diffusi dall'organizzazione Reporters sans frontieres,
questo anno potrebbe rivelarsi più sanguinoso persino del
precedente, quello più tragico per i cronisti di tutto il mondo.
Intanto sulla fine della giornalista russa restano interrogativi
inquietanti. Ci si chiede in particolare come mai l’assassino o gli
assassini hanno lasciato sul luogo del delitto una pistola. E a
Mosca c’è chi pensa che l’arma potrebbe essere una di quelle usate
in Cecenia dai guerriglieri. Un modo artigianale per gettare ombre
sull’intera vicenda. In pratica uno dei tanti depistaggi già
sperimentati nel passato dagli organi della sicurezza del Cremlino.
Archivio Politkovskaja07/10/2006 Archivio Politkovskaja
Comunque il giorno fatidico è arrivato e la giornalista Anna...
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