Abbandonati i propositi bellicosi verso l’Iran,
l’amministrazione USA si rivolge ora contro la Corea del
Nord cercando di far dimenticare il clamoroso fallimento
delle due guerre in corso (Afghanistan ed Iraq) agitando
una nuova “minaccia. C’è da dire che il regime nordcoreano,
come a suo tempo quello iraniano, agisce mirabilmente di
sponda alle necessità dell’amministrazione Bush, ma non è
il caso di pensare a pazzie quando è in gioco il potere.
Erano passati pochi mesi dall’inizio del primo mandato di
Bush che gli Stati Uniti decisero di arrestare gli aiuti
alimentati del programma alimentare mondiale (World Food
Programme, agenzia ONU), mettendo in oggettiva difficoltà
il regime nordcoreano, fino ad allora impegnato nel
colloqui con la controparte meridionale in vista della
riunificazione del paese. A quel punto a Kim, il dittatore
coreano, non rimase che agitare lo spauracchio atomico,
cercando di ottenere dalla comunità internazionale quel
che desiderava sotto la minaccia di un aumento della
proliferazione nucleare.
A quel punto a Kim, il dittatore coreano, non rimase che
agitare lo spauracchio atomico, cercando di ottenere dalla
comunità internazionale quel che desiderava sotto la
minaccia di un aumento della proliferazione nucleare.
A quel punto a Kim, il dittatore coreano, non rimase che
agitare lo spauracchio atomico, cercando di ottenere dalla
comunità internazionale quel che desiderava sotto la
minaccia di un aumento della proliferazione nucleare.
La mossa fu benvenuta dagli Stati Uniti che nella regione
hanno un interesse politico ben preciso: quello di fare
del Giappone un alleato armato (sul modello della Gran
Bretagna in Europa) e di mantenere la Corea del Sud
strettamente alleata all’asse atlantico. Sarebbe la
strategia de “l’anello di fuoco” a circondare la Cina,
anello del quale dovrebbe far parte anche l’India,
cooptata nell’alleanza grazie all’apertura del supermarket
bellico statunitense e dello sdoganamento del suo
programma atomico.
Tutto molto simile a quanto accaduto con l’Iran, che da
anni cerca un appeasement con Washington sulla base
del riconoscimento dei suoi diritti come potenza regionale
in Medioriente e sulla concessione della non-belligeranza
esplicita da parte dell’amministrazione americana.
Washington però ha un disperato bisogno di “nemici” per
compattare l’opinione pubblica interna e per giustificarsi
agli occhi di quella internazionale, così non sono mai
arrivati né gli aiuti alimentari alla Corea del Nord e
nemmeno il trattato con l’Iran.
Alcuni hanno visto la mossa di Pyongyang come una reazione
alla ormai unica candidatura del sudcoreano Ban Ki-Moon a
segretario dell’Onu, ma in realtà è altro ad aver
inquietato la Corea del Nord. Ban Ki-Moon, pur gradito
agli americani e pur essendo stato un funzionario ligio ai
voleri delle dittature sudcoreane filo-americane, è stato
a lungo un artefice della riunificazione e, da ministro
degli esteri. ha saputo contrastare lo storico rivale
giapponese, per non parlare delle sue aperture verso Cina
e Russia e della politica coreana nell’Asean
(l’equivalente asiatico della Comunità Europea),
organizzazione dalla quale ha contribuito a tenere fuori
gli Usa che pretendevano di farne parte al fine di
condizionarla.
In realtà ad inquietare la Corea del Nord è stata la
proposta americana per il nuovo direttore del WFP. Sulla
nomina del nuovo direttore del programma alimentare ONU si
è infatti scatenata la consueta battaglia che sembra in
procinto di terminare con la nomina di un candidato
graditissimo agli USA. Come spesso accade
l’amministrazione USA ha sfidato la farsa pur di ottenere
quanto desiderato. Mancano tre mesi allo scadere del
mandato di Kofi Annan e John Bolton, ambasciatore
americano all’ONU, si stava dannando l’anima per fare in
modo che le nomine di questi ultimi mesi ai vertici delle
agenzie durassero solo fino allo scadere del mandato
dell’attuale Segretario Generale.
Giunti però alla nomina del direttore del WFP, Bolton ha
compiuto una veloce inversione, affermando che questi
poteva mantenere il mandato per cinque anni, poiché “ci
sono precedenti diversi”. Attualmente in gioco per la
nomina a direttore del WFP ci sono quattro candidati: un
canadese, un norvegese, uno svizzero e un’americana. Dato
che Svizzera e Norvegia hanno già dei sottosegretari al
scelta dovrebbe restringersi ad un derby tra Canada ed
Usa, con Bolton che dice: “I’m sure we’re going to prevail”
(Sono sicuro che vinceremo).
Ma chi è il candidato che inquieta tanto il regime
coreano?
Si tratta di Josette Sheeran (Shiner), che nelle
intenzioni di Bolton e soci dovrebbe trasformare il WFP in
una asset strategico statunitense come già è accaduto con
la nomina di Paul Wolfowitz a capo della World Bank. La
signora Sheeran ha alle spalle una carriera da giornalista
e donna d’affari all’ombra del reverendo Moon. La prima
volta che apparve sulla stampa fu quando suo padre James
cercò di sottrarla insieme alle sorelle Vicky e Jaime alla
setta del reverendo famoso in Italia per la vicenda
Milingo, nonché per il fatto che si dichiari il figlio di
Dio venuto in terra a sollevare gli uomini dal peccato
originale (peccato commesso da Eva accoppiandosi con il
diavolo e non mangiando la mela).
La storia e i lamenti del padre contro la setta finirono
in una articolo di Times Magazine del 10 novembre
1975, intitolato “Pazze per Moon”, un articolo contro i
pericoli rappresentati da questo tipo di sette. Fino al
1996 Josette rimarrà membro attivo della congregazione,
per passare poi alla carriera giornalistica e manageriale
all’interno dell’impero secolare del reverendo (che è una
potenza economica anche e soprattutto in Corea), di
istituzioni private (Empower America) e pubbliche
(Dipartimento di Stato). Nel gergo dei “moonies” è “andata
nel mondo” al fine di diffondere la posizione e gli
interessi della Chiesa della Riunificazione.
Moon però è molto altro, la sua Chiesa dell’Unificazione è
la preferita di Bush Senior, nonché pilastro della Lega
Anticomunista Mondiale. Questo non gli ha impedito di
coltivare in passato affari con il regime nordcoreano (Come
dimostrano i documenti della stessa Dia americana)
Erano i tempi nei quali la Sheeran spandeva eulogie della
dittatura coreana sul Washington Times (che appartiene a
Moon insieme all’agenzia UPI, due media sempre in prima
fila quando c’è da diffamare qualche nemico di Bush)
descrivendo Kim Il-Sung come “self-confident, reflective
elder statesman rather than the reclusive, dogmatic
dictator he is usually portrayed as in the West."
Pochi anni dopo, cambiati gli interessi di Moon e di Bush,
eccola cambiare opinione ed essere presentata per
l’importante incarico da quel Bolton che della Corea del
Nord dice peste e corna da anni.
Risulta fin troppo chiaro che la nomina di questa
servizievole bushista alla guida dell’agenzia dalla quale
dipende gran parte della stabilità del regime nordcoreano,
sia vista come una minaccia molto più dell’eventuale
elezione di Ba- Ki-Moon al segretariato generale; non
fosse altro perché il direttore del WFP è,
paradossalmente, dotato di maggiore libertà d’azione dello
stesso Segretario, comunque vincolato ai voleri dei paesi
con diritto di veto all’ONU. Al regime non è rimasto
quindi che minacciare l’esecuzione di un test nucleare,
nella speranza che la parte “dialogante” delle diplomazie
mondiali spinga per un atteggiamento più comprensivo verso
il paese da anni alla canna del gas.
La diplomazia americana non ha perso tempo ed è insorta
contro il “paese canaglia”, spalleggiata dal governo
giapponese di Abe, più nazionalista di Koizumi, che non
vede l’ora di togliere il divieto alla ricostituzione
delle forze armate giapponesi e di procedere al riarmo
(anche nucleare) del suo paese, per il quale la minaccia
coreana è una manna caduta dal cielo . Atteggiamento
opposto hanno manifestato Russia e Cina (che da tempo
rappresenta l’unica “finestra” rimasta alle relazioni
internazionali nordcoreane), ma anche della Corea del Sud,
che proprio con l’avvento di Bush ha visto evaporare
quella riunificazione che una decina d’anni fa sembrava
dietro l’angolo.
Chiaramente non si tratta d’altro che dell’ennesima
ipocrisia americana, non fosse altro per il fatto che un
test nucleare non è un atto aggressivo e anche per il non
trascurabile particolare che il nucleare nordcoreano
proviene dai laboratori di Islamabad. Fu infatti il
Pakistan a fornire al regime di Kim l’occorrente per la
bomba (si veda il
dossier nucleare di Altrenotizie.org ndr) in
cambio della tecnologia missilistica coreana. Così com’è
stato il Pakistan a fornire lo stesso materiale ad Iran e
Libia; ma su questo, come su tutto l’avanzatissimo
programma nucleare dell’alleato pachistano, a Washington
vige l’omertà più assoluta. Il Dipartimento di Stato
lamenterà che la corea del Nord non partecipa al Trattato
di Non Proliferazione Nucleare (TNP, come l’alleato
pachistano ed il nuovo cliente nucleare indiano) e che il
test rappresenta, oltre ad un affronto alla comunità
internazionale, una grave minaccia per la pace nella
regione. Poco importa se i coreani siano del tutto
incapaci di esercitare una seria minaccia sui vicini,
anche se in possesso di testate nucleari, l’importante è
sollevare un po’ di polverone.
La questione potrebbe comunque pregiudicare veramente
l’elezione di Ban Ki-Moon (che non è parente del reverendo
Moon), che come rappresentante asiatico è un po’ troppo
vicino al gruppo dirigente repubblicano (ed è pure
cristiano) e rimettere in gioco la candidatura
dell’indiano Tharoor, per il momento sconfitto dalla
robusta campagna del governo sud-coreano, che ha siglato
accordi commerciali con qualche decina di paesi per
spianare la strada al suo candidato).
Tharoor ha però raccolto un “veto” da uno dei cinque paesi
con seggio permanente (non è difficile capire quale paese
anche se il voto è segreto) e difficilmente potrà
ritornare in corsa, a meno di accadimenti eccezionali nei
prossimi due mesi.
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