L'analisi di William R. Clark
autorevole ricercatore americano esperto di petrolio
Peccato che
quasi tutti i giornalisti di questo paese si siano messi a lanciare strali
invece di verificare notizie e informazioni, rendendo molto più facile il
lavoro di quegli specialisti della guerra psicologica che, con classico stile
anni Cinquanta, confezionano la "storia ufficiale". Sarebbe bastata
un'occhiata alle notizie economiche del momento per dipanare il mistero dello
scandalo suscitato dagli slogan del presidente iraniano, sostanzialmente gli
stessi da venticinque anni, fatta eccezione per la breve pausa del riformista
Khatami. Un mistero che non riguarda i contenuti della propaganda di
Ahmadinejad, che utilizza la retorica anti-sionista come unico collante per
una società sempre più inquieta, ma le reazioni scandalizzate dell'Occidente.
Se i falchi di Teheran inneggiano ancora una volta alla distruzione del
piccolo e del grande Satana, scrivevano i giornalisti arabi la scorsa
settimana, perché stavolta gli occidentali strepitano? Alcuni commentatori
accusavano Ahmadinejad di ingenuità politica ma quasi nessuno mostrava stupore
per la ben nota abitudine dei regimi islamici di strumentalizzare la tragedia
palestinese quando registrano una crisi di consenso.
Detto questo, quindi, manca qualcosa. Per
trovare la notizia, il tassello che potrebbe rendere comprensibile un confuso
puzzle di propagande contrapposte, bisogna risalire a qualche mese fa, quando
un autorevole ricercatore esperto di petrolio - quel William R. Clark
autore di Revisited - The Real Reason for the Upcoming War with Iraq: a
Macroeconomic and Geostrategic Analysis of the Unspoken Truth (Le vere ragioni
della prossima guerra contro l'Iraq: un'analisi macroeconomica e geostrategica
della verità non detta) - puntava l'indice sul prossimo obiettivo. Attenzione,
scriveva Clark il 5 agosto scorso, le tensioni geopolitiche fra Stati Uniti e
Iran «vanno ben oltre le preoccupazioni per il programma nucleare iraniano,
come pubblicamente affermato, ma riguardano molto più plausibilmente il
tentativo di Teheran di proporre un sistema di scambio del petrolio basato sul
petro-euro». Esattamente come per il conflitto con l'Iraq, scrive Clark, «le
operazioni militari contro l'Iran sono strettamente collegate con la
macroeconomia e con la sfida alla supremazia del dollaro costituita dall'euro
come moneta alternativa per le transazioni petrolifere, una sfida non
pubblicizzata ma molto, molto seria». Secondo Clark e numerosi analisti,
infatti, più dell'accesso ai pozzi garantito dall'occupazione militare è stata
proprio la salvaguardia della supremazia del dollaro all'origine
dell'invasione dell'Iraq. Saddam insomma avrebbe firmato la sua condanna a
morte non per le sue inesistenti armi di distruzione di massa né tanto meno
per i massacri dei civili, quanto per avere deciso di farsi pagare in euro le
esportazioni di petrolio. Secondo alcuni insider della Casa Bianca
l'operazione Iraq freedom, oltre a stabilire una presenza militare e un
governo filo-americano, aveva specificamente l'obiettivo di riconvertire in
dollari gli scambi petroliferi iracheni e far passare ai paesi Opec ogni
fantasia di transizione all'euro - ovviamente più conveniente in quanto meno
svalutato del biglietto verde.
Nel caso dell'Iran, sostiene Clark, la
minaccia sarebbe molto più concreta visto che Teheran ha annunciato, per il
marzo prossimo, l'apertura di una vera e propria borsa petrolifera alternativa
alle uniche due ufficialmente riconosciute, il Nymex di New York e l'Internatonal
Petroleum Exchange di Londra, una borsa appunto basata su di un sistema di
scambi interamente basato sull'euro e tacitamente appoggiata da altri paesi
produttori. Perché sia così grave lo spiega a chiare lettere lo stesso
Clark: «Se la borsa iraniana prendesse piede, l'euro potrebbe irrompere
definitivamente negli scambi petroliferi. Considerando il livello del debito
statunitense e il progetto di dominio globale portato avanti dai neocon, la
mossa di Teheran costituisce una minaccia molto seria alla supremazia del
dollaro nel mercato petrolifero internazionale».
Dal punto di vista esclusivamente economico e monetario, l'avvio di un sistema
in petroeuro è uno sviluppo logico visto che l'Unione europea importa più
petrolio dai paesi Opec di quanto non facciano gli Stati Uniti e, di fatto,
gli europei pagano il petrolio iraniano in euro già dal 2003. Ma una vera e
propria competizione fra le due monete, in una borsa indipendente dai
desiderata di Washington ma lasciata in balia della proverbiale mano
invisibile, è l'incubo della Federal Reserve perché, come scrive Clark «gli
Stati Uniti non potrebbero più continuare a espandere facilmente il credito
attraverso i buoni del tesoro e il valore del dollaro crollerebbe». La
borsa iraniana sarebbe insomma una tappa fondamentale verso il passaggio dell'Opec
dai petrodollari ai petroeuro, passaggio facilitato anche dal
comportamento delle banche centrali di due giganti, Russia e Cina, che dal
2003 hanno cominciato ad accumulare la divisa europea.
Non la solita vecchia propaganda anti-sionista,
quindi, né tanto meno un programma nucleare che forse, fra una decina d'anni,
potrebbe condurre l'Iran alla bomba atomica - ma allora perché non
nuclearizzare subito
la Corea del
Nord? Sono i petroeuro a spaventare gli americani. Ecco perché, dall'autunno
del 2004 fino all'estate del 2005, i generali del Pentagono sono stati
chiamati a sfornare ogni sorta di simulazioni d'attacco all'Iran; ed ecco
perché si sono nel frattempo moltiplicati gli strali contro un regime che non
è più antisemita o più brutale di quelli che governano il Pakistan o l'Arabia
Saudita.
Il problema dei generali è che, forti dell'esperienza irachena, sono costretti
a scartare a priori l'ipotesi soft - quella del cambio di regime - così come
un'invasione su larga scala contro il ben più solido e numeroso esercito di
Teheran. Ed ecco allora farsi strada svariate ipotesi, tutte abbastanza
spaventose ma alcune decisamente agghiaccianti, come quella descritta
dall'esperto di intelligence Philip Giraldi su The American Conservative,
sotto l'illuminante titolo: "In caso di emergenza, nuclearizzate l'Iran".
Oltre a fornire notizie sulla ripresa dell'intensa attività di pianificazione
da parte dei militari, Giraldi rivela che, in caso di un altro attacco
terroristico sul suolo americano, l'ufficio del vice-presidente Dick Cheney
vuole che il Pentagono sia pronto a lanciare un attacco nucleare contro
Teheran, anche se il governo iraniano non risultasse coinvolto con l'attentato.
Su istruzioni del vicepresidente il Pentagono ha quindi incaricato il Comando
strategico statunitense (Stratcom) di stilare un piano che include appunto un
attacco aereo su vasta scala contro obiettivi iraniani, sia con armi
convenzionali che con le nucleari tattiche progettate per distruggere i
bunker. La domanda è quindi una sola: l'operazione è già cominciata?
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