I democratici pensavano che più persone avessero votato, più voti
John Kerry avrebbe ricevuto: non è stato così. Per ogni nuovo elettore
che il partito democratico ha convinto a votare - nei centri urbani, tra
le minoranza indiane, tra gli studenti delle università - le chiese
di varia fede ne hanno trovato un altro, e forse più di uno.
L’importanza del voto religioso
La fede e la religione hanno pesato più dell’Iraq
in queste elezioni. Ed è stato un grave errore dei democratici farsi
incastrare, in molti Stati, in referendum sul matrimonio tra coppie
omosessuali. Le chiese hanno potuto usare questi referendum per convincere
i loro fedeli ad andare a votare. E già che si recavano ai seggi, a
votare per George W. Bush.
Kerry ha capito troppo tardi l’importanza del voto religioso. E il
suo ultimo discorso in Florida, tutto dedicato alla sua fede, tradiva
scarsa sincerità. O meglio, ha mostrato un candidato che, contrariamente
al suo avversario, fa fatica a dire bugie. Sarà anche stato un
chierichetto da bambino, ma il mondo della chiesa gli è evidentemente
estraneo - fortunatamente, dirà qualcuno che conosce poco l’America.
Non lo ha aiutato neppure la sua chiesa, nonostante fosse il primo
candidato cattolico dai tempi di JFK. Quando ha dovuto dire che i vescovi
sbagliano nella loro opposizione all’aborto, è stato ancora una volta
sincero, ma ha perduto anche una parte del voto cattolico. Sul matrimonio
tra omosessuali ha detto ciò che qualunque “liberal” avrebbe detto:
le persone sono libere. Anche qui è stato sincero, ma ha perso una
montagna di voti.
Uno dei momenti decisivi della campagna elettorale è
stato quando, nel secondo dibattito, Bush ha detto chiaramente che ogni
cittadino americano che non sia stato condannato da un tribunale ha
diritto a tenere in casa un fucile carico. Chi non ha capito che quella
risposta gli ha fatto guadagnare milioni di voti non conosce l’America,
oppure pensa che l’America sia Boston e New York.
L’Iraq ha fatto perdere a Bush molti voti: è un errore pensare che il
risultato delle elezioni sia una vittoria dei fautori della guerra. Bush
ha vinto nonostante la grande opposizione alla sua
guerra.
Ma l’abilità dei repubblicani è l’aver saputo mobilitare fede e
valori tradizionali là dove la guerra faceva perdere voti.
L’agenda interna
Forse più importante dello stesso risultato presidenziale è lo
spostamento a destra del Congresso. La sconfitta di Tom
Daschle, senatore del South Dakota e capogruppo dei democratici al Senato,
consegna quell’assemblea ai repubblicani.
Persone che conoscono bene George W. Bush dicono che il suo progetto
nei prossimi due anni, e cioè da domani alle elezioni di mid-term
del 2006, è trasformare l’America, non l’Iraq (dove cercherà
un disimpegno costoso ma onorevole), con la promozione dei valori
cristiani e conservatori nelle scuole, negli ospedali, trasferendo alle
organizzazione religiose finanziate dallo Stato molti compiti di
assistenza sociale.
Sbaglia chi pensa che l’obiettivo di Bush sia chiudere i conti con il
mondo islamico e riaffermare il primato americano nel mondo. Sbaglia perché
continua a guardare all’America con gli occhiali distorti di chi pensa
che il resto del mondo conti davvero, anche fuori da
Boston e da New York.
L’America rimane un paese chiuso, nel quale il resto
del mondo conta solo nella misura in cui influisce sulla sua vita interna,
come l’11 settembre. E Bush molto meglio di Kerry rappresenta
quell’America.
Quindi un’agenda politica tutta interna, con la differenza che questa
volta i repubblicani controllano anche il Senato.
Lettera dall’America
Stephen Martin
Ho letto con molto interesse l’articolo di Francesco Giavazzi sulle elezioni
presidenziali americane pubblicato da lavoce.info. Capisco che dal di
fuori la situazione americana possa sembrare così come l’ha descritta
Giavazzi, ma dall’interno si possono vedere le cose in un modo
leggermente diverso.
Una grande coalizione
Il presidente Bush non avrebbe vinto le elezioni senza l’appoggio dei
suoi sostenitori religiosi. Né le avrebbe vinte senza il sostegno di chi
pensa che quando i soldati americani sono sotto il fuoco, non è il
momento di cambiare comandante in capo. E non si sarebbe guadagnato
l’elezione senza l’appoggio degli anziani, convinti dalla sua promessa
di mantenere l’attuale livello di sicurezza sociale. (Mentre
probabilmente la promessa di rendere possibili conti di pensione
individuali non ha avuto molta influenza sul voto dei giovani, nella loro
certezza di vivere per sempre).
George W. Bush non sarebbe stato rieletto senza l’appoggio dei
conservatori politici (non necessariamente religiosi), conquistati con la
promessa di ridurre le tasse e colmare il disavanzo federale. Dunque, la
destra religiosa è una componente della coalizione che ha portato
il presidente alla vittoria. E ciò che viene descritto nel linguaggio
politico americano come "i valori della famiglia" è un elemento
del programma del presidente. Ma la destra religiosa non è l’unica
componente, non è neanche la più grande, nella coalizione del
presidente, e le promesse alla destra religiosa non sono le uniche fatte
da Bush in campagna elettorale.
Le promesse da mantenere
In campo economico, il presidente ha fatto quattro promesse.
Ridurrà le tasse. Ridurrà il disavanzo federale. Manterrà il livello
dei pagamenti della sicurezza sociale. E farà in modo che i giovani
possano aprire conti di pensione individuali. Non sarà possibile
mantenerle tutte e quattro. Al massimo riuscirà a tener fede a tre, ma
forse neanche questo. Quali delle quattro promesse rimarranno irrealizzate?
Almeno due: la privatizzazione della sicurezza sociale e la riduzione del
disavanzo federale.
La privatizzazione della sicurezza sociale non sarà possibile
perché non ha il sostegno dell’opinione pubblica. Gli anziani votano in
modo più che proporzionale alla loro quota nella popolazione. Sono la
maggioranza in Stati chiave per il controllo repubblicano del Senato.
Qualsiasi tentativo che abbia anche solo l’apparenza di minacciare le
pensioni degli anziani incontrerà una resistenza feroce. E tra i giovani
il consenso verso quest’idea è al massimo tiepido. A spingere per la
privatizzazione della sicurezza sociale è la parte più ideologica del
mondo conservatore. Che sarà ripagata con la nomina di giudici
conversatori alla Corte suprema. Le nomine costano capitale
politico, ma non denaro.Al contrario, i costi di transizione a un sistema
privato di sicurezza sociale sembrano aggirarsi sui tre miliardi di
dollari. Costi alti e mancanza di consenso faranno svanire nel nulla la
privatizzazione della sicurezza sociale. Non avremo neanche la riduzione
del disavanzo federale, per due motivi. Il primo è il costo della
guerra irachena. C’è un profondo sostegno dell’opinione pubblica
americana ai soldati al fronte (il che non vuol dire che ci sia un
profondo sostegno per le decisioni che li hanno portato lì). Il prezzo
per sostenere i soldati sarà pagato, e ben volentieri. Ma farà parte
della spesa pubblica.
Il secondo motivo è la promessa di ridurre le tasse. Se si
tagliano le tasse federali senza ridimensionare contemporaneamente gli
interventi del governo federale, il disavanzo pubblico crescerà, invece
di diminuire. Si potrebbe ridurre la spesa federale tagliando alcuni
programmi. Ma risulta più e più difficile farlo senza toccare un
programma caro a una parte della coalizione repubblicana. Si potrebbe
allora trasferire alcuni programmi agli Stati. Ma la maggior parte dei
governi statali è costituzionalmente vincolata al pareggio di bilancio, e
dunque non apprezza molto queste mosse (la legge "No Child Left
Behind" - Nessun bambino lasciato indietro - ne è un esempio).
Dunque, tenterà il presidente di spostare gli Stati Uniti verso destra?
Sì. Ci riuscirà? No. Alcuni giudici conservatori verranno nominati alla
Corte suprema, e questo sarà forse il lascito più duraturo del secondo
quadriennio Bush.
Ma una vittoria 51 a 48 per cento nel ballottaggio popolare è una
maggioranza, non è un mandato. Il presidente non si candiderà mai più,
i repubblicani al Senato e al Congresso, sì. Quando si candideranno tra
due o quattro anni, avranno bisogno dell’appoggio della coalizione che
ha portato il presidente alla vittoria. Ma le componenti di questa
coalizione, per la maggiore parte, saranno ormai deluse
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