Lyndon LaRouche è aspirante alla candidatura democratica per
le presidenziali del 2004 ed è il secondo candidato in termini di sostegno
finanziario raccolto tra la popolazione.
RIPRISTINARE LA COSTITUZIONE DELL'IRAQ
La goffaggine esibita sistematicamente dagli altri candidati democratici nella
questione del ritiro degli USA dall’Iraq rende necessaria questa mia
dichiarazione. Lo scopo è quello di aiutarli ad uscire dallo stato confusionale
che quasi tutti hanno pubblicamente manifestato su questo argomento, ma anche di
segnalare al presidente George W. Bush Jr. alcune opzioni immediate per sfuggire
alle sabbie mobili in cui le subdole manovre anti-costituzionali e gli sporchi
trucchi del vice presidente Cheney hanno spinto la nazione e le sue forze
armate.
I. La mia proposta
Propongo che gli Stati Uniti compiano immediatamente tre passi ben definiti
verso il ritiro dalla posizione indifendibile e sempre più precaria in cui si
trovano non solo in Iraq ma in tutto il Medio Oriente.
1. Dichiarare che è intenzione dell’aspirante Presidente cessare
l'occupazione militare dell'Iraq non appena questo sia possibile, e notificare
al Consiglio di Sicurezza dell'ONU l'intenzione degli USA di riaprire il
capitolo della sovranità irachena sui propri affari, sollecitando l'assistenza
del Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel fare in modo che questo si possa
realizzare.
2. Abbandonare gli insulsi tentativi di redigere una nuova Costituzione
per l'Iraq. Promuovere il ripristino della Costituzione esistente e storicamente
radicata della nazione in vista dell'instaurazione, il prima possibile, di un
governo provvisorio sotto l’egida di tale Costituzione. Cercare di applicare
nuove ricette contaminate dalla presenza più o meno esplicita di un personaggio
come Chalabi non favorisce la pace, ma alimenta una guerra asimmetrica
interminabile, che comporterà numerose altre vittime cadute inutilmente tra le
forze statunitensi stazionate per svolgere il ruolo del bersaglio in quello che
è diventato un quotidiano poligono di tiro a tempo indeterminato.
3. Liberare immediatamente Tariq Aziz, affinché possa assumere il suo
ruolo naturale, e internazionalmente riconosciuto, del migliore rappresentante
dello spirito ecumenico della sovranità costituzionale dell'Iraq.
II. La situazione attuale in Iraq
La speranza di evitare la recente recrudescenza di una guerra asimmetrica
sostenuta dalla popolazione è naufragata con l'ordine di sospendere la
cooperazione con i militari iracheni nell'opera urgentemente necessaria della
ricostruzione. Lo sforzo dispendioso di sostituire le forze armate come fattore
di stabilità e di capacità ingegneristica con una valanga di decine di miliardi
di dollari rovesciati nelle casse delle corporation vicine a George Shultz e al
vice presidente Cheney, accompagnato dal flirt continuato con il solito Chalabi,
ha fatto sì che il governo degli Stati Uniti rovinasse ogni possibilità di
successo della missione che era stata recentemente assegnata a Paul Bremer.
Venendo meno all'obbligo che la potenza occupante ha di ricostruire subito la
nazione che ha conquistato, gli Stati Uniti hanno perso per omissione, per il
momento, ogni credibilità per poter presiedere agli affari interni della nazione
occupata. Trasformando l'occupazione dell'Iraq in una corsa all'accaparramento
delle commesse sia del Tesoro USA che delle ricchezze irachene, il ruolo degli
USA è scaduto, grazie alla onnipresente influenza del vice presidente Cheney,
dal patetico al rivoltante.
Ora, come risultato della politica rifilata all'amministrazione Bush dalle
manovre usurpatrici del vice presidente Cheney, l'odio contro gli Stati Uniti è
diventato una forza unificatrice che alimenta il conflitto asimmetrico, non solo
in Iraq, ma in tutto il Medio Oriente. Non c'è nulla che potesse incoraggiare la
crescita del terrorismo in tutta la regione più delle follie che l'onnipresente
influenza del vice presidente Cheney ha imposto in questa situazione di degrado.
In linea di principio questa situazione è molto peggiore della follia che portò
gli USA nella guerra d'Indocina tra il 1964 e il 1972. E' pertanto necessario
che le forze armate USA siano rimosse dall'attuale posizione di un bersaglio che
si attira un odio sempre crescente. E' ora di sgombrare l'Iraq, e subito!
E' evidente che se oggi fossi io il Presidente degli Stati Uniti, nel mondo
arabo le popolazioni avrebbero fiducia in una proposta ragionevole avanzata
dagli USA. Purtroppo non sono ancora il Presidente. Sotto l'attuale
amministrazione contaminata da Cheney, o quella dei miei attuali rivali, non c'è
modo che il governo USA possa sostenere in maniera credibile la propria
posizione di potenza occupante. Pertanto, in assenza di un Presidente
sufficientemente qualificato, occorre ritirare le nostre forze e lasciare che il
Consiglio di Sicurezza dell'ONU subentri là dove l'attuale amministrazione USA e
il Democratic National Committee hanno ambedue fallito tanto miseramente.
Occorre tenere presente la seguente valutazione della situazione.
Ad un certo punto, nella recente guerra degli USA in Iraq, le forze armate
irachene sono sparite dal campo di battaglia e sono diventate una milizia
nazionale in borghese ritiratasi in posizione di attesa. Quando gli Stati Uniti
hanno rinunciato a cooptare questa milizia nel ruolo più appropriato di forza
per la ricostruzione della propria nazione martoriata dalla guerra, l'attuale
amministrazione USA ha finito per costringere la milizia a reagire come il
nucleo centrale di un movimento di resistenza che combatte asimmetricamente
contro le forze occupanti degli USA, come pure contro ogni entità che si presta
a cooperare con tale occupazione.
Gli specialisti dovrebbero studiare le lezioni della resistenza jugoslava
all'occupazione nazista come lezione introduttiva per comprendere le complessità
a cui le forze militari statunitensi sono andate incontro con la loro sciagurata
occupazione dell'Iraq. L'evasivo e maldestro gen. Wesley Clark, ad esempio, ma
anche Madeleine Albright, devono ancora apprendere quella lezione.
Di conseguenza adesso non ci sono soltanto i milioni di riservisti iracheni
addestrati che si schierano contro la nostra occupazione, ma anche schiere
crescenti di volontari provenienti dall'estero. Tutto questo significa che il
vice presidente Cheney, che usurpa il ruolo di presidente, rappresenta la fonte
principale di alimentazione e diffusione di fatto del terrorismo nell'Asia
occidentale e oltre.
III. La costituzione irachena esistente
La moderna nazione irachena si è formata nella lotta popolare contro la ripetuta
occupazione imperiale britannica. L'unità sorta in quelle guerre ripetute contro
forze imperiali d'occupazione diventò la base dell'attuale Costituzione
irachena. I membri del Congresso USA, tra gli altri, dovrebbero effettivamente
leggere quella Costituzione, come pure qualche resoconto storico della guerra di
resistenza che portò il popolo iracheno ad unificare la nazione attorno ad essa.
La tendenza dell'amministrazione USA, contaminata da Cheney, di frammentare la
nazione irachena in una serie di staterelli rivali non fa altro che incitare
odio e disprezzo inestinguibili contro gli USA in tutta la regione e ben oltre,
come sta avvenendo oggi in una situazione strategica sempre più grave, dovuta ai
misfatti perpetrati dagli assassini israeliani del primo ministro israeliano
Rabin e al fatto che essi siano stati tollerati.
Una Costituzione nazionale non ha più autorità di quella contenuta nella storia
della lotta che ne ha determinato la nascita. Quest'autorità dev'essere
rinnovata costantemente portando una base sempre più ampia della popolazione,
compresi gli strati più poveri, a riaffermare i principi fondamentali contenuti
in quell'accordo. Ad esempio, in passato, quando gli Stati Uniti sostennero
l’esercito nazionale e il servizio di leva universale, rafforzarono in tal modo
il legame reciproco tra la Costituzione e la popolazione in generale.
Una buona Costituzione di uno stato nazionale repubblicano moderno non è un
contratto finanziario stilato da studi legali senza scrupoli per conto di avide
case finanziarie, ma, come la Dichiarazione d'Indipendenza degli USA del 1776 e
il preambolo della Costituzione Federale, dev'essere l'affermazione di principi
universali della legge naturale. L'Iraq dispone di tale Costituzione, una carta
forgiata nella lotta contro l'oppressione e nella ricerca di interessi comuni
unificanti tra le comunità che componevano quella nazione in lotta.
I guai subiti da quella Costituzione, prima che scoppiasse la recente guerra
degli USA in Iraq, non consistono solo nelle spinte usurpatrici delle forze
interne allo stato iracheno, ma anche nelle ingerenze di forze internazionali
nelle questioni interne irachene e dell'intera regione. Oggi negli USA, dall'11
settembre 2001, certe forze nel Congresso, nei partiti e nell'esecutivo, hanno
sfruttato la percezione di una crisi per minare e invalidare di fatto aspetti
cruciali della nostra stessa Costituzione americana sacrificandola nel nome di
una troppo abusata "emergenza". Come si può permettere che l'amministrazione e
certe correnti di partito si mettano in cattedra squadrando dall'alto in basso
il governo recentemente rovesciato in Iraq? E' uno spettacolo di ipocrisia che
il resto del mondo non può osservare senza malessere.
L'Iraq di oggi si trova di fronte alle stesse sfide costituzionali che furono
affrontate quando fu adottata l'attuale Costituzione. Perciò il governo
statunitense commetterebbe una vera idiozia se tentasse, come sta facendo, di
rabberciare qualcosa che non è rotto: sostituire una vera Costituzione formata
dalla storia con un patto stilato da avvocati imbroglioni. Non c'è nulla di
meglio per la situazione irachena che il pieno rispetto della Costituzione
attuale. Questa deve essere l'opinione del governo degli USA.
Intanto siamo nella situazione molto particolare in cui l'umiliazione del
proprio governo, inflitta allo scopo di liberare quel governo dalla propria
tendenza autodistruttiva, è la cosa più patriottica da fare. Non dobbiamo
lasciarci intimidire da canaglie che come il presidente Cheney e il suo
tirapiedi Lewis Libby confezionano le proprie scelleratezze nei lustrini del
"patriottismo
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