Lo
potremmo chiamare lodo Speedy Gonzales. Venticinque
giorni: tanto è bastato al team delle libertà per
discutere, approvare e promulgare il disegno di
legge sull’immunità alle quattro più alte cariche
dello Stato. Con 171 voti a favore, 128 contrari e i
soliti 6 Udc astenuti, il lodo Alfano - versione
riveduta, corretta ma non edulcorata,
dell’incostituzionale lodo Schifani targato 2004 -
ha superato lo scoglio del Senato ed è arrivato tra
le mani del Presidente della Repubblica che,
probabilmente (auto)convintosi che l’immunità
istituzionale era il male minore tra i tanti
proposti mali-decreti, l’ha controfirmato e
promulgato ufficialmente come legge dello Stato.
Grazie a questo blitz della maggioranza, Presidente
della Repubblica, Presidente del Consiglio e
Presidenti delle due Camere potranno teoricamente
commettere all’interno dei loro mandati qualsiasi
tipo di malefatta perseguibile penalmente e non
essere nemmeno sfiorati dalla lunga ( ? ) mano della
Giustizia.
Nel mondo civilizzato l’unica a potersi arrogare
questo diritto di impunità è la regina d’Inghilterra
e i giornali stranieri già sghignazzano -
giustamente - alle nostre spalle definendo il nostro
ordinamento statale “monarchia incostituzionale”.
Silvio Berlusconi non chiedeva di meglio: la
monarchia, si sa, è sempre stata la sua vocazione e
l’incostituzionalità lo accompagna fin dalla sua
“discesa in campo”. All’interno del pacchetto
sicurezza - già approvato dalle Camere – il premier
aveva provato a mettere di tutto pur di salvare la
sua persona e i suoi interessi dall’imminente
processo per presunta corruzione in atti giudiziari,
il famoso processo Mills. Non ce l’ha fatta, per
ragioni di tempistica tecnica, né con la
blocca-processi né con il disegno di legge sulle
intercettazioni, ma se perseverare è diabolico,
bisogna anche dire che in questo mondo alla rovescia
premia.
“Il lodo Alfano è il minimo che una democrazia possa
apprestare a difesa della propria libertà”, questo
il commento di Berlusconi all’indomani della sua
promozione a cittadino immune dalla legge. “Ho già
detto che non mi sarei avvalso, per processi
anteriori al 2000, della norma che è stata chiamata
blocca-processi o salva-premier - conclude rivolto
ai giornalisti - quando smetterete questa
persecuzione inaccettabile sarà troppo tardi”.
Questo chiosare sulla sua buona fede in realtà ne
rafforza implicitamente la mala fede: affermando di
rinunciare ad una possibilità inesistente, il nostro
self-made-man conferma di voler ricorrere di fatto
al jolly dell’immunità giudiziaria. Gli alleati
plaudono gaudenti e plaude anche il PD per bocca del
suo segretario, l’ex sindaco romano Walter Veltroni
che, appoggiando la decisione del Capo dello Stato
di apporre la firma al lodo, cade nella stessa
contraddizione di Berlusconi e fa capire il perché
della debole opposizione al provvedimento, Di Pietro
e manifestanti vari ovviamente esclusi.
Ed è proprio sull’ex magistrato e paladino di Mani
Pulite - inchiesta grazie alla quale nel 1993 la
politica tutta, destra in testa, votò l’abolizione
dell’immunità parlamentare - che si sta cercando di
far defluire la controversia politica e
inevitabilmente mediatica. In una manifestazione a
sostegno dei lavoratori delle Entrate, colpiti
pesantemente dai tagli voluti dal Ministro Brunetta,
il buon Tonino è intervenuto in merito al lodo:
“Raccoglieremo le firme e attraverso il referendum
abrogheremo questa legge che non serve allo Stato,
ma solo a qualcuno”. Poi, in un eccesso di fervore
politico e pecoreccio, ha agguantato una vessillo
del suo partito aggiungendo - non si sa se rivolto
alla sua pubblica nemesi o alla bandiera – “ci vuole
la mazza, ci vuole!”.
Apriti cielo! Il popolo della libertà è insorto
immediatamente condannando le parole del leader
dell’Italia dei Valori. “Di Pietro conferma la sua
scelta per la violenza e per l'aggressione continua
dell'avversario” dice Paolo Bonaiuti,
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri. “Di Pietro dice che serve la mazza?
Qualcuno che in Italia la pensava così c'è già
stato. Ma è finito appeso a testa in giù”, questo il
paragone azzardato dell’ex Guardasigilli Castelli.
Ma se ormai l’accezione simbolica di libertà è
mutata geneticamente da concetto illuminato al più
italiano - prendendo a prestito Corrado Guzzanti -
“facciamo un po’ come cazzo ce pare”, non dobbiamo
stupirci della piega che hanno preso gli eventi.
Come suol dirsi, sia fatta la volontà popolare. Che
nessuno, togati compresi, si azzardi a minarla.
29/07/2008 Non possiamo tacere. La Lodo Alfano è incostituzionale (http://www.antoniodipietro.com)
La Lodo Alfano è incostituzionale, per quanto il Presidente
della Repubblica si ostini a ribadire il contrario.
Il Presidente Napolitano invita al dialogo, ma non c'è
nessun dialogo con un governo che non intende sedersi intorno ad un tavolo per
le riforme del Paese e che ha scelto di distruggere il sistema
giudiziario piuttosto che occuparsi dei veri problemi del Paese che
oggi sono quasi esclusivamente in ambito economico. Un governo
che troppo spesso trova sponda in un informazione a servizio della politica.
L'informazione deve essere libera, il cane da guardia dei politici.
Riporto una mia intervista pubblicata su La Repubblica di oggi.
Repubblica: Lodo: per il Colle la firma è meditata. Lei
sempre per il no?
Antonio Di Pietro: «È una questione di metodo e di merito. Né
io né l´Idv abbiamo mai mancato di rispetto istituzionale e personale a
Napolitano. Ciò premesso, faccio mie le parole di Scalfari quando dice che, in
una democrazia, pure le decisioni di un capo dello Stato si possono criticare».
Repubblica: Insiste?
Antonio Di Pietro: «L´idea che le critiche sono legittime se le
fanno altri, ma sono rozze, volgari e finanche un attentato se le faccio io non
mi va giù. Al punto che l´Idv non merita un posto nella commissione di vigilanza
Rai. Diamo fastidio a destra e a sinistra e vogliono a tutti i costi
delegittimarci perché ci rifiutiamo di essere irreggimentati in uno schema
politico».
Repubblica: Ma Napolitano doveva firmare o no?
Antonio Di Pietro: «Ci siamo solo permessi di dire che questa
legge è incostituzionale. E immorale. Non potevamo tacere. Non è un atto di
anti-democrazia. Una, dieci, cento piazza Navona, dove non ci sono state
ingiurie per Napolitano o il Papa. Vogliamo essere liberi di criticare una legge
inopportuna e pure il presidente se la firma. Ho diritto alla mia libertà di
pensiero anche se non la penso come lui».
Repubblica: Ma il presidente ha seguito la Consulta.
Antonio Di Pietro: «Sì, ora deciderà la Corte, poi gli
elettori. Il lodo resta una vera e propria porcheria per il modo e il tempo, e
per il conflitto d´interessi che c´è sotto. Domani l´Idv depositerà il
referendum».
Repubblica: Veltroni accoglie l´invito a evitare «il
muro contro muro». E lei?
Antonio Di Pietro: «Parole scontate e ovvie. Il problema è che
Berlusconi fa solo i suoi interessi. La manovra economica col voto di fiducia? E
che dialogo è? Tutti decreti, Parlamento subalterno, in una visione aziendale e
non democratica. Dialogo tra servo e padrone. "Si buana". Noi non ci stiamo. Ma
il presidente, il garante della divisione dei poteri, non deve chiedersi se il
dialogo è possibile in queste condizioni?».
Repubblica: Napolitano è contro i decreti...
Antonio Di Pietro: «Lui non deve fare il Papa urbi et orbi per
la concordia. Deve richiamare chi predica il dialogo, ma non lo pratica. Ha un
dovere, garantire la divisione dei poteri. Gli rilanciamo la palla. Se la
situazione è questa, il capo dello Stato non può chiedere un dialogo impossibile
tra i sudditi e un sovrano?».
Repubblica: Riforme: d´accordo sul «o si fanno o è il
nulla»?
Antonio Di Pietro: «Io non ci sto a questo aut aut. O si fanno
buone riforme o niente. Lodo Alfano, immunità, Csm, tutte riforme pessime. È la
stricnina data al malato, così lo lasciamo stecchito. Più che riforme sono
soluzioni finali».
Repubblica: Il richiamo a chi «scade in volgarità e
ingiurie»?
Antonio Di Pietro: «Va distinto l´insulto nei fatti e quello a
parole. Per me è più grave il primo, se uno fa satira è difficile sia penalmente
rilevante. Altro è un ministro in carica che fa quello che ha fatto Bossi. Ma è
peggio se il premier si fa una legge per non farsi processare. Questo è un
insulto al Paese e alle istituzioni».
Repubblica: E Grillo che attacca ancora il Colle?
Antonio Di Pietro: «Fa satira, ma l´Italia la governa Grillo o
Berlusconi? Le forze politiche non si nascondano dietro Grillo, se lui fa queste
critiche vuol dire che c´è una classe politica che se le merita».
Repubblica: Allora sta con Grillo?
Antonio Di Pietro: «La sua è una parolaccia di esasperazione. È
più grave quello che dice Grillo o chi ha fatto l´emendamento sulle poste
lasciando migliaia di persone senza lavoro?».
Repubblica: La stampa e l´invito alla moderazione?
Antonio Di Pietro: «I processi sono spettacolari perché
personaggi di primissimo piano commettono reati gravissimi che non farebbe
neppure un mafioso di professione. Che la stampa ne dia conto è garanzia di
democrazia».
Repubblica: La paura di una legge bavaglio sulle
intercettazioni?
Antonio Di Pietro: «Non condivido il desiderio di
normalizzazione. Voglio una libera stampa che faccia le pulci al potente di
turno perché mi garantisce che non faccia quello che vuole».
http://altrenotizie.org
Quest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons
http://www.antoniodipietro.it/
Quest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons
Archivio Giustizia
Archivio Informazione
Archivio Libera Informazione in Libero Stato
|