Alle mie osservazioni su un veto ad personam su di me per il Ministero
della Giustizia sono seguite numerose, scomposte e anche ridicole
dichiarazioni di esponenti politici, in particolare del centro sinistra.
Riporto un articolo di Marco Travaglio che le commenta.
"Se in Italia le Authority fossero una cosa seria, ce ne vorrebbe una
per la tutela delle parole. Contro gli abusi e le torsioni che subiscono,
contro l'immondo mercato che le trasforma in merci buone per tutti gli
usi. Esempio: si discute sull'opportunità o meno di nominare Di Pietro
ministro della Giustizia, dopo che Veltroni ha detto alla Bignardi che non
se ne parla proprio. Ciascuno può pensarla come gli pare, purchè –
possibilmente - argomenti il suo pensiero. Non è questo il caso di
Polito che ha dichiarato al QN: «Di Pietro ministro di Giustizia
in un governo del Pd è inimmaginabile: è come se, sul versante opposto,
pensassero a Previti ministro della Giustizia. Previti e
Di Pietro sono i due estremi di una guerra tra politica e magistratura,
alla quale il Pd si propone di mettere fine». Concentriamoci sulle parole
«Previti», «Di Pietro», «estremi», «guerra». Previti è un pregiudicato,
condannato definitivamente a 7 anni e mezzo per corruzione giudiziaria,
avendo pagato alcuni giudici per comprare due sentenze: la prima procurò
all'amico Rovelli un risarcimento non dovuto di 1.000
miliardi dallo Stato; la seconda procurò all'amico Berlusconi
la Mondadori, sottratta al proprietario De Benedetti.
Di Pietro è un ex pm, noto per aver condotto con alcuni colleghi la più
importante indagine anticorruzione della storia d'Europa, facendo
condannare 1200 colletti bianchi e salvando il Paese dalla bancarotta
finanziaria e morale. Fra l'altro Di Pietro non s'è mai occupato di
Previti, essendosi dimesso dal pool nel dicembre '94, mentre le indagini
sulle toghe sporche iniziarono nell'estate '95. In che senso i due
sarebbero gli «estremi di una guerra fra politica e magistratura»? Quale
guerra? Dichiarata da chi? Combattuta, vinta, persa, pareggiata da chi?
Negli Usa il governatore di New York è l'ex procuratore Rudolph
Giuliani, noto per le sue indagini sulla mafia e i colletti
bianchi di Wall Street (vedi film con Michael Douglas), che fece arrestare
in gran quantità: a qualcuno è mai venuto in mente di paragonarlo ai suoi
ex-imputati, di dire che questi e quello sono gli «estremi di una guerra
tra mafia/alta finanza e magistratura»? Totò direbbe: «Ma mi faccia il
piacere, parli come bada». Sullo stesso tema si esercita un altro gigante
del pensiero, Boselli, quello che usa Gesù come
testimonial per far rieleggere De Michelis e Bobo
Craxi: «Di Pietro è il simbolo della giustizia spettacolo, non
può fare il Guacdasigilli». Che significa «giustizia spettacolo»? Di
Pietro partecipò forse a show televisivi ai tempi di Mani Pulite? Mai
visto in tv, mai dato interviste ai giornali (salvo una, molto generica, a
Biagi). Giustizia spettacolo è quella di Cogne, Rignano, Erba, Perugia,
Garlasco, cioè dei processi celebrati in tv: Di Pietro i suoi li faceva in
aula, infatti i colpevoli venivano scoperti e condannati. Boselli dica che
Di Pietro non gli piace perchè ha fatto condannare i suoi migliori amici e
lui non se n'è ancora riavuto. Ma che senso ha vaneggiare di «giustizia
spettacolo»? Il fatto è che, quando si parla di giustizia, chi non ha
argomenti innesta il pilota automatico e dà fiato alla bocca con le solite
frasi fatte senza senso. Don Gelmini, imputato di
molestie sessuali su dieci ragazzi, ha così commentato la richiesta di
rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Temi: «È il risultato della
tempesta mediatica che ha accompagnato I'inchiesta». Ma l'inchiesta non è
stata accompagnata da alcuna tempesta mediatica, visto che se n'è saputo
qualcosa solo quand'era finita. I giornali ne hanno scritto per la
notorietà dell'indagato e per la gravità delle accuse: ma questa si chiama
cronaca giudiziaria, non tempesta mediatica. E non può essere la causa
dell'indagine, visto che è venuta dopo: è l'effetto. Così come la
richiesta di rinvio a giudizio è l'effetto dell'indagine, non della
cronaca giudiziaria. Sergio Romano, che sulla giustizia
non ne ha mai azzeccata una, si arrampica sugli specchi del Corriere a
proposito degli evasori in Liechtenstein: a suo avviso c'è stata una
«reazione giustizialista di una parte dell'opinione pubblica». Che
significa «reazione giustizialista»? E, di grazia, quale sarebbe la
reazione appropriata del cittadino che paga le tasse anche per i furboni
che occultano il bottino a Vaduz? Dovrebbe chiamare i furboni per
complimentarsi? O scrivere ai giudici perché non li disturbino? Ci faccia
sapere."
Presentazione di Jean-Leonard Touadi, candidato IdV

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