Lo
abbiamo ben capito, i soldi non ci sono, dice il governo. E sappiamo anche -
come lo sa anche il governo - che quei sei miliardi che servirebbero per
detassare almeno la tredicesima dei lavoratori dipendenti se ne sono andati
nelle note operazioni elettorali di ICI e Alitalia. Ed è probabile anzi che la
spesa per la nostra compagnia di bandiera non finisca qui, perché la CAI è
tuttora traballante e fra le altre cose occorre restituire i trecento milioni
presi in prestito.
E poi, se vogliamo davvero dirla tutta a un governo che continua a sostenere la
"saggezza" del proprio comportamento, ci sarebbero anche da mettere in conto
almeno 5,2 miliardi di condoni tremontini - diciamo così - "non perfezionati
dagli evasori" ( hanno chiesto il condono, hanno pagato la prima rata e lì, fine
delle trasmissioni) che la Corte dei Conti ha segnalato come non ancora
incassati qualche giorno fa. Dunque questo non proprio irreprensibile governo si
mostra blindato soltanto da una parte, quella oggi meno protetta dalla crisi che
è arrivata, mentre nei confronti di ricchi, furbetti ed evasori la manica è
sempre molto larga. L'ultima notizia sul fronte dei tagli è quella dei fondi per
risarcire i nostri soldati restati vittime di contaminazione da uranio
impoverito.
A questo punto piangere sul latte versato da altri non serve. Servono invece
proposte chiare per reperire denaro fresco con cui fare fronte alle esigenze
delle famiglie in povertà ( circa 7,5 milioni al di sotto della soglia, più
altrettanti appena al di sopra) e alle piccolissime, piccole e medie imprese che
rischiano la chiusura, con immaginabili ricadute sulla occupazione.
Una proposta secca. In uno Stato democratico e solidale in momenti di crisi le
risorse si prendono dove producono minor danno sociale. In Italia è inutile
continuare a sanguisugare il lavoro dipendente e le pensioni più di quanto è
stato fatto finora, occorre cercare altrove. La scelta poi non è così difficile,
basta guardare alle rendite finanziarie vere ( non i bot risparmiati dalle
famiglie, per intenderci, parlo di cifre da nove zeri in su), basta guardare ai
grandi patrimoni e agli stipendi stellari. E' questo o no il momento in cui per
aiutare chi ha un reddito di diecimila euro l'anno, tanto per dire, si chiede di
mettere mano al portafogli a chi, a parità di situazione familiare, ne ha almeno
dieci volte tanto ? Io trovo molto più dignitoso parlare di una tassa
"patrimoniale una tantum" piuttosto che di social cards con le quali ci compri a
malapena un cappuccino al giorno. Un errore di valutazione che mi ricorda il
tramonto della monarchia francese, quando all'annuncio della carenza di pane per
il popolo si consigliava di mangiare brioches. Ma almeno a quei tempi li
decapitavano, qui tocca tenerceli a palazzo chigi.
La mia non è una provocazione. Se siamo davvero uno stato democratico va fatto.
Se fa paura chiamarla tassa patrimoniale, chiamiamola pure "PAPERON TAX" che
magari è più simpatico e ha anche più senso. In momenti di magra, il tanto
denaro accumulato ( e per altro tassato a meno della metà degli altri redditi)
nelle rendite finanziarie può e deve fare comodo a un governo in crisi di
risorse. Il governo, anche se targato Berlusconi, deve rispondere a tutta
l'Italia, non può cavarsela con una scrollatina di spalle e una social card. Già
è poco sano di per se ragionare in termini di una tantum, ma se si sceglie di
battere questa strada, almeno si abbia l'accortezza di non fare ancora più male
a chi sta peggio di tutti.
Non solo Il Pd ma tutta l'opposizione in parlamento e nel paese devono chiedere
una tassa una tantum sulle rendite finanziarie. Il Pd deve difendere il disagio
e inchiodare Berlusconi alle sue responsabilità. Il Pd deve tirare fuori le
palle.
Stefano Olivieri
http://www.canisciolti.info
Archivio Fisco
|