Londra è una
città affascinante. Non sarà un posto esotico come Bahamas, o soleggiato
come Monaco, ma è comoda da raggiungere e offre tutto quello che si può
desiderare, in termini di vita sociale e divertimenti. Forse è per questo
che è diventata la meta privilegiata dei magnati russi, e non solo. Ma,
forse, è anche perché nel Regno Unito si possono pagare poche tasse.
Le cronache di stampa hanno dato notevole risalto al contenzioso tra il
Fisco italiano e Valentino Rossi. La vicenda è così diventata, come sempre
più spesso accade nei mass media, argomento da gossip, mentre invece
dovrebbe indurre a riflettere sulle nuove modalità di pianificazione
fiscale all’interno dell’Unione Europea. In sostanza, perché proprio il
Regno Unito?
Conviene ancora emigrare in un paradiso fiscale?
Nel sistema fiscale italiano, l’imposta sui
redditi delle persone fisiche è applicata in modo distinto a seconda che il
contribuente sia o meno residente: nel primo caso è tassato sui redditi
ovunque prodotti (cosiddetto world wide taxation principle), mentre nel
secondo solo su quelli realizzati nel territorio dello Stato.
Per sfuggire all’imposizione in Italia, una forma tradizionale quanto
rudimentale di pianificazione è rappresentata dallo spostamento della
residenza in un paese "a bassa fiscalità". In questo modo, diventano
tassabili nel paese originario di residenza (l’Italia) solo i redditi ivi
prodotti (1), mentre sfuggono quelli (tutti gli altri) realizzati al
di fuori. A questi ultimi, sarà applicabile solo la bassa (oppure nulla)
imposizione vigente nel paradiso fiscale di nuova residenza.
Un tale espediente risulta però oggi di difficile attuazione per effetto
della disciplina, introdotta all’articolo 2, comma 2-bis del Tuir,
che, invertito l’onere della prova circa la residenza di un soggetto, ha
stabilito che spetta al soggetto trasferito provare che effettivamente il
centro dei propri affetti e dei propri affari (nozione sostanziale di
residenza) non è più localizzato in Italia bensì nel paradiso fiscale. In
difetto di tale prova, difficile da fornire nei trasferimenti fittizi,
l’amministrazione finanziaria può continuare a considerare i soggetti
residenti e tassarli di conseguenza. Sennonché, questa particolare
presunzione opera solo nei casi di trasferimento della residenza verso
taluni paesi, caratterizzati da imposizione sui redditi con aliquote
particolarmente basse o nulle, espressamente individuati con un decreto
ministeriale. (2) Tra questi, non è annoverato il Regno Unito.
O è meglio la nebbia di Londra?
Quanto detto, non risponde però ancora alla domanda:
perché proprio Londra?
A prima vista, peraltro, il sistema fiscale britannico non sembra così
vantaggioso, se si considera che l’aliquota marginale dell’imposta sui
redditi è del 40 per cento: non proprio un’aliquota di favore.
Il discorso tuttavia cambia se dall’aliquota si passa a considerare i
redditi tassabili, perché la particolarità (o, meglio, la convenienza)
del regime britannico sta proprio nella loro individuazione.
Fondamentale è la distinzione tra residenti e residenti non domiciliati. Se,
per regola generale, i residenti sono soggetti a imposta sui redditi
ovunque prodotti, i residenti non domiciliati sono tassati sui soli
redditi realizzati nel Regno Unito nonché su quelli prodotti altrove e
rimpatriati. (3) Nel caso di residenti non domiciliati, pertanto, i
redditi prodotti all’estero e non fatti rifluire nel Regno Unito restano
sottratti a tassazione. (4)
Per un’integrale soggezione all’imposta sui redditi britannica, insomma,
non basta essere residenti nel paese; occorre esservi anche domiciliati. E –
semplificando il discorso - se la residenza è relativamente facile da
acquisire (ad esempio, con la permanenza per almeno 183 giorni; o con un
periodo di permanenza medio di 91 giorni su quattro anni; o con l’acquisto
di un’abitazione), anche evitare di prendere il domicilio non risulta poi
così complesso: per essere domiciliati nel Regno Unito occorre manifestare
(anche su appositi moduli) l’intenzione (animus manendi) di restare nel
paese indefinitamente. (5) Diversamente, non si è considerati
domiciliati, senza che ciò comprometta la questione della residenza.
Appare insomma relativamente semplice acquisire lo status di residente non
domiciliato. La convenienza di tale status, tuttavia, si apprezza in
particolare per coloro che realizzano ingenti redditi all’estero e che
possono evitare di farli confluire nel Regno Unito. E così, discriminando i
residenti domiciliati (in primis i cittadini britannici) (6) da
quelli non domiciliati, ecco realizzate le condizioni per un regime
estremamente appetibile per immigrati facoltosi: un regime, a ben vedere, da
vero e proprio paradiso fiscale. (7)
Ma il Fisco sta a guardare?
La quadratura del cerchio, per colui che intende spostare
la propria residenza per ragioni fiscali, sembra realizzata: una sostanziale
detassazione dei redditi prodotti, senza che si renda applicabile alcuna
disposizione antielusiva. Il gioco non è però così semplice.
Il fatto che il Regno Unito non rientri tra i paesi cui è applicabile
l’articolo 2 comma 2-bis del Tuir, non significa che il Fisco
(italiano) sia privo di strumenti di controllo. Se l’amministrazione
finanziaria prova che di fatto, e per almeno 183 giorni nell’anno, il centro
principale degli affari e interessi oppure dei rapporti morali, sociali e
familiari è situato in Italia, il soggetto può essere considerato
fiscalmente residente in Italia, nonostante lo status di residente, non
domiciliato, britannico. Il trasferimento di residenza, se fittizio, resta
insomma contrastabile. Rimane però il fatto che l’onere della prova
incombe qui sul Fisco e ciò, indubbiamente, rende più difficoltoso avversare
trasferimenti meramente fittizi di residenza.
Ed è per questo, forse, che le nebbie di Londra appaiono preferibili al sole
dei Caraibi. Il modo migliore per nascondere qualcosa è lasciarlo in bella
mostra sul tavolo; ma se c’è anche la nebbia, è meglio: la nebbia confonde
le forme, perché nella nebbia "nessun essere conosce l’altro". (8)
Almeno fino al momento in cui l’efficiente funzionario fiscale, riesce,
nella nebbia, a penetrare.
(1) Come è il caso dei redditi degli immobili presenti sul territorio.
(2) Dm 4 maggio 1999.
(3) Cosiddetta Taxation on the remittance basis.
(4) Ma anche questa regola è eludibile (Cfr. G. Clarke, "Offshore tax
planning", 2004, pag. 125).
(5) Per coloro che non lo sono dalla nascita.
(6) Nel 1992, Gordon Brown, allora Cancelliere, aveva annunciato come
imminente un cambiamento delle regole sul domicilio ai fini fiscali. Di tale
cambiamento, tuttavia, sembra essersi persa traccia.
(7) Emblematica la voce Taxation in the United Kingdom su Wikipedia:
"for individuals resident but not domiciled in the UK (…) the UK is
sometimes called a tax haven" (http://en.wikipedia.org/wiki/Taxation_in_the_United_Kingdom).
(8) H. Hesse, Nella nebbia.
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