La polemica sui presunti privilegi fiscali della
Chiesa italiana arriva in Europa. Su sollecitazione dei Radicali, la
Commissione europea è pronta a chiedere chiarimenti al Governo italiano.
Ieri, la precisazione di mons. Betori.
Come se i problemi
reali non fossero ben altri, la Commissione europea è pronta a chiedere
chiarimenti al Governo italiano sui presunti privilegi fiscali della
Chiesa. La notizia è stata data dal portavoce di Neeli Kroes,
commissario per la concorrenza, che ha spiegato di aver chiesto alle
autorità maggiori informazioni. "Non sappiamo ancora se aprire
un'inchiesta o meno, - ha spiegato il portavoce Jonathan Todd - anche
perché non abbiamo abbastanza informazioni e ne chiederemo delle altre,
per via scritta o verbale". “A partire dal momento in cui si ha davanti
un organismo che svolge delle attività economiche, - ha detto ancora
Todd - occorre valutarle dal punto di vista della concorrenza, e quindi
in questo caso degli aiuti di Stato".
Rispondendo ai cronisti a Bruxelles, Todd ha anche riferito che la
Commissione europea si è messa in moto dopo aver ricevuto nel 2006
diverse segnalazioni da parte di soggetti italiani di cui non ha però
voluto riferire l'identità. "E' per proteggere chi presenta denunce da
eventuali rappresaglie da parte dei competitori. Con questo non voglio
dire che la Chiesa abbia l'abitudine di fare rappresaglie ma è la nostra
regola standard", ha precisato.
Il caso è stato sollevato dai Radicali, che hanno portato in Europa le
polemiche già note a casa nostra. In particolare, è stato il deputato
Maurizio Turco a contestare le esenzioni del pagamento dell'Ici per le
attività commerciali della Chiesa, abolite dal decreto Bersani dello
scorso anno, ma sopravvissute per quanto riguarda gli immobili
commerciali. Le esenzioni ammonterebbero a circa 400 milioni di euro
all'anno.
Appena ieri, tuttavia, il segretario della Cei, mons. Giuseppe Betori,
aveva chiarito nuovamente i termini della questione. ''L'esenzione dall'Ici
è materia del tutto estranea agli accordi concordatari, che nulla
prevedono al riguardo, - aveva detto - e si applica alle sole attività
religiose e di rilevanza sociale, deriva dalla legislazione ordinaria ed
è del tutto uguale a quella di cui si giovano gli altri enti non
commerciali, in particolare del terzo settore''.
E ancora: ''Chi contesta un tale atteggiamento dello Stato verso
soggetti senza fine di lucro operanti per la promozione sociale in campo
assistenziale, sanitario, culturale, educativo, ricreativo e sportivo,
manifesta una sostanziale sfiducia nei confronti di molteplici soggetti
sociali di diversa ispirazione, particolarmente attivi nel contrastare
il disagio e le povertà. Sarebbe infatti incongruo che lo Stato gravasse
quelle realtà, ecclesiali e non, che perseguono fini di interesse
collettivo. A quanti poi mettono in discussione il Concordato tra Santa
Sede e Italia, è bene far presente che esso ha prodotto pace sociale e
frutti di collaborazione, di cui si avvantaggia tutto il popolo
italiano''.
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