La proposta del presidente del
Consiglio Romano Prodi di abbattere l’Ici sulla prima casa, con
vantaggi maggiori per le famiglie numerose, tocca tre temi: la finanza
comunale, i rapporti tra governo ed enti locali, la famiglia. Per valutarla
correttamente, quindi, occorre esaminare ciascuno dei tre profili.
Profilo d’imposta
Nella finanza comunale l’imposta comunale sugli immobili è, e
dovrebbe restare, l’entrata tributaria più importante.
Come in tutto il mondo. L’immobile sta in un posto definito e quindi non
crea conflitto tra comuni sull’attribuzione del gettito. È inoltre
beneficiario di una buona parte della spesa locale: per viabilità,
trasporti, arredo urbano, illuminazione, sicurezza, eccetera. L’Ici risponde
perciò al principio tributario del beneficio, che a livello locale ha
sempre e ovunque svolto un grande ruolo, anche nell’ambito di un complessivo
sistema tributario ispirato, come in Italia, al principio della capacità
contributiva. È l’idea suggestiva , parziale ma non del tutto falsa, della
città come un grande condominio, in cui l’unità abitativa è il principale
riferimento per il dare e l’avere. L’Ici è in regola anche con il principio
della capacità contributiva. Un’imposta proporzionale al patrimonio risulta
a livello aggregato progressiva rispetto al reddito, perché i patrimoni sono
più concentrati dei redditi. A maggior ragione se c’è una detrazione per la
prima casa e se le seconde case, ancora più concentrate delle prime, sono
penalizzate a livello di imponibile e di aliquota.
Naturalmente, dire che l’Ici come imposta cardine dell’autonomia
comunale va bene in linea di principio, non significa che non si possano
introdurre miglioramenti o che ciò giustifichi l’imposizione di qualsiasi
onere. È stato dunque probabilmente opportuno, nei relativamente pochi casi
in cui in realtà questo è successo (LINK ZANARDI), far fronte alle maggiori
spese comunali con un aumento dell’addizionale Irpef e non dell’Ici. Ma ora
la struttura della finanza comunale appare abbastanza equilibrata. Non è
quindi su questo piano che la proposta di Prodi può trovare ragioni.
Rapporti finanziari tra governo ed enti locali
Il governo si è dichiarato disponibile a elargire ai comuni
trasferimenti perfettamente compensativi del gettito perduto. Ma non va
bene. Dopo tutta la fatica fatta negli ultimi quindici anni per andare verso
una struttura finanziaria composta da maggiori tributi locali e minori
sussidi, ossia del binomio autonomia-responsabilità, si deve invertire ora
la marcia? Sarebbe un esito paradossale, visto l’annuncio del governo di
uscire presto con un disegno organico di riforma della finanza pubblica
nella sua articolazione territoriale: una riforma che dovrebbe finalmente
realizzare il tanto invocato federalismo fiscale previsto
nell’articolo 119 della Costituzione, nel testo del Titolo V riformato
dall’Ulivo nel 2001. Ed è bene ricordare che i trasferimenti erariali,
eccetto per quelli perequativi, non trovano spazio nella struttura
finanziaria degli enti locali prevista da quell’articolo.
Quale politica per la famiglia
Resta dunque la politica per la famiglia. E questa sì, può fornire
ampie giustificazioni a una manovra di maggiori detrazioni per la prima
casa, crescenti con il numero dei componenti, ma senza arrivare
all’abolizione generalizzata dell’Ici sulla prima casa, che risulterebbe
contraria sia al principio del beneficio che a quello della capacità
contributiva. In effetti, per la famiglia occorre spendere molto di più, pur
in una complessiva politica di rigore di bilancio. Ma la politica per la
famiglia è fatta di agevolazioni fiscali, di assegni familiari, di edilizia
pubblica e consultori, di asili nido e altri servizi sociali, di assistenza
sanitaria domiciliare, di una più adeguata azione di sostegno agli anziani
che ora gravano sulla famiglia e in particolare sulla donna.
È il caso di varare subito un provvedimento parziale, quando il governo ha
promesso una strategia globale sul tema, al punto di creare una apposito
ministero? Un intervento immediato e limitato è giustificato quando sia
inserito in un programma complessivo già messo a punto, da attuarsi
gradualmente in un quadro di garantita coerenza tra le misure presenti e
future. Oppure quando non si sa se e quando si riuscirà a formulare un
quadro d’insieme, sicché si fa subito almeno quel qualcosa di buono che
si può già ora realizzare. Oggi, a credere agli annunci del governo,
entrambe le ipotesi non sussistono. I due disegni strategici, per la
famiglia e per i rapporti tra finanza centrale e finanza locale, sono
infatti in itinere, ma ragionevolmente vicini.
Buone, dunque, le ragioni dal lato della politica per la famiglia, che
potrebbero forse compensare gli effetti negativi sotto il profilo della
finanza comunale e dei rapporti tra centro e periferia. Ma non si comprende
il perché di tanta fretta quando federalismo fiscale e una coerente
politica per la famiglia sembrano alle porte
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