Negli ultimi
quattro anni, l’Irpef è stata oggetto di ben tre episodi di riforma.
Prima della Finanziaria 2007, sono intervenuti sulla sua struttura i
due moduli della "riforma Tremonti", uno entrato in vigore nel 2003,
l’altro nel 2005. Al primo modulo erano associati non solo migliori
effetti distributivi, ma anche un gettito fiscale più ampio (6-7 miliardi).
Del secondo, la coalizione di centrosinistra aveva dato un giudizio
negativo, tanto che alcuni politici avevano proposto di abolirlo. È quindi
interessante verificare in quale misura la riforma di quest’anno riesca a
controbilanciarne l’impatto, decisamente regressivo. (1)
Un secondo aspetto ha suscitato molte polemiche negli ultimi giorni: è
il ruolo che potranno avere gli aumenti delle addizionali deliberati
da molti enti territoriali. La domanda è se gli aumenti saranno tali da
compensare gli effetti positivi che ci si attende dalle modificazioni dell’Irpef
nazionale e degli assegni familiari.
L’impatto delle riforme
A un campione rappresentativo delle famiglie italiane,
tratto dall’indagine Banca d’Italia, abbiamo applicato le tre recenti
riforme dell’imposta personale. Valutiamo il loro impatto su una stessa
distribuzione del reddito. Per semplicità, le regole di calcolo dell’Irpef e
degli assegni familiari sono le sole a variare da un caso all’altro, mentre
i valori nominali dei redditi al lordo dell’Irpef sono mantenuti costanti.
Se ordiniamo le famiglie in dieci gruppi (decili) di uguale numerosità in
base a valori crescenti del reddito disponibile familiare lordo, dove il
primo decile rappresenta il 10 per cento più povero delle famiglie, nella
figura 1 vediamo come, in termini percentuali, il reddito disponibile
familiare equivalente di ciascun decile è variato a seguito di ciascuna
delle tre riforme considerate. Ogni curva mostra la variazione percentuale
del reddito disponibile a seguito di una modifica dell’Irpef e degli assegni
rispetto alla situazione immediatamente precedente. Per essere chiari, la
curva "secondo modulo" mostra come sono cambiati, a seguito del secondo
modulo della riforma Tremonti, i redditi disponibili che già incorporano
l’effetto del primo modulo. La curva "legge Finanziaria 2007", a sua volta,
dice come varieranno quest’anno i redditi che hanno già beneficiato delle
due riforme precedenti. La figura successiva presenta le variazioni assolute
del reddito disponibile in euro annui. Per valutare l’effetto complessivo
delle tre riforme, basta sommare le tre curve (totale). In realtà, non
tenendo conto del fiscal drag, queste curve sovrastimano l’impatto
sui redditi delle riforme, ma permettono un confronto semplice e immediato.
I due moduli del governo Berlusconi hanno avuto un costo totale di
circa 13 miliardi di euro, mentre la riforma più recente non dovrebbe
costare più di un paio di miliardi (anche meno, secondo le stime ufficiali).
Il primo modulo è stato favorevole ai redditi medio-bassi, mentre ha
interessato poco gli altri. Quello successivo ha avuto un impatto opposto,
beneficiando in modo particolare la coda superiore della distribuzione. Con
il governo di centrosinistra gli obiettivi distributivi cambiano
radicalmente: la riforma della Finanziaria 2007 avvantaggia i redditi
medio-bassi, ma in misura trascurabile i poveri, e riduce quelli alti.
Non si è però semplicemente ripristinato lo status quo. La diminuzione dei
redditi alti non è tale da compensare i guadagni ottenuti in precedenza: con
il secondo modulo le famiglie appartenenti al 10 per cento a maggior
reddito hanno beneficiato di un incremento superiore all’1 per cento,
cioè circa 1.200 euro all’anno (vedi figura 2), ora ne restituiscono la
metà. In altre parole, i "ricchi" pagheranno nel 2007 meno Irpef di quanto
pagavano nel 2004.
Fig. 1 e 2 - Variazione percentuale e assoluta del reddito disponibile
familiare a seguito delle riforme Irpef degli ultimi anni

Se poi ragioniamo sull’intero arco di tempo qui considerato, 2002-2007,
emergono altri aspetti interessanti. Osservando la linea del "totale" nella
figura 1 e, con maggiore precisione, gli indicatori di diseguaglianza
della tabella, si nota che, tra il 2002 e il 2007, pur in presenza di una
riduzione dell’incidenza dell’imposta personale, che ha di per sé un effetto
distributivo regressivo, si riduce comunque la diseguaglianza, grazie alla
progressività dell’imposta e al ruolo degli assegni familiari. L’indice di
Gini scende infatti, tra il 2002 e il 2007, di 4 decimi di punto.
Tabella 1 - Indice di diseguaglianza dei redditi
familiari
Reddito familiare equivalente |
Gini |
Reddito pre imposte e assegni |
0.3879 |
Irpef e Anf (2002) |
0.3439 |
Primo Modulo (2003) |
0.3417 |
Secondo Modulo (2005) |
0.3428 |
Finanziaria 2007 |
0.3399 |
Finanziaria 2007 + Addizionali 0,2% |
0.3396 |
Finanziaria 2007 + Addizionali 0,4% |
0.3393 |
Il ruolo delle addizionali
Il dibattito su chi guadagna e chi perde nella
redistribuzione monetaria, anziché spegnersi, pare ora riproporsi a livello
locale. In che misura gli sgravi concessi dall’ultima Finanziaria saranno
compensati dagli aumenti delle addizionali da parte di Regioni e comuni?
Non è molto utile presentare calcoli relativi a specifiche realtà locali,
perché non sarebbero rappresentativi dell’intera collettività nazionale.
Consideriamo allora due casi ipotetici molto semplici: cosa accade se
sia l’addizionale regionale che quella comunale aumentano di due decimi di
punto? E se aumentano ciascuna di quattro decimi di punto? Il primo dei due
casi è una ragionevole media tra quelli in cui le addizionali non cambiano e
quelli che vedono incrementi anche superiori. Il secondo caso è invece
piuttosto estremo, ma certamente realistico per alcune realtà. Mentre la
riforma Irpef della Finanziaria produce a livello nazionale benefici per il
70 per cento delle famiglie, questa percentuale scende al 60 per cento
se le addizionali aumentano di due decimi di punto, e al 45 per cento
se aumentano del doppio. L’impatto redistributivo comunque resta
positivo, anzi viene leggermente accentuato, come mostrato dagli indici di
Gini in tabella, perché l’incidenza media cresce e perché le addizionali
escludono i redditi bassi.
Il risultato di progressività delle addizionali che otteniamo sarebbe
ulteriormente accentuato se tenessimo conto di altre due possibilità che gli
enti decentrati hanno: le Regioni possono differenziare le aliquote, e i
comuni possono aumentare la soglia esente al di sopra della no tax area
definita a livello nazionale.
La figura 3 ci dice che l’incremento percentuale del reddito disponibile si
riduce, considerando le addizionali, soprattutto per i redditi alti,
e che in effetti un aumento delle addizionali può ridurre significativamente
i benefici della manovra decisa a livello centrale.
Il governo ha puntato molto sull’Irpef per realizzare l’obiettivo di una
maggiore "equità" indicato nel
Dpef. È vero che per apprezzare quanto davvero sia equo e razionale un
sistema di tassazione e trasferimento non ci possiamo fermare a considerare
solo il lato dei trasferimenti monetari (imposte e sussidi), ma bisogna
anche tener conto della
qualità e della quantità dei servizi offerti sia a livello centrale
che locale. Tuttavia, nel significato restrittivo che il termine equità ha
finito per assumere nel dibattito sulla Finanziaria, il fatto che, come la
figura 3 dice chiaramente, cittadini residenti in aree diverse
saranno trattati in modo molto diverso dalla riforma complessiva dell’Irpef,
può non apparire molto "equo".
Fig. 3 – Variazione percentuale del reddito disponibile
familiare a seguito della Finanziaria 2007, con e senza incrementi delle
addizionali

(1) Il secondo modulo della riforma Tremonti era
considerato dal governo Berlusconi solo un passo verso uno schema a due
aliquote, 23 e 33 per cento, che avrebbe ulteriormente favorito le fasce
alte della distribuzione.
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