Al momento della presentazione della Legge finanziaria per il 2005, che
come è noto prevede una manovra pari a 24 miliardi di euro, il Governo ha
annunciato che avrebbe presto presentato uno o più interventi paralleli
volti a rafforzare la competitività delle imprese e a garantire
sgravi fiscali per circa 6 miliardi di euro.
A distanza di più di un mese e mezzo dalla presentazione della
Finanziaria (quando già metà del tempo complessivamente riservato alla
discussione parlamentare è passato), ancora non si conosce l’esatta
entità, ripartizione e natura di questi interventi. All’incertezza
sulla possibilità di reperire davvero i 24 miliardi di euro previsti, si
è andata via via associando una crescente incertezza sugli obiettivi
prioritari che il Governo intende perseguire e sugli strumenti con cui
intende perseguirli.
Meno tasse per le imprese?
Tra le tante ipotesi che si sono fino ad ora susseguite, le ultime in
ordine di tempo attribuiscono un certo rilievo all’idea che la riduzione
delle imposte possa interessare anche le imprese. Un obiettivo che si
potrebbe in linea di principio condividere, se si potesse prescindere dai
delicati equilibri di bilancio pubblico e se si ritenesse che ad aumentare
la competitività delle imprese possa contribuire la leva fiscale, in
sinergia con altre importanti politiche (industriali, del credito, della
riduzione dei costi da burocrazia, di velocizzazione della giustizia
civile, di lotta all’illegalità, eccetera). Ma le misure prospettate
vanno davvero in questa direzione?
Le proposte più recenti
Gli interventi sulla fiscalità delle imprese di cui si parla (e vale
il caveat che le ipotesi sul tavolo cambiano con una tale rapidità che ci
si può facilmente trovare a commentare ipotesi che sono già vecchie)
sono esclusivamente concentrati sull’imposta regionale sulle attività
produttive (Irap). Dal punto di vista aggregato, la riduzione
prevista ammonta a due miliardi di euro, pari a circa il 6 per cento del
gettito che l’imposta ha fornito nel 2003.
Sono tre le aree di intervento suggerite. In primo luogo, si
propone una deducibilità dall’Irap delle spese per il personale
impiegato nella ricerca. Il sostegno alla attività di ricerca e
sviluppo è un elemento indubbiamente importante per la competitività
delle imprese. Ma il tetto massimo di 300 milioni entro cui è confinato
l’intervento, getta seri dubbi sulla sua efficacia, specie in confronto
alle più importanti esperienze
internazionali .
Il cuore dell’intervento sembra essere rappresentato dal raddoppio
della deduzione dall’imponibile, da 7.500 a 15mila euro, riservata
ai soggetti con base imponibile non superiore a 180.759,91 euro. Si tratta
del potenziamento di una esenzione originariamente introdotta dal
precedente Governo (Legge finanziaria per il 2001), volta a limitare
l’impatto dell’Irap sulle attività produttive minori. La scelta di
potenziare questa misura, che favorisce piccole imprese, commercio e
lavoratori autonomi, può forse essere interpretata come una proposta di
scambio: un abbattimento Irap, in cambio di minori resistenze alla
revisione degli studi di settore prevista dalla Legge finanziaria
presentata il 30 settembre (da cui il Governo si attendeva 3,8 miliardi di
euro). Ma non contribuisce certo a rafforzare la competitività delle
imprese italiane. Meglio sarebbe stato, come a un certo punto ha
prospettato lo stesso Governo, impiegare le risorse destinate alle Pmi al
fine di incentivarne la crescita dimensionale.
Un terzo tipo di intervento è finalizzato a incentivare l’occupazione.
Dovrebbe consistere nell’abbattimento della base imponibile dell’Irap
per un ammontare pari a 20mila euro (equivalente a un risparmio di imposta
di 850 euro) per ogni nuovo assunto (che comporti un incremento del numero
degli occupati). La cifra in questione sarebbe poi raddoppiata nel caso di
assunzioni operate nel Mezzogiorno.
Si è cercato quindi di condensare in un’unica misura due obiettivi: la
"fiscalità di vantaggio" (a favore del Sud, di cui tanto si è
parlato negli ultimi tempi) e il sostegno all’occupazione. Lo strumento
proposto riproduce, con qualche modificazione, una misura già esistente:
il bonus occupazione. Si tratta di un credito di imposta, originariamente
istituito dal precedente Governo con la Finanziaria per il 2001,
attualmente pari a 100 euro al mese (300 euro nel caso di assunzioni al
Sud) (1), una cifra comparabile con quella attualmente in
discussione. Niente di nuovo sotto il sole quindi? Le informazioni a
disposizione non permettono di dirlo con certezza. Il bonus occupazione
vigente è infatti una misura temporanea (fino al dicembre 2006), la cui
fruizione è comunque subordinata alla disponibilità di risorse
finanziarie per la sua copertura, individuata di anno in anno dalla
Finanziaria. La nuova misura aumenterà la portata dell’incentivo solo
se sarà concepita come permanente e in dipendenza dell’ammontare
di risorse a essa specificamente destinate. In caso contrario, si tradurrà
in una riedizione, peggiorativa, dell’esistente. Oggi infatti il credito
di imposta può essere utilizzato in riduzione di una qualsiasi imposta
dovuta dal datore di lavoro, e non quindi della sola Irap, come è invece
il caso della proposta in discussione.
Una buona notizia
1. Gli interventi prospettati dal Governo per le imprese, seppure non
del tutto trascurabili in termini di risorse finanziare (2 miliardi di
euro), ricalcano in larga parte politiche già adottate, senza
privilegiare la concentrazione delle risorse al raggiungimento di un obiettivo
specifico. In particolare si è abdicato a interventi più cospicui
per le attività di R&S e altri investimenti strategici, e più
concentrati sulla ristrutturazione e crescita delle imprese. Le aspre
critiche, da più parti avanzate, in primo luogo da Confindustria, sono da
questo punto di vista condivisibili.
2. Le misure proposte non possono essere interpretate come primo passo in
direzione della totale abolizione dell’Irap prevista dalla legge delega
di riforma fiscale. Secondo gli intenti originari del Governo, tale primo
passo avrebbe dovuto consistere in una riduzione della base imponibile
dell’Irap pari al 20 per cento del costo del lavoro, con un onere
stimato (per il 2003) di 2,3
miliardi di euro . Gli interventi ora prospettati dal Governo invece
non riguardano solo il costo del lavoro e pur contribuendo a erodere la
base di questo tributo, non ne minano la natura. Si tratta di una buona
notizia: a differenza di quanto possano pensare molti operatori e la
stessa Confindustria, l’Irap
è un’imposta
con molti
meriti , soprattutto consente di prelevare un gettito notevole
(circa 33 miliardi, di euro nel 2003, inferiore all’Irpef e all’Iva,
ma superiore all’imposta sulle società, Ires) con una aliquota
relativamente molto bassa (4,25 per cento contro, ad esempio, il 33 per
cento dell’Ires). La sua abolizione priverebbe le Regioni di
un’importane fonte di finanziamento e andrebbe compensata. Difficile
pensare che sia possibile farlo comprimendo le spese e ampiamente
discutibile sarebbe farlo sostituendo a questa imposta, che presenta
apprezzabili caratteristiche di neutralità, altre forme di prelievo, più
distorsive.
In conclusione, piuttosto che sottoporre l’Irap a poco efficaci cure
dimagranti, sarebbe preferibile utilizzare eventuali risorse disponibili
(includendo quelle che si possono recuperare da una auspicabile revisione
e razionalizzazione degli incentivi alle imprese) per migliorare questa
imposta, ad esempio, deducendo dall’imponibile i contributi commisurati
al lavoro, per concentrare gli incentivi a investimenti qualificati, come
quelli in R&S e, non ultimo, per una riduzione generalizzata
dell’aliquota Ires, imposta certamente più distorsiva dell’Irap.
(1) L’ammontare del credito di imposta, era inizialmente molto più
generoso: 413,17 euro al mese per ogni assunto, 619,75 nel caso di
assunzioni al Sud, ma è stato ridotto dal 2003.
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