Lo scorso 5 novembre si è celebrata la giornata internazionale del
risparmio.
Come negli ultimi anni, si sono sentiti toni allarmati sul calo del risparmio
delle famiglie. L'ultima indagine Ipsos presentata per
l’occasione riscontra che il 21 per cento delle famiglie intervistate ha
consumato tutto il proprio reddito, mentre il 14 per cento ha fatto
ricorso a risparmi accumulati o a debiti per far fronte alle spese per
consumo; secondo l’indagine, in futuro il numero di coloro che non
risparmiano è destinato ad aumentare.
( http://www.acri.it/7_even/Acri_Ipsos_2004.ppt).
Le famiglie e il risparmio
I dati non sono certo una novità. Secondo la più recente Indagine sui
bilanci delle famiglie della Banca d’Italia, il 13 per cento degli
intervistati tra febbraio e settembre del 2003 dichiarava che “Il
reddito a disposizione della famiglia permette di arrivare alla fine del
mese con molta difficoltà”; il 14 per cento che il reddito consente di
“arrivare alla fine del mese con difficoltà”. Dunque, circa un terzo
delle famiglie italiane dichiarava di avere gravi problemi di bilancio.
Si conferma quanto si è letto spesso in questi mesi sui giornali, con
articoli e commenti allarmati sul grave impoverimento
delle famiglie e del paese, quasi si trattasse di un fenomeno nuovo e
prima poco diffuso. È vero che il popolo delle formiche non risparmia più?
Dobbiamo preoccuparci per le tendenze del risparmio nel nostro paese?
È aumentato davvero il numero di quelli che non risparmiano?
Le espressioni “non arrivare alla fine del mese”, “famiglie in
bolletta” e loro varianti sono generiche e non chiariscono se il
fenomeno è aumentato o si è ridotto nel tempo.
Proviamo a definire meglio il concetto. Chi non riesce ad arrivare alla
fine del mese ha un reddito inferiore al consumo, cioè un risparmio
negativo. Vuol dire che in quel mese si è indebitato presso una banca, un
parente, un amico (cioè ha aumentato le proprie passività), oppure ha
fatto fronte alle spese per consumo con risorse risparmiate in precedenza
(cioè ha ridotto le proprie attività). Per misurare il risparmio occorre
quindi conoscere sia il reddito che il consumo di una famiglia.
L’Indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle
famiglie è il migliore strumento di cui disponiamo per studiare le
tendenze del risparmio nel nostro paese, perché raccoglie informazioni
sui redditi e sui consumi delle famiglie a partire dai primi anni ottanta.
Il campione è formato da circa ottomila famiglie (24mila individui),
distribuite in circa trecento comuni italiani. I risultati dell'indagine
vengono regolarmente pubblicati nei supplementi al Bollettino statistico
della Banca. I dati raccolti presso le famiglie, in forma anonima, sono
disponibili gratuitamente per elaborazioni e ricerche. La metodologia di
rilevazione è rimasta sostanzialmente invariata nel tempo.
Naturalmente, il risparmio può riflettere errori di misura del reddito o
del consumo. Ad esempio, se una famiglia riporta tutte le spese sostenute,
ma non tutto il reddito percepito, segnalerà con maggiore probabilità
che il risparmio (cioè la differenza tra reddito e consumo) è negativo.
Al contrario, una famiglia che registra con cura tutte le entrate ma
sottostima le spese, tenderà a segnalare un risparmio positivo. Questi
errori potrebbero avere una componente sistematica, ad esempio perché il
numero di famiglie che sottostima le spese è superiore a quello che
sottostima le entrate. Tuttavia, è poco probabile che l’andamento nel
tempo del risparmio sia influenzato dagli errori di misura.
La figura 1 indica che fino al 1991 la quota di famiglie con risparmio
negativo si è ridotta di cinque punti percentuali. Durante la recessione
del 1992-93 la quota aumenta di oltre dieci punti. Dal 1993 si osserva però
una sostanziale stabilità della quota di famiglie con risparmio negativo.
L’Indagine della Banca d’Italia indica dunque che tra il 1993 e il
2002 il numero di famiglie che non risparmiano non è aumentato.
L’analisi per gruppi sociali coglie alcune differenze
di rilievo. La quota di famiglie con risparmio negativo è
maggiore tra i giovani (capofamiglia con età inferiore a 30 anni) e tra
gli anziani (oltre i 60 anni). La quota è molto più elevata tra gli
autonomi, che hanno redditi più variabili, che tra le famiglie di operai
e impiegati, che invece hanno un reddito più stabile. Infine, la quota di
famiglie con risparmio negativo è maggiore nel Mezzogiorno. Ma per tutti
i gruppi si evidenzia una sostanziale stabilità del numero di famiglie
con risparmio negativo tra il 1993 e il 2002.
Anche l’analisi della propensione al risparmio per fasce di
reddito conferma il fatto che il risparmio delle famiglie non si
è ridotto. La figura 2 mostra che negli anni più recenti il rapporto tra
risparmio e reddito delle famiglie ha mantenuto un profilo costante, per
ciascuno dei quattro gruppi di reddito considerati.
Il risparmio è una misura della povertà?
La tabella 1 riporta il rapporto tra risparmio e reddito disponibile
delle famiglie (il cosiddetto saggio di risparmio) nei principali paesi
europei, in Giappone e negli Stati Uniti. Fino al 1990 in Italia il
risparmio era pari a circa il 27 per cento del reddito. Nel decennio
successivo si è ridotto di oltre dieci punti. Dal 2000 però il saggio di
risparmio in Italia si è mantenuto stabile, con valori prossimi al 15 per
cento.
Il confronto internazionale evidenzia che nel 2004
l’Italia ha il saggio di risparmio più elevato tra i paesi
industrializzati. In Francia, Germania, Olanda e Spagna il risparmio è
intorno al 10-12 per cento del reddito disponibile. In Inghilterra, Stati
Uniti, Giappone, e in tutti i paesi Scandinavi il saggio di risparmio è
di circa tre volte inferiore a quello del nostro paese. La tabella
evidenzia anche che il risparmio si è dimezzato in Austria, Giappone,
Inghilterra, Stati Uniti; in altri paesi si è mantenuto stabile o è
aumentato (Francia, Irlanda, Olanda, Portogallo, Spagna, Norvegia).
Nonostante questo, l’Italia ha mantenuto il primo posto in classifica.
Naturalmente, un indicatore aggregato potrebbe nascondere dinamiche
molto diverse a livello di singola famiglia. Sgombriamo però il campo da
un equivoco. Il risparmio (o l’assenza di risparmio)
non è una misura di benessere o di povertà. L’ultima colonna della
tabella riporta il reddito pro capite in dollari nel 2003. La graduatoria
del risparmio non coincide purtroppo con quella del reddito. Paesi in cui
il reddito pro capite è molto più elevato del nostro (Stati Uniti,
Svezia, Danimarca, Norvegia) hanno tassi di risparmio molto più bassi.
Altri paesi, molto più poveri in termini di reddito pro capite (come la
Cina) hanno tassi di risparmio molto più elevati del nostro. Dunque, per
misurare la povertà o il benessere occorre guardare alla distribuzione
dei redditi o dei consumi tra le famiglie, non alla differenza tra reddito
e consumo. (1)
Perché allora il risparmio non è calato?
Il risparmio delle famiglie italiane rimane dunque elevato,
sia nel confronto storico che in quello internazionale, nonostante
l’abbassamento del tasso di crescita dei redditi familiari e il calo
demografico. Ciò per due ragioni.
Le riforme della previdenza degli anni Novanta hanno
drasticamente ridotto il grado di copertura previdenziale, particolarmente
per le nuove generazioni. Dalla fine del 2001 gli indicatori sul clima
di fiducia delle famiglie sono peggiorati costantemente e si sono
collocati su valori nettamente inferiori a quelli del decennio precedente.
Le famiglie hanno quindi continuato a risparmiare per compensare il calo
di ricchezza previdenziale. Allo stesso tempo, il movente
precauzionale e il timore di una caduta dei redditi hanno frenato
i consumi e favorito l’accumulazione. La figura 3 indica che il fenomeno
si è verificato soprattutto per le nuove generazioni (persone
nate dopo il 1960), quelle più colpite dalle riforma della previdenza e
più incerte sul proprio futuro.(2)
Invece il risparmio di quelli nati prima del 1960 è
calato o è rimasto costante; sono le persone che ai tempi delle riforme
Amato e Dini (1992 e 1995) erano già in pensione o che hanno potuto
mantenere, anche dopo le riforme, lo stesso livello di copertura
previdenziale.
(1) Sotto questo profilo, l’indagine della Banca
d’Italia segnala una sostanziale stabilità degli indici
di povertà e degli indici di disuguaglianza dei redditi disponibili
tra il 1997 e il 2002.
(2) Per un’analisi dell’effetto della riforma
della previdenza sul risparmio delle famiglie italiane cfr. Attanasio e
Brugiavini (Social security and households’ saving,” Quarterly Journal
of Economics, vol. 118, 2003) e Bottazzi, Jappelli e Padula (Retirement
expectations, pension reform, and their impoact on private accumulation,
settembre 2004, CSEF Working Paper n. 92 [http://www.dise.unisa.it/WP/wp92.pdf].

Fonte: Indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie,
1984-2002.

Fonte: Indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie,
1984-2002.

Fonte: Indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie,
1984-2002.

Fonte: Elaborazioni Cesifi-Dice su OECD Economic Outlook. Il PIL
pro capite è misurato in dollari. I saggi di risparmio riflettono anche
differenze nelle definizioni adottate da ciascun paese sul risparmio delle
famiglie; il reddito disponibile invece è armonizzato dall’OECD.
* dato stimato.
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