Il disegno di legge di stabilità 2013 (approvato nella riunione del c.d.m.
del 9 ottobre 2012) introduce, se verrà approvato dal Parlamento, una
tassa su alcune transazioni finanziarie.
Il testo attuale (art. 12, commi da 18 a 21) è ancora abbastanza vago e
non possiamo dire se verrà approvato in questa forma. E' quindi ancora
presto per poter esprimere giudizi definitivi, ma non vogliamo tacere le
nostre perplessità.
La nostra opinione sulla così detta (impropriamente) “Tobin Tax” è
sicuramente positiva: è fondamentale, però, che sia ben progettata.
Il 14 Dicembre scorso, il Presidente del Consiglio Monti disse che
l'Italia aveva, a livello europeo, cambiato posizione riguardo la tassa
sulle transazioni finanziarie. A seguito di questa notizia abbiamo
pubblicato un editoriale piuttosto articolo nel quale scrivevamo: “Se
correttamente progettata, una tassa sulle transazioni
finanziarie, consentirebbe, con un'aliquota ridottissima, minore dello
0,1% (le proposte più diffuse parlano dello 0,05%) di raggiungere il
duplice obiettivo di ridurre il volume delle transazioni finanziarie
speculative (intendendo qui, con questo termine, le operazioni
finanziarie fatte con un'orizzonte temporale di breve o brevissimo
periodo, senza voler dare nessuna connotazione negativa alla parola) e
produrre un buon gettito fiscale che può essere utilizzato per ridurre
la tassazione sul lavoro.”
Affinché una tassa sulle transazioni finanziarie sia efficace deve avere
tre caratteristiche:
-
l'aliquota deve essere molto bassa,
-
conseguentemente la base imponibile deve essere molto ampia
-
ed infine non deve essere agevolmente eludibile attraverso transazioni
fatte all'estero.
Ebbene, attualmente, il disegno di legge prevede l'applicazione di
un'imposta pari allo 0,05% sulle “azioni e altri
strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel
territorio dello Stato” e sulle “operazioni su strumenti
finanziari derivati” sul valore del nozionale di riferimento.
Le modalità di applicazione di quest'imposta dovranno essere stabilite
da un decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze entro 60
giorni dall'approvazione della legge. L'aliquota prevista dal governo è
abbastanza adeguata per le azioni, ma penalizzante per i derivati
(l'applicazione sul nozionale, infatti, è molto diverso
dall'applicazione sul mark-to-market, ma qui entriamo su argomenti
troppo tecnici).
Ciò che è decisamente deludente, invece, è la base imponibile. Benissimo
per l'inclusione dei derivati (1) ma non sono state incluse le valute,
le obbligazioni e tutti gli altri strumenti non emessi da società
residenti nel territorio dello Stato.
Sarebbe stato molto più utile prevedere un'aliquota anche molto più
bassa, diciamo pari allo 0,01% ma includendo tutte le
forme di transazioni finanziarie, a prescindere dalla tipologia.
Vi è poi il problema dell'eludibilità della norma. Su questo fronte il
disegno di legge non prevede nessuna misura specifica, non resta che
sperare che il decreto attuativo sia molto dettagliato in materia.
Il forte rischio è che l'Italia faccia da apripista europeo su questo
genere d'imposta, ma lo faccia in maniera tecnicamente impropria,
fungendo così da “scusa” per poter affermare che la tassa non funziona e
affossando così definitivamente il progetto a livello Europeo.
Ci saremmo aspettati, da un Governo tecnico, un intervento normativo
molto più preciso su una materia tanto delicata nella quale la lettura
scientifica è molto ampia e sarebbe bastato farne buon uso.
(1) Sebbene l'aliquota molto significativa potrebbe diminuire
drasticamente il gettito ciò renderebbe comunque utile la norma poiché
ridurrebbe l'eccessivo uso di questi strumenti pericolosi.
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