Uno dei paradigmi della finanza, per molti anni indiscusso, riguarda la
convenienza dell'azionario nel lungo termine. Un libro di grande successo
("Stocks for the long run" di Jeremy Siegel) sostiene che nel
lungo termine è meno rischioso investire in azioni che in obbligazioni
poiché, secondo la tesi del libro, le azioni proteggono meglio
dall'inflazione in archi temporali di due o più decenni.
Questa tesi, che oggi –dopo un decennio nel quale un portafoglio
totalmente azionario si sarebbe ridotto di circa un terzo in termini
reali– può apparire bislacca, è fondata sui dati storici dei rendimenti
del mercato finanziario americano e per molti anni ha rappresentato una
sorta di dogma nel mondo della finanza.
L'ultimo decennio ha messo a dura prova i sostenitori dell'investimento
azionario e si stanno affacciando sostenitori di una tesi completamente
opposta: i rischi dell'investimento azionario –secondo questa tesi- sono
eccessivi e non sarebbe razionale investire in azioni.
Secondo questa visione l'andamento dei prezzi delle azioni è
sostanzialmente casuale, l'oscillazione dei rendimenti è elevatissima nel
breve termine e ciò può comportare –come ha comportato– anche rendimenti
di lunghissimo periodo negativi, almeno in termini reali.
In altre parole se si investe per questioni importanti come la pensione:
alla larga dalle azioni!
Quale delle due tesi è maggiormente condivisibile?
Premesso che chi scrive è un popperiano convinto (e quindi –in generale-
ritengo che non esistano tesi vere, ma solo quelle non falsificate), in
finanza chi sostiene la verità assoluta di una propria
tesi sulla convenienza di una strategia finanziaria dimostra semplicemente
di non capire nulla della materia.
Ciò premesso, ritengo che molte delle argomentazioni di partenza
della tesi sull'irrazionalità dell'investimento azionario siano fondate. I
mercati azionari si sono dimostrati, nel tempo, largamente imprevedibili.
Le variazioni dei rendimenti sono amplissime: in un anno si possono avere
variazioni in positivo o in negativo anche superiori al 50%, circa dieci
volte il rendimento medio che ragionevolmente ci si può attendere, per
quanto anche tale rendimento medio sia difficilissimo da stimare. Come
dire: se vinci mediamente vinci uno, ma puoi vincere o perdere anche
dieci.
La base di dati sulla quale si può lavorare per fare delle stime sul
rendimento futuro non solo è relativamente contenuta (se la prospettiva è
pluridecennale) ma anche difficilmente comprabile con il futuro, poiché i
contesti storico-economici sono profondamente diversi.
In altre parole, i mercati finanziari sono in primo luogo fenomeni
storico-sociali, non fenomeni fisici. L'applicazione di formule
matematiche a questi fenomeni ha un valore molto relativo.
Last but not least, se la prospettiva d'investimento è
pluridecennale, bisogna considerare che il valore delle azioni fra 30 anni
sarà fortemente influenzato dal tipo di economia che ci sarà (e/o che si
prospetterà) allora. E' possibile che le fondamenta dell'economia fra 30
anni non saranno molto diverse da quelle attuali, ma non è certo. Ci sono
dubbi non trascurabili sulla sostenibilità del modello attuale fondato
sulla crescita economica continua.
Pur condividendo queste argomentazioni di partenza, non riesco a giungere
alla stessa conclusione di chi ritiene irrazionale investire in azioni per
questioni rilevanti.
Se è vero tutto ciò che abbiamo sopra esposto è anche vero che vi sono
ragionevoli (e solide) argomentazione per ritenere che, mediamente,
l'investimento in azioni debba essere più redditizio dell'investimento
obbligazionario. Se, mediamente, le aziende non avessero profitti
superiori al costo del denaro queste chiuderebbero ed altre iniziative più
redditizie ne prenderebbero il posto. All'interno del contesto economico
attuale l'investimento azionario è un opzione d'investimento altamente
rischiosa, ma anche potenzialmente (ripetiamolo:
p-o-t-e-n-z-i-a-l-m-e-n-t-e) molto redditizia.
Ciò che è irrazionale non è l'investimento azionario in sé, ma pretendere
di usare strumenti apparentemente razionali in un contesto, come i mercati
finanziari, tutt'altro che razionale.
Investire in azioni è una cosa adatta ad una percentuale relativamente
piccola di persone.
E' necessario avere un'adeguata propensione e preparazione.
E' necessario comprendere che il rischio delle azioni è molto, ma molto
superiore, a quello che mediamente viene rappresentato dai venditori di
prodotti finanziari e che quindi è indispensabile affrontare
l'investimento con strategie di controllo del rischio –rischio inteso come
massima perdita tollerabile.
La strategia di investire in azioni da "cassettista" puntando al "lungo
termine" è una strategia che può avere –astrattamente– anche vantaggi
notevoli (primi fra tutti, la riduzione dei costi) ma nel concreto –per la
mia esperienza professionale– è praticamente inapplicabile alla maggior
parte degli investitori ed è senza dubbio fondata su presupposti falsi,
ciò non significa che non possa essere anche molto redditizia.
In conclusione, ritengo che investire in azioni sia sensato e razionale,
anche per questioni serie come la pensione, ma solo a patto di prendere
atto della loro estrema rischiosità ed applicando strategie volte ad
evitare che andamenti eccezionalmente negativi –rari, ma comunque
possibili– dell'azionario non pregiudichino gli obiettivi minimi fissati
nei progetti d'investimento.
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