E'
come essere in guerra. E forse è proprio così. Anche se gli attacchi aerei e
missilistici sono rimpiazzati dagli indici Dow Jones, MIB, Nasdaq e CAC. Il che
fa una bella differenza, ovviamente e per fortuna. Ma è una vera guerra quella
che si combatte ogni giorno sulle piazze finanziarie di ogni parte del mondo. E
come tale è rappresentata, sui media. A ogni ora un bollettino che annuncia i
dati della catastrofe. Le borse che crollano dovunque. Mentre i grandi (?) del
mondo si incontrano e si affacciano sulle tivù.
Per spiegare che non c'è da preoccuparsi, nessuna banca fallirà, nessun
risparmiatore perderà i suoi risparmi. Producendo l'effetto opposto. Perché è
difficile non farsi prendere dal panico quando i grandi del mondo ripetono che
non bisogna farsi prendere dal panico. Sentirsi tranquilli quando le autorità
intimano che bisogna restare tranquilli, mantenere i nervi saldi e il sangue
freddo. Se non vi fossero motivi di timore, perché affannarsi a rassicurarti a
ogni minuto che passa?
La spiegazione principale di questa crisi finanziaria senza fondo, peraltro, è
che sui mercati ormai domina la sfiducia. Nessuno si fida di nessuno. Com'è
ovvio, visto quel che è successo nel sistema finanziario negli ultimi anni.
Tuttavia, in questo caso, mercati finanziari e società si rispecchiano.
Soprattutto da noi. In Italia. Certo, non viviamo in un paese da incubo (come ha
opportunamente rammentato il cardinal Bagnasco alcune settimane fa). Però
bisognerebbe spiegarlo al paese. Visto che in Italia si rilevano, da tempo, gli
indici di pessimismo e di insicurezza più elevati d'Europa (come hanno mostrato
i sondaggi di Eurobarometro). Un clima d'opinione che sembra essersi
ulteriormente deteriorato.
Sei italiani su dieci pensano, infatti, che in questo momento non valga la pena
di "fare progetti impegnativi per sé e la propria famiglia, perché il futuro è
troppo carico di rischi" (sondaggio nazionale Demos, condotto nei giorni
scorsi). Si tratta della misura più elevata registrata dal 2000 fino ad oggi. Il
problema è che questo sentimento, al di là delle ragioni ragionevoli che lo
ispirano, in Italia trova importanti moltiplicatori. In particolare, lo
sbriciolarsi dei legami e delle solidarietà sociali, alimentato dalla
decomposizione urbana. Il gioco dei risentimenti incrociati fra gruppi
professionali, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. Professori, medici,
avvocati, maestri, farmacisti, tassisti, broker, commercianti e commercialisti
... Una lista infinita, destinata ad allungarsi. Tutti contro tutti. Deprecati a
prescindere. Volta a volta: poveracci, privilegiati, evasori, fannulloni, ladri,
incompetenti. Oppure, semplicemente, "nessuno". Un'entità fantasmatica, come gli
operai. Che fanno notizia solo quando muoiono sul posto di lavoro.
Lo sfarinarsi delle appartenenze professionali, d'altronde, è drammatizzato (e
accelerato) dalla perdita di rilevanza delle grandi organizzazioni di
rappresentanza economica (Demos, ottobre 2008). In particolare, il 27% dei
cittadini esprime fiducia nel sindacato, il 25% verso Confindustria. Si tratta
di indici fra i più bassi nella graduatoria dei principali riferimenti
associativi e istituzionali in Italia. La fiducia nel sindacato, soprattutto,
scivola al livello minimo degli ultimi due anni. Inoltre, scende più in basso
della media nella base di riferimento: gli operai (22%). Mentre sale soprattutto
fra i pensionati. Uno scenario simmetrico rispetto agli anni Novanta, quando
sindacato e Confindustria avevano garantito consenso allo Stato, dopo il
tracollo della prima Repubblica. Era la stagione della concertazione, a cui si
oppone, oggi, una società "sconcertata". Dove le tradizionali organizzazioni
intermedie di rappresentanza non rappresentano più neppure i loro iscritti. La
loro base professionale di riferimento. Come potrebbero, d'altra parte, supplire
al deficit di fiducia delle istituzioni se esse stesse sono percepite come
istituzioni e, per questo, sfiduciate?
Il collasso delle borse e del sistema finanziario, peraltro, rischia di
accentuare ulteriormente le divisioni interne alla società. Di renderle profonde
come baratri. Il 47% degli italiani (Osservatorio sul Capitale sociale di
Demos-Coop, di prossima pubblicazione) afferma, ad esempio, di aver ridotto i
consumi alimentari, in famiglia. Ma il dato scende sotto il 40% fra
imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti, mentre supera il 50% fra gli
operai e i pensionati.
Da ciò il problema: come possa mantenere un grado accettabile di coesione una
società così incoerente. Tendenzialmente dis-integrata. E come possa, a maggior
ragione, non ri-esplodere quel dissenso politico che travolse, dall'autunno
2006, il governo Prodi e le forze che lo sostenevano. In una fase assai meno
drammatica, economicamente, rispetto a quella attuale. Oggi, anzi, si osserva un
orientamento contrario. Visto che la fiducia nel governo continua a crescere e
ha raggiunto il livello più alto dal settembre 2002. (Al contrario
dell'opposizione di centrosinistra, ormai ai minimi storici). La spiegazione più
ragionevole sta, a nostro avviso, proprio nel clima di inquietudine e diffidenza
che inquina il nostro mondo.
Questa società si sente sotto assedio. E le forze politiche, gli uomini di
governo, lo stesso Presidente del Consiglio confermano le sue paure. Ne traggono
motivo di consenso. Promettono di difenderla dai nemici che la minacciano.
Immigrati, rom, prostitute, automobilisti e motociclisti ubriachi, tossici e
spacciatori. Promettono, inoltre, di contrastare il disordine sociale, devastato
dalla perdita di senso e di autorità. Combattono la morte del futuro e il
collasso del presente attraverso il richiamo al passato. Attraverso i valori e i
simboli pre-sessantottini. I grembiulini, il voto di condotta, i bambini che si
alzano quando entra il professore. Attraverso lo Stato protettivo e protettore,
gli impiegati pubblici che, finalmente, la smettono di poltrire, i professori
che, finalmente, si fanno rispettare, i maestri, che, finalmente, tornano ad
essere unici.
Questa società sotto assedio (come la definisce Bauman) applaude l'esercito
sparso sul territorio e nelle città, i vigili urbani che diventano poliziotti, i
sindaci che si fingono sceriffi. I "ministri della paura", geniale invenzione di
Antonio Albanese (puntualmente superata dalla realtà). Questa società, di fronte
al terrorismo delle borse, come dopo l'attacco alle torri nel settembre 2001,
esprime domanda di certezza e di autorità. Così, si raccoglie, trepida, intorno
al Grande Rassicuratore. Che, dagli schermi, dice ciò che tutti temono e tutti
vogliono sentire. Non c'è motivo di avere paura. Cioè: abbiate paura, perché ce
n'è motivo. Ma io - solo io - vi salverò. Dalle banche e dai banchieri, dai
subprime e dai fondi tossici, dalle cattive azioni e dai cattivi maestri (sempre
loro...). Dai broker armati, che vi minacciano: "O la borsa o la vita". E se le
borse non mi ascoltano io le chiuderò. Abbiate sfiducia negli altri. Paura del
mondo. Il futuro è ieri. E' il consenso triste del nostro tempo. Intriso di
sfiducia e di paure. Prigioniero della nostalgia.
Ilvo Diamanti - da Repubblica
http://www.canisciolti.info
Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
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