La
caduta agli inferi di alcuni tra i maggiori istituti di
credito statunitensi, con il conseguente piano di recupero
a spese della collettività, è stato definito da alcuni
analisti come una sorta di 11 settembre dell’economia. E’
probabile infatti, che esso rappresenti la definitiva
messa in crisi dell’impianto monetarista che aveva
caratterizzato le politiche economiche
dell’amministrazione Bush. I rovesci in Afganistan e Iraq
e la destabilizzazione del Pakistan in questo momento sono
solo lo sfondo della crisi politica che caratterizza la
fine del mandato presidenziale. Che è in primo luogo la
fine di quella lobby neocons che così in profondità ha
attraversato i due mandati presidenziali di George W. Bush.
Lo strettissimo legame tra le politiche economiche e
militari del peggior presidente della storia Usa, hanno
infatti avuto come centro ispiratore della sua
aggressività internazionale proprio questa sorte di
conventicola delinquenziale che tanto ha contribuito
all’ascesa di Bush e alle guerre da lui scatenate in giro
per il mondo.
Per conoscere meglio pensieri, parole e opere della lobby
neocons, almeno sotto l’aspetto della regia occulta delle
operazioni militari, basta leggere il Sunday Herald
del 15 settembre 2002, che pubblicò il sunto di un
documento, redatto due anni prima per conto di alcuni dei
principali esponenti dell'attuale governo americano, che
descriveva, in dettaglio, un progetto per la sottomissione
militare del pianeta al dominio statunitense.
Stiamo parlando del notorio documento del PNAC - Project
for the New American Century - Rebuilding America’s
Defenses. Fondato nella primavera del 1997, il
Project for the New American Century (Progetto per il
Nuovo Secolo Americano) è un’organizzazione didattica
non-profit, il cui scopo ufficiale è promuovere l’egemonia
americana. Il Progetto fu un’iniziativa del New
Citizenship Project (Nuovo Progetto per la Cittadinanza) e
vede, ad oggi, William Kristol come suo presidente mentre
Robert Kagan, Devon Gaffney Cross, Bruce P. Jackson e John
R. Bolton hanno il ruolo di consiglieri permanenti. Gary
Schmitt ne è il direttore esecutivo.
Se questi nomi possono non dire nulla, si deve
sottolineare come, al momento della sua fondazione, il
PNAC fosse, tuttavia, guidato da un gruppo di persone,
queste si ,destinate ad entrare nella storia. Ad ispirare
e realizzare il Progetto furono, infatti, Dick Cheney,
attuale vice Presidente degli Stati Uniti; Donald Rumsfeld,
ex sottosegretario alla Difesa, costretto poi alle
dimissioni dopo lo scandalo del campo di prigionia di Abu
Ghraib; Paul Wolfowitz, ex vicesegretario della Difesa ed
ex Presidente della Banca Mondiale, anche lui costretto a
lasciare il suo posto in seguito ad uno scandalo che lo
vide coinvolto in una serie di nomine decisamente non
cristalline; Jeb Bush, fratello di George W. Bush nonché
attuale Governatore della Florida e Lewis Libby,
pluricondannato coordinatore dello staff di Dick Cheney.
Il testo fu partorito nel Settembre del 2000 dal
think-tank dei neo-conservatori americani, ovvero dalla
squadra che solo quattro mesi dopo, in maniera tutt'altro
che limpida, sarebbe riuscita a conquistarsi la strada per
la Casa Bianca. La filosofia del PNAC era imperniata
sull'idea che fosse necessario approfittare del recente
crollo dell'impero sovietico e della momentanea mancanza
di avversari a livello mondiale per garantire all'America,
sia strategicamente che politicamente e militarmente, il
controllo indiscusso del pianeta.
La lettura del documento può essere molto esplicativa per
capire come la guerra contro l'Iraq non sia nient’altro
che la punta di un iceberg. Gli autori partono della
ristrutturazione delle forze armate americane e dal
concetto di difesa per arrivare ai bisogni geopolitici
degli Stati Uniti. Nella sezione” Key Findings” il
rapporto elenca quattro missioni per le forze armate degli
Stati Uniti: 1)"difendere i possedimenti nord americani";
2) "lottare e vincere guerre multiple e simultanee";
3)"realizzare lavori di polizia associati alla
manutenzione della sicurezza in regioni critiche"; 4)
"trasformare le forze armate degli Stati Uniti per
sfruttare la rivoluzione nel campo militare".
Per arrivare a far compiere alle forze armate nord
americane le quattro missioni, il documento raccomanda
investimenti senza freno nel sistema militare, dopo aver
constatato il "declino della potenza militare degli Stati
Uniti". Proponeva lo sviluppo di nuove armi, comprese armi
biologiche di nuova generazioni capaci – si legge nel
documento – di distruggere "specifici genotipi". Si
auspicava, cioè, uno sforzo economico diretto alla
creazione di una sorta di bomba etnica: un ordigno,
dunque, capace di distinguere un determinato tipo di
persona destinata ad essere uccisa in mezzo ad altri
individui eletti per sopravvivere.
Nel capitolo V° intitolato “La creazione di una futura
forza dominante” (Creating Tomorrow’s Dominant Force
ndr) troviamo, infatti, frasi come: “ … al momento
attuale gli Stati Uniti non hanno alcun rivale a livello
globale. Il nostro disegno ultimo deve mirare a prolungare
il più possibile nel futuro questa posizione di vantaggio
…”. E ancora: “… Gli Stati Uniti devono mantenere un
esercito in grado di essere dispiegato rapidamente e di
vincere contemporaneamente più guerre su larga scala …
bisogna riposizionare le nostre forze ed adeguarle alle
realtà strategiche del XXI° secolo spostando su base
permanente le truppe nel Sud-est Europeo e in Medio
Oriente”. Quindi, più avanti, “…il budget annuale
dell’esercito deve crescere fino ad un livello di 90 – 95
miliardi di dollari all’anno e questa trasformazione
dell’esercito va considerata un obiettivo tanto urgente
quanto quello di prepararsi allo scenario bellico di oggi
…”.
Ma c’è soprattutto un passaggio illuminante in questo
documento che non può che risultare inquietante alla luce
di quanto occorso un anno dopo ed è il seguente: ”Questo
processo di trasformazione, pur portando un cambiamento
rivoluzionario, è destinato a durare molto a lungo, a meno
che non intervenga un evento disastroso e catalizzatore
come una nuova Pearl Harbor.” Rileggendo alcuni passaggi
del documento conclusivo del PNAC i possibili dubbi circa
la possibilità di un auto-attentato s’infittiscono sotto
il peso di una chiara quanto fanatica ed immorale volontà
di dominio.
È infatti dalla lettura di questo testo che molti
avvenimenti del nostro tempo sembrano trovare la giusta
interpretazione. Man mano che aumentano, con riferimento
ai fatti dell’11/9, gli indizi di un c.d. “inside job” ,
aumentano, infatti, anche le indicazioni che a volerlo non
fu il governo americano, ma un gruppo molto ristretto di
personaggi: appunto i cosiddetti neocons ovvero
personaggi la cui alleanza politica risale addirittura a
più di 30 anni fa e che oggi occupano i più importanti
ruoli all’interno dell’amministrazione Bush.
A leggerlo non sembra possibile, ma il testo è ovviamente
pubblico e la traduzione non potrebbe essere differente.
Questo significa che, un anno prima del crollo delle
torri, un gruppo ristretto di persone, che si sarebbero
ritrovate di lì a poco a guidare il popolo americano,
nell’elaborazione dei loro scenari geopolitici riteneva
necessario alzare a dismisura il livello di efficacia
militare degli Usa e, di fronte a possibili obiezioni
interne, riteneva che queste sarebbero potute venir meno
solo in caso di un attacco militare agli Usa stessi. In
qualche modo giungendo ad auspicare per il bene della
nazione un evento da loro stessi definito “catastrofico”.
Questo ovviamente non vale come prova della colpevolezza
dei neocons quali responsabili dei fatti
dell’11/9, ma certo che quanto meno si può evincere che
non tutti si sono stracciati le vesti. Se per gli Stati
Uniti l’era dell’invincibilità finiva, per alcune lobbies
cominciava.
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