Autorità di vigilanza e
banche centrali hanno troppi
conflitti di interesse se
perseguono più obiettivi
contemporaneamente. E oggi
il sistema offre un grado di
protezione inadeguata agli
investitori e mantiene un
ulteriore strato di
regolazione nazionale che fa
perdere competitività a
tutta l'industria
finanziaria. Una struttura
equilibrata potrebbe essere
a quattro picchi. La
regolamentazione e vigilanza
sarebbe organizzata, a
livello orizzontale, per
finalità. E in modo
federale, a livello
verticale, con una struttura
simile al sistema europeo di
banche centrali.
Gli Usa hanno
approvato il piano
Paulson. L’Europa
continua ad affrontare
unitariamente, solo a
parole, gli effetti
della grande crisi
finanziaria: meglio di
niente per cercare di
evitare un cataclisma.
Peccato che si stia
forse perdendo
l’occasione per
intervenire su una
delle cause. UN
SISTEMA INEFFICACE
La crisi ha messo
in dubbio l’efficacia
sia della ripartizione
“orizzontale” delle
competenze tra le
autorità di
vigilanza -
dalla frammentazione
di quelle Usa al
single regulator
di molti paesi Unione
Europea - sia di
quella “verticale”,
con autorità solo
nazionali di tutela.
(1)
Abbiamo visto di tutto
nell’ultimo anno. Il
panico di banchieri
centrali del Regno
Unito davanti a un
caso di “corsa agli
sportelli”; la
frenetica corsa a
vietare le vendite
allo scoperto, dove
l’autorità arrivata
ultima, magari per
evitare essa stessa di
manipolare il mercato,
ha rischiato di
rimanere con il cerino
in mano. Oppure gli
incontri notturni di
governi per salvare
banche operanti in più
paesi, seppellendo la
disciplina sugli aiuti
di Stato; o la corsa a
elevare la copertura
su depositi e altre
passività bancarie da
chiunque detenute, per
importi pari a varie
volte il Pil del paese
in questione.
I dubbi aumentano alla
luce delle modalità
dei recenti
salvataggi.
Sono stati utilizzati
tutti gli strumenti
tradizionali, spesso
in modo “creativo” o
un po’ shakerati tra
loro: intervento
diretto dei governi;
banche centrali;
assicurazione dei
depositi. Seppellendo
definitivamente gli
steccati tripartiti
nella regolamentazione
e vigilanza tra
banche, intermediari
mobiliari e
assicurazioni/fondi
pensione, sono stati
coinvolti tutti i tipi
di intermediari:
banche commerciali e
d’investimento,
investitori
istituzionali e
hedge fund,
intermediari mobiliari
e assicurazioni.
La dimensione
colossale degli
interventi e la loro
tipologia, che va
dalle iniezioni
dirette di capitale,
prestiti, acquisti di
“toxic assets”
alle nuove regole in
materia di
assicurazione dei
depositi, rendono
evidente una
considerazione banale,
ma spesso dimenticata:
la decisione ultima è,
e deve restare, del
policy maker,
eventualmente solo
assistito da autorità
indipendenti e banca
centrale, unico a
risponderne ai
contribuenti. Invece,
la responsabilità di
tali decisioni
politiche è stata
troppo spesso di
banche centrali, in
qualità di prestatori
di ultima istanza, o
di autorità di
vigilanza - talvolta
le banche centrali
stesse - che, in
realtà, avrebbero
dovuto vigilare
affinché il soggetto
agonizzante non
arrivasse a quel
punto. Peraltro,
nessuna autorità è in
grado di erogare cifre
come quelle discusse
in questi giorni. E se
fa finta di farlo,
come
nel caso della Fed con
Aig, ottiene
l’unico risultato di
aver perso la propria
indipendenza.
Autorità di vigilanza
e banche centrali
hanno troppi
conflitti di interesse
se perseguono più
obiettivi
contemporaneamente:
macrostabilità,
microstabilità,
protezione degli
investitori e
concorrenza. Ancor di
più se perseguono
obiettivi del
policy maker:
tutela degli interessi
nazionali, salvataggi,
eccetera. Inoltre, il
coordinamento
nazionale e
internazionale tra
autorità è lento e
troppo articolato: si
snoda attraverso
centinaia di
memorandum of
understanding
bilaterali e
multilaterali e
collegi di
supervisori. Cebs,
Cesr e Ceiops, pur
composti da eccellenti
seppur limitati staff
permanenti, dipendono
troppo dalle autorità
che li compongono e,
soprattutto, hanno
competenze ancora
rigidamente tripartite
secondo l’unico
criterio certamente
obsoleto: mercato
bancario, mobiliare e
assicurativo/fondi
pensione.
Insomma, nonostante i
progressi, il sistema
non è ancora in grado
di rispondere alle
sfide di mercati
finanziari sempre più
integrati. Ciò ha due
conseguenze: il
sistema offre un
livello di protezione
inadeguata agli
investitori e mantiene
un ulteriore strato di
regolazione nazionale
che fa perdere
competitività a tutta
l’industria
finanziaria.
In Europa, ma anche
nell’area euro, è
troppo presto
per avere autorità
solo centrali: in
mancanza di una unione
politica, molte regole
che influenzano i
mercati finanziari
nazionali, dal diritto
societario a quello
fallimentare,
continuano a esistere.
Soprattutto, restano
nazionali politici e
contribuenti. È però
certamente
troppo tardi
per avere autorità
solo nazionali.
LA STRUTTURA A
QUATTRO PICCHI
Qualcosa si può
fare. Una soluzione
equilibrata, già
suggerita negli scorsi
anni, ora ripresa
anche dal Rapporto
Paulson per gli Usa, è
quella a quattro
picchi. (2)
La
regolamentazione
e vigilanza sarebbe
organizzata,
indifferentemente per
tutti gli
intermediari, a
livello
orizzontale,
per finalità:
macrostabilità,
microstabilità,
trasparenza e
concorrenza, ciascuna
affidata ad autorità
separate. E, a livello
verticale,
in modo federale, con
una struttura simile
al sistema europeo di
banche centrali, il
Sebc, composto dalla
Bce e dalle banche
centrali nazionali.
Al Sebc, oltre
naturalmente alla
politica monetaria,
spetterebbero le
competenze in materia
di
macrostabilità,
compresa quella dei
mercati assicurativi,
e di prestatori di
ultima istanza.
Si dovrebbe creare un
Sistema europeo di
vigilanza
prudenziale
composto da
un’autorità centrale
incaricata della
regolamentazione
prudenziale di tutti
gli intermediari e del
coordinamento della
vigilanza, nei casi di
soggetti
multinazionali.
Affiancato dalle
autorità nazionali,
possibilmente con le
stesse competenze,
incaricate della sola
vigilanza nazionale,
ma senza alcuna delega
regolamentare.
Il terzo picco sarebbe
quello della
trasparenza e
della protezione
dell’investitore.
Anche in questo caso
vi sarebbe un soggetto
centrale, che ben
potrebbe giovarsi del
Cesr, con poteri
regolamentari in tema
di conduct of
business degli
intermediari, di
trasparenza di tutti i
prodotti finanziari
(dai depositi bancari
alle polizze
assicurative), di
emittenti e di
mercati. Avrebbe poi
il coordinamento della
vigilanza in caso di
intermediari,
emittenti o mercati
sopranazionali, mentre
la vigilanza sui
soggetti nazionali
resterebbe di
competenza esclusiva
delle autorità
nazionali.
Il quarto picco,
quello della
concorrenza,
già esiste: la
Direzione generale
concorrenza è l’entità
centrale che vigila
sulle “grandi”
operazioni, mentre le
autorità nazionali si
occupano di operazioni
di dimensione non
comunitaria.
A parte il
coordinamento
verticale assicurato
dalle strutture
federali, vi sarebbe
un doppio livello di
coordinamento
orizzontale,
garantito da
commissioni per il
sistema finanziario: a
livello nazionale,
sarebbero composte dal
ministro delle
Finanze, dal
governatore della
banca centrale e dai
presidenti delle
autorità prudenziali,
di trasparenza e
antitrust. A livello
europeo, il comitato
dovrebbe avere come
riferimento oltre agli
esecutivi, anche il
commissario di
riferimento e i
vertici della Bce e
delle autorità.
Non è facile:
modifiche del Trattato
sono complesse, si
potrebbe però
esplorare la strada di
accordi
intergovernativi.
Regolamenti in
codecisione o della
sola Commissione
devono essere
analizzati così come i
poteri del Consiglio
ex articolo 352, ex
308 Tce. (3)
La centralizzazione
delle competenze
regolamentari e
l’armonizzazione del
disegno delle autorità
nazionali incontra le
resistenze delle
banche centrali e
delle autorità
competenti, oltreché
dei soggetti vigilati.
La crisi in atto offre
un’occasione unica di
agire per aumentare
l’efficacia dei
controlli,
semplificando
contemporaneamente la
complessa architettura
delle molteplici
autorità di vigilanza.
Negli Usa, Paulson non
ha avuto il coraggio
di inserire nel suo
piano di salvataggio
neppure una briciola
del suo ambizioso
progetto di ridisegno
dell’architettura di
vigilanza. E in
Europa? Perché non
parlarne seriamente al
prossimo Consiglio del
15 ottobre?
(1)Negli
Usa vi è un mix di
competenze federali e
statali sulle banche
mentre sulle
assicurazioni i
controlli sono solo
statali; in Europa, in
mancanza di un’unione
politica e fiscale,
sostanzialmente il
livello è solo
nazionale
(2)
Si rimanda a
Di Noia e Piatti
(1998); Di Noia e Di
Giorgio (1999),
Should Banking
Supervision and
Monetary Policy Tasks
be Given to different
Agencies,
International Finance;
Di Giorgio e Di Noia
(2001),
Financial
Regulation and
Supervision in the
Euro Area: A Four-Peak
Proposal. Per
il Rapporto Paulson si
veda Department of
Treasury (2008),
Blueprint for a
modernized financial
regulatory structure.
(3)
Se un'azione
dell'Unione appare
necessaria, nel quadro
delle politiche
definite dai trattati,
per realizzare uno
degli obiettivi di cui
ai trattati senza che
questi ultimi abbiano
previsto i poteri di
azione richiesti a tal
fine, il Consiglio,
deliberando
all'unanimità su
proposta della
Commissione e previa
approvazione del
Parlamento europeo,
adotta le disposizioni
appropriate. Allorché
adotta le disposizioni
in questione secondo
una procedura
legislativa speciale,
il Consiglio delibera
altresì all'unanimità
su proposta della
Commissione e previa
approvazione del
Parlamento europeo.
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23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
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