Si dice che in America il capitalismo è
sfrenato, mentre da noi si concedono meno
prestiti, si cartolarizza di meno e non c'è
stata la bolla immobiliare. Per questo le
nostre banche sono più solide. Ma se gli
americani sono un popolo di consumatori
indebitati, gli italiani sono un popolo di
risparmiatori. Ed è su questo versante che si
fanno gli affari e qualche malefatta. Infatti,
nel mezzo di una crisi finanziaria con
epicentro del rischio nel settore bancario, i
portafogli delle famiglie italiane sono zeppi
di depositi e obbligazioni bancarie, nazionali
e non.
Le crisi finanziarie lasciano sulla loro
scia molti cadaveri. Ma hanno il pregio
di mettere a nudo limiti, e malefatte,
che si celano nei mercati
finanziari. Finché le cose
vanno bene, è difficile scoprirli, non
fosse altro perché chi ne subisce le
conseguenze (ne è vittima) non ha
nessuna ragione per lamentarsi. Perché
mai un risparmiatore poco esperto
dovrebbe chiedersi se gli hanno rifilato
un titolo troppo rischioso, finché
quello rende bene? C'ERA UNA VOLTA IN
AMERICA. E IN ITALIA
Le crisi mettono a nudo i rischi
eccessivi, gli imbrogli e le imperizie.
Fu così con Enron, fu così con Parmalat
e fu così con le obbligazioni Cirio che
la Banca di Roma di Geronzi raccomandava
ai propri correntisti per recuperare con
le sottoscrizioni il debito Cirio verso
la Banca di Roma. Deve essere così anche
con questa crisi. Guardando da questa
all’altra sponda dell’Atlantico abbiamo
imparato che i banchieri
americani concedevano con
facilità prestiti a chi non aveva merito
di credito. Fin qui poco male, se il
rischio fosse rimasto in capo a loro.
Invece li cartolarizzavano e li
rivendevano passando il rischio ad
altri, più ignari di loro sul reale
valore dei crediti sottostanti. Li
concedevano anche a tassi variabili,
sfruttando la miopia dei clienti e
magari anche rafforzando in loro il
convincimento che i bassi tassi di
interesse sarebbero rimasti così per
sempre.
Fin qui l’America. In Italia
no, almeno questa sembra essere la
convinzione diffusa. Lì c’era (ci sarà
ancora?, si chiede qualcuno) il
“capitalismo sfrenato” che consentiva
tutto ciò. Da noi no, il “capitalismo” è
frenato (“e meno male”, pensano in
tanti), si concedono meno prestiti, si
cartolarizza di meno, non c’è stata la
bolla immobiliare e così via. Tutto
vero, certo. Però, i mutui a
tasso variabile sono stati
raccomandati con altrettanta
disinvoltura anche a chi ha profili del
reddito piatto; dal 2002 oltre due terzi
dei mutui erogati erano a tasso
variabile. (1) I
default sui mutui sono aumentati, alcune
cartolarizzazioni sono state fatte. Ma
non è qui il vantaggio comparato
dell’Italia. Gli americani, si sa, sono
un popolo di consumatori
indebitati e non sorprende che
il business (e gli imbrogli) si faccia
sul debito. Il nostro è un popolo di
risparmiatori e il
business (e gli imbrogli) si dovrebbero
fare su questo versante. Concentrati
come siamo sulle ripercussioni
planetarie della crisi dei subprime, ci
sfugge questa dimensione. Ma la crisi è
in atto da tempo, le nostre banche lo
sanno da prima degli altri. Questo ha
offerto loro una occasione unica per
praticare ciò che sanno fare molto bene:
passare il rischio ai clienti
guadagnandoci due volte: perché,
appunto, si liberano del rischio; perché
nel farlo ci lucrano anche le
commissioni. È una assurdità? Forse non
tanto, a giudicare dal caso che mi è
stato raccontato.
Una signora di 80 anni, inesperta
(nonostante, o forse a causa, dell’età)
e, come si dice, finanziariamente
analfabeta, affidandosi del tutto alle
scelte della sua banca ha investito il
suo patrimonio di 363mila euro in
obbligazioni bancarie.
Di questi, 263mila in obbligazioni di
due banche d’affari americane, di cui
ben 203mila in obbligazioni Morgan
Stanley con scadenza 2013; gli altri
60mila in obbligazioni Goldman Sachs
scadenza 2014, il rimanente in
obbligazioni Abn Ambro (50mila) e di
banche italiane. Oggi la valorizzazione
del patrimonio, complici gli aumenti dei
tassi a breve e soprattutto il rischio
di fallimento di queste banche, è
pressoché dimezzata. Che pensare?
INCAPACITÀ O CALCOLO?
Vi sono due possibilità. La prima è
che chi elargisce consigli ai
risparmiatori sia incapace di farlo. La
lezione numero 1 della finanza è
diversificare; la numero 2 è
diversificare e la numero 3 è
diversificare. Nessuna delle tre lezioni
è stata applicata: tutti i titoli sono
concentrati in un unico settore, quello
bancario, due terzi dell’investimento è
concentrato in una obbligazione di una
sola banca. Buona parte
dell’investimento è a medio termine,
esponendo il portafogli della povera
signora a un incredibile rischio di
tasso.
La seconda possibilità è che chi
elargisce consigli sappia bene quel che
fa, ma abusa della fiducia altrui per
fare gli interessi suoi e del suo
istituto. Èdifficile appurare la verità,
anche se il sospetto che la tentazione
di passare il rischio alla anziana
cliente abbia prevalso sull’ignoranza
del principio di diversificazione,
riceve supporto dalla tempistica
degli acquisti: i 203mila euro di
obbligazioni Morgan Stanley sono stati
immessi nel portafoglio della signora in
piena crisi finanziaria, possibilmente
attingendo da quelli in carico alla
banca. Sicuro, le banche italiane ne
hanno guadagnato in solidità,
soprattutto se questo giochetto è stato
fatto su larga scala (c’è qualcuno con
poteri di supervisione che può prendersi
la cura di appurarlo?). Ma a spese del
cliente.
Ulteriore solidità è
stata acquisita convincendo la clientela
ad acquistare massicciamente
obbligazioni bancarie. Tra luglio 2007,
quando la crisi esplode, e luglio 2008
le obbligazioni bancarie, che le banche
collocano direttamente presso i loro
clienti, sono aumentate del 20
per cento, in totale
controtendenza con il resto dell’Europa
e a un tasso quasi doppio di quello
dell’anno precedente. I depositi
crescono soltanto di un magro 5 per
cento, come nell’anno precedente.
Cosa renda queste obbligazioni così
attraenti non è chiaro: è noto che
rendono meno (per la maggior parte delle
banche) di un titolo del debito pubblico
di uguale scadenza, ma diversamente da
questo, non hanno neppure un mercato
secondario. Fatto ancora più
interessante, non sono coperte dal
fondo di garanzia sui
depositi. Insomma, un risparmiatore
decentemente informato dovrebbe quasi
sempre preferire titoli del debito
pubblico. Ciò che rende
commercializzabili le obbligazioni è la
scarsa informazione dei clienti e il
ruolo di consulente della banca nelle
scelte finanziarie.
Insomma, nel mezzo di una crisi
finanziaria con epicentro del
rischio nel settore bancario, i
portafogli delle famiglie italiane sono
zeppi di depositi e obbligazioni
bancarie, nazionali e non. Di nuovo,
maggiore solidità per le banche, ma a
spese dei clienti.
Non viene il dubbio che anche il
“capitalismo frenato” non sia un grande
affare per i risparmiatori?
(1) Indagine sui
bilanci delle famiglie della Banca
d’Italia.
http://www.lavoce.info
23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
Archivio Finanza
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