15/09/2008 Fannie, Freddie e i fratelli Leheman (Francesco Vella, www.lavoce.info)
Soldi pubblici per Fannie e Freddie e ricerca di un cavaliere bianco per
Bear Stearns, mentre Lehman Brothers viene abbandonata al fallimento. Due
pesi e due misure e un segnale contraddittorio nella ricerca di un
equilibrio tra i bisogni di stabilità del sistema finanziario e i limiti
all'intervento pubblico. Ma il perimetro del rischio si è drammaticamente
allargato e bisogna mettere in campo nuovi strumenti per far fronte agli
shock di liquidità. Soprattutto, definire criteri oggettivi per individuare
chi salvare e secondo quali modalità, per dare certezze al mercato.
Bisogna rassegnarsi: nonostante le polemiche sul fatto che alla fine a
pagare sono i contribuenti, e che così facendo si corre il rischio di
privatizzare i guadagni socializzando le perdite, Fannie e
Freddie andavano salvate, e senza perdere troppo tempo.
SOLDI PUBBLICI PER FANNIE E FREDDIE
Le interconnessioni con i mercati sono tali che un’insolvenza
avrebbe avuto conseguenze disastrose, e non solo perché le
obbligazioni sono finite nei portafogli di grandi investitori
istituzionali e di molti operatori internazionali che avrebbero
immediatamente sfiduciato tutto il sistema finanziario statunitense.
Fannie e Freddie hanno anche rapporti con moltissime banche
regionali statunitensi impegnate nel settore dei mutui, e non
ci si può permettere in un settore già duramente colpito dalla crisi
dei subprime un effetto a catena dalle conseguenze imprevedibili, non
solo sulle banche, ma anche sui mutuatari.
Il segretario al Tesoro Paulson ha fatto bene quindi a intervenire, e
ha fatto bene a non aspettare troppo tempo: uno dei problemi della
Northern Rock, l’altro grande salvataggio degli ultimi tempi nel Regno
di sua Maestà, è stata proprio l’esitazione delle autorità, accusate
dalla successiva indagine parlamentare di essersi letteralmente
“addormentate”, generando le ormai note e traumatiche file dei
depositanti davanti agli sportelli. Probabilmente, le autorità
dovranno fare un serio esame di coscienza sulle evidenti carenze nei
controlli, dovute anche a un sistema di vigilanza talmente frammentato
da mostrare enormi buchi. Rimane però il dato oggettivo che, come
sempre avvenuto nelle crisi finanziarie, quando il bubbone scoppia, è
troppo forte il pericolo di contagio per affidarsi alle sole forze di
mercato e l’interesse alla stabilità del sistema non richiede, ma
impone l’intervento pubblico.
IL FALLIMENTO PER LEHMAN
Ma Fannie e Freddie rappresentano, nel panorama delle crisi, una
novità. Finora il salvataggio pubblico era esclusivamente riservato
alle banche per tutelare i risparmiatori e per evitare la trasmissione
dell’insolvenza da un istituto all’altro. Per semplificare: se io vedo
la fila dei depositanti davanti alla filiale mi spavento e per
sicurezza mi metto anch’io in fila, inevitabilmente la tentazione di
tenere i soldi sotto il materasso si diffonde come un virus e si
trasmette a tutto il sistema. Solo che Fannie e Freddie non sono
banche, ma intermediari che comprano mutui e si
finanziano con l’emissione di obbligazioni: sono state salvate lo
stesso perché il pericolo che dopo il primo crollassero tutti i
mattoni del mercato, era reale.
Anche Lehman non è una banca commerciale, ma di
investimento. Henry Paulson ha però deciso di non intervenire,
lasciandola al suo triste destino, con un comportamento diverso da
quello seguito per Bear Stearns, dove invece si era
abbondantemente foraggiato l’arrivo di un cavaliere bianco pronto a
comprarsi la preda in default senza perderci troppi soldi. La ragione
è semplice: non si vuole lanciare il pessimo messaggio che qualsiasi
cosa succeda il salvataggio pubblico è comunque assicurato e che
fallire è impossibile, altrimenti più che del pericolo di “azzardo
morale” si potrebbe cominciare a parlare di libero azzardo che uccide
il libero mercato.
LA DIFFICILISSIMA SFIDA
Due pesi e due misure, quindi, e un segnale contraddittorio nella
ricerca di un equilibrio tra i bisogni di stabilità del sistema
finanziario e i limiti all’intervento pubblico. Come uscirne?
È fin troppo evidente la lezione delle vicende oltreoceano: il
perimetro del rischio si è drammaticamente allargato e
pensare a gestire le crisi con gli strumenti classici utilizzati per
le banche, come l’assicurazione ai depositi e il prestatore di ultima
istanza, è ormai pia illusione.
Bisogna inventarsi meccanismi attenti non più a singole categorie di
intermediari che raccolgono risparmio tra il pubblico, ma a
tutto il mercato e mettere in campo nuovi strumenti per far
fronte agli shock di liquidità. E, soprattutto, definire criteri
oggettivi per individuare chi salvare e secondo quali modalità, per
dare certezze al mercato.
In un articolo di qualche giorno fa l’Economist parlava di
Fannie e Freddie come di un “inquietante precedente”: una volta
iniziato con i mutui perché non le carte di credito e il credito al
consumo? E perché allora non General Motors o la Ford?
Appunto. Bisogna tirare una linea, tracciare nuovi confini:
è questa la imprevista e difficilissima sfida che attende Autorità di
vigilanza e banche centrali.
16/09/2008 Regole vecchie per nuovi problemi (Fausto Panunzi, www.lavoce.info)
La crisi finanziaria si allarga perché i mercati finanziari negli Stati
Uniti sono troppo poco regolamentati? In realtà, la regolamentazione non
manca, anzi alcuni sostengono che è perfino eccessiva. Semplicemente è di
cattiva qualità. E spesso rivolta a risolvere i problemi di ieri,
dimenticando che quelli di domani saranno del tutto diversi. La lezione che
occorre imparare da Freddie e Fannie è che bisogna essere scettici verso chi
propone nuove regole senza spiegare perché quelle passate non hanno
funzionato.
Il salvataggio da parte del Tesoro americano di Fannie e
Freddie chiama in causa il ruolo giocato (o non giocato)
dalla regolamentazione del settore del credito negli Stati Uniti.
Spesso, nel caso di fallimenti di istituzioni finanziarie, si tende a
attribuire la colpa a una insufficiente regolamentazione.
TANTE AGENZIE, POCA TRASPARENZA
Singolare notare che chi conosce a fondo queste regolamentazioni e
molti autorevoli commentatori negli Stati Uniti pensino invece che i
mercati finanziari siano troppo regolati.
Ad esempio, in un
articolo apparso sul New York Times, dal titolo “Too
Few Regulations? No, Just Ineffective Ones”, Tyler Cowen,
economista e animatore
del blog Marginal Revolution, afferma che
l'amministrazione Bush non si è certo caratterizzata per un eccesso di
deregulation. Al contrario, questi anni hanno visto una
continua regolamentazione, anche pesante, con la conseguente perdita
di responsabilizzazione (accountability) ed efficacia. Il
settore finanziario, in particolare, si è caratterizzato per la
presenza di un coacervo di agenzie come l'Office of the Comptroller of
the Currency, le autorità dei singoli stati, la Federal Reserve e la
Federal Deposit Insurance Corporation. Inoltre, le banche quotate
erano soggette anche al Sarbanes-Oxley Act, senza dimenticare gli
accordi di Basilea. Insomma, istituzioni e norme c'erano, ma non
garantivano trasparenza e anzi conducevano verso un eccessivo livello
di investimento in mutui ad alto rischio.
Se l'amministrazione Bush ha un bilancio negativo nella
regolamentazione finanziaria, anche il partito democratico non si è
distinto per lungimiranza. Solo la scorsa primavera, il Congresso,
controllato da una maggioranza democratica, ha proposto di
abbassare i requisiti di capitalizzazione delle istituzioni
che concedono mutui.
Perché questo fallimento bipartisan? Una risposta
viene suggerita da un articolo del Washington Post, “How
Washington Failed to Rein in Fannie, Freddie” ed è una risposta
classica. Fannie e Freddie hanno usato nel passato i loro profitti per
“catturare” i politici che avrebbero dovuto controllarli. Le agenzie
governative non avevano le risorse, monetarie e umane, per far fronte
allo sforzo di lobbying di Fannie e Freddie, le quali
potevano contare anche su un altro asso: la convinzione dei politici
che rendere più facile l'acquisto delle case per le famiglie americane
avrebbe aumentato la loro popolarità tra gli elettori.
Il quadro che emerge da queste letture è che la regolamentazione dei
mercati finanziari non è troppo poca, ma semplicemente di cattiva
qualità. E spesso è rivolta a risolvere i problemi di ieri,
dimenticando che quelli di domani saranno del tutto diversi. Secondo
Cowen, la lezione che occorre imparare da Freddie e Fannie è che
bisogna essere scettici verso chi propone una nuova regolamentazione
senza spiegare perché quella passata non ha funzionato. Altrimenti
rischiamo di avere solo nuove regole e nuovi problemi.
23/09/2008 Codacons: Circa 40mila risparmiatori italiani rischiano dopo il crack della Lehman Brothers (http://www.canisciolti.info)
Sono circa 40mila i risparmiatori italiani che hanno nei portafogli bond, prodotti strutturati e polizze index linked legati alla Lehman Brothers e che rischiano di veder bruciati "oltre un miliardo di euro investiti". A sostenerlo il Codacons, in una nota, che ha deciso di "presentare una denuncia penale e preparare una class action contro banche e società di rating".
"La banca americana infatti - sostiene l'associazione - era da tempo considerata a rischio, nonostante il rating. Vogliamo capire allora se ci sono responsabilità da parte degli istituti di credito italiani, degli intermediari finanziari e delle stesse società di rating, che hanno piazzato titoli pericolosi per gli investitori privati".
http://www.lavoce.info
http://www.canisciolti.info
23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
Archivio Finanza
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