Nell'ultimo anno i fondi
sovrani sono stati una
boccata d'ossigeno per
molte società con
difficoltà patrimoniali.
Suscitano però anche
molti sospetti,
soprattutto per la loro
scarsa trasparenza.
Tanto che Ocse e Fmi
preparano linee guida ad
hoc. I governi
occidentali temono in
particolare che i
veicoli cinesi investano
in settori considerati
strategici. E si
acceleri un processo di
migrazione del know-how
tecnologico verso la
Cina. Ma il mercato
sembra aver già scontato
questi rischi. Semmai il
problema è che producano
una nuova forma di
statalizzazione.
Negli ultimi
dodici mesi, con i
loro investimenti,
i fondi sovrani
hanno dato una
boccata d’ossigeno
a società
costrette da forti
difficoltà
patrimoniali
a ripetute
svalutazioni,
introducendo un
elemento di
relativa stabilità
in un mercato
finanziario che
altrimenti avrebbe
visto diverse
blue-chip
ricorrere a
procedure
fallimentari. La
stampa
internazionale ha
cominciato a
occuparsi del
problema
sostanzialmente
nel maggio 2007,
quando
China Investment
Corporation,
fondo sovrano
cinese con una
dotazione iniziale
di 200 miliardi di
dollari, ha
acquistato una
partecipazione in
Blackstone, gruppo
di private
equity
statunitense in
procinto di
quotarsi.
L’investimento,
pari a circa 3
miliardi di
dollari per meno
del 10 per cento,
oggi quota al 60
per cento del
valore iniziale.
LINEE GUIDA PER LA
TRASPARENZA
Queste
operazioni hanno
generato una
vivace discussione
sulla scarsa
disponibilità di
informazioni circa
il ruolo e le
strategie
operative di buona
parte dei fondi
sovrani,
soprattutto per
quanto riguarda
quelli costituiti
da governi non
occidentali. Per
far fronte alla
mancanza di
trasparenza, l’Ocse
ha definito delle
linee guida mentre
il Fondo
monetario
internazionale,
su incarico dei
ministri delle
Finanze e
dell’Economia dei
paesi del G7, ha
appena emanato un
codice di condotta
su base
volontaria, con
ventiquattro
principi, frutto
del lavoro
congiunto di un
comitato cui hanno
partecipato anche
i principali fondi
sovrani.
Il Sovereign
Wealth Fund
Institute,
organizzazione
non-profit, ha
invece elaborato
il cosiddetto
“indice di
trasparenza
Linaburg-Maduell”:
qualifica i fondi
sovrani in
relazione alla
loro natura, alle
loro strategie e
alla qualità della
corporate
governance e
della politica di
accountability
cui sono soggetti.
Presupposto di
tutti questi
indirizzi è la
definizione
di fondo sovrano,
un aspetto
rilevante, in
particolare, ai
fini della
attuazione delle
linee guida che
Fmi e Ocse
imporranno ai
paesi
sottoscrittori
degli accordi di
ratifica. Se un
fondo cadesse
nella fattispecie,
dovrebbe infatti
rispettare le
direttive del
caso, affrontando
tutti i problemi
connessi con i
livelli di
trasparenza
richiesti.
Molto resta ancora
da fare, a partire
proprio dal
problema
definitorio, che
potrebbe avere
interessanti
implicazioni anche
per il sistema
italiano. I fondi
sovrani, stando
alla definizione
del Fmi sono
“speciali fondi
d’investimento
creati o posseduti
da stati sovrani
al fine di
detenere attività
in valuta estera
con un orizzonte
temporale
d’investimento
protratto”. Cosa
s’intende per
“sovrano”? In un’ottica
federale
lo sarebbe anche
una regione
italiana? Le
attività devono
necessariamente
essere in valuta
estera? Potrebbe
una fondazione
bancaria italiana
essere considerata
una sorta di fondo
sovrano? Qual è
l’orizzonte
temporale di un
investimento
“protratto”?
Recentemente,
complice la
debolezza del
dollaro, Qatar
Investment
Authority, altro
fondo sovrano
medio-orientale,
ha cominciato a
convertire gli
investimenti
denominati in
dollari in
investimenti
denominati in
euro.
Per finire, poi, i
fondi sovrani
dovrebbero essere
differenziati in
funzione anche di
altri parametri.
Ad esempio, delle
fonti del
finanziamento,
come cessione sul
mercato di risorse
naturali non
rinnovabili,
avanzi fiscali,
proventi derivanti
dai processi di
privatizzazione,
avanzi delle
partite correnti;
oppure degli
obiettivi di
policy
perseguiti:
stabilizzazione
dei proventi
dell’esportazione
di commodities
o accumulazione
dei proventi
stessi, impiego di
riserve in valuta
in strumenti di
investimento a
rendimento/rischio
più elevato di
quello tipico in
cui sono investite
le riserve
ufficiali,
destinazione di
fondi a obiettivi
di sviluppo
infrastrutturale,
investimento di
risorse destinate
al soddisfacimento
futuro di
prestazioni
obbligatorie,
quali le pensioni.
Ciò permetterebbe
di meglio
comprenderne le
strategie.
TRA RISCHI E
PRAGMATISMO
Il dibattito
sulla trasparenza
dei fondi sovrani
è in realtà sulle
loro “intenzioni”
e sulle loro
politiche
allocative e nasce
sostanzialmente
all’indomani della
creazione
nell’autunno 2007
di Cic, che prima
ancora di veder
ufficialmente la
luce, aveva già
compiuto
l’operazione in
Blackstone. Le
preoccupazioni
ruotano
soprattutto
attorno alla
possibilità che
Cic, od omologhi
veicoli cinesi,
compiano
investimenti in
aziende o
settori
considerati
strategici
dai governi,
preoccupati non
solo che la
sicurezza
nazionale sia
posta in pericolo,
ma anche che possa
accelerarsi un
processo di
migrazione del
know-how
tecnologico verso
la Cina,
con effetti
negativi sulla
struttura
industriale e
occupazionale del
proprio paese. Dal
momento che la
Cina è stato il
primo paese ad
aver accettato il
codice di
autocondotta testé
emanato dal Fmi,
il timore
sembrerebbe
infondato.
Sull'altro piatto
della bilancia,
c’è però la nuda
realtà delle
cifre, che
richiede di
accedere alle
disponibilità dei
fondi sovrani, per
porre rimedio agli
eccessi
speculativi. Le
molte operazioni
effettuate in
quest’ultimo anno,
che hanno
coinvolto anche
fondi cinesi,
confermano che il
pragmatismo alla
fine vince.
Sembrerebbe quasi
che la comunità
politica chieda
alle
organizzazioni
finanziarie di
controllo
l’emanazione di
una griglia di
indicazioni, che
possano fungere da
“regole
d’ingaggio” con i
fondi sovrani. Se
così fosse,
sarebbe tuttavia
un processo a
posteriori:
il mercato,
infatti, pare aver
scontato il
rischio e già vi
accede ampiamente,
come dimostrano le
operazioni delle
banche
statunitensi,
incuranti dei
risvolti
geo-politici,
concluse
emettendo, se del
caso, capitale
ibrido, con o
senza diritto di
voto. La
trasparenza e il
problema
definitorio dei
fondi sovrani
sarebbero, in
altre parole,
acqua passata,
ormai.
Ma è un altro
aspetto dei fondi
sovrani che forse
meriterebbe ancor
più di essere
indagato: il
possibile prodursi
di un effetto
reversal.
Dopo una lunga
stagione di
privatizzazioni
avviate dai
principali governi
occidentali
potrebbe infatti
materializzarsi
una sorta di nuova
“statalizzazione”
estero-vestita,
problema acuito
dal fatto che i
fondi non sembrano
voler svolgere
ruoli da
investitore
attivo. Alto
sarebbe dunque il
rischio che si
ricreino così le
problematiche
legate ai costi di
agenzia, in
generale, e, in
particolare,
quella del
management
entrenchment,
in cui si
costruiscono
“alleanze” tra un
management
autoreferenziale e
soci forti ma
silenziosi,
rendendo vano lo
spirito che
dovrebbe
caratterizzare il
libero mercato,
ossia la
concorrenza e la
meritocrazia.
* Dirigente di
ricerca, Giappone
e Australasia,
Istituto Superiore
Mario Boella
(Tokyo)
http://www.lavoce.info
23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
Archivio Finanza
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