Si parla molto dei rischi finanziari assunti dagli enti locali nella stipula
di contratti di finanziamento in cui sono presenti strumenti derivati. Poca
enfasi si dà invece ai rischi di credito. La normativa vigente vuole
incentivare l'investimento in titoli di Stato italiani o emessi da enti
locali. Ma presenta molti problemi. Per risolverli basterebbe vincolare
l'inserimento dei titoli sulla base di un rating minimo, senza alcuna
limitazione geografica. E specificare i limiti massimi di concentrazione per
categoria e per singoli emittenti.
È ormai da diverso tempo che si parla dei rischi finanziari assunti
dagli enti locali nella stipula di contratti di
finanziamento in cui sono presenti strumenti derivati.
(1) Poca enfasi viene invece data ai rischi di
credito e ai possibili problemi che ne possono derivarne.
Ultimo esempio di questo stato cose è la recente relazione della Corte
dei conti sulla gestione finanziaria delle Regioni. Enti
locali e credito
In realtà gli enti locali possono sopportare anche rilevanti rischi
di credito derivanti dalla gestione dei fondi di ammortamento, i
sinking funds, collegati alla quasi totalità delle emissioni
obbligazionarie. La parola inglese "sinking" ha un doppio significato:
ammortamento e affondamento. Il gioco di parole è dunque quasi
d’obbligo: quale sarà l’effetto della gestione dei sinking funds
sulle obbligazioni emesse dagli enti locali? Cerchiamo di comprendere la
natura del problema.
Tutto ha origine dall’articolo 41 della legge 448/2001 che estende agli
enti locali e alle Regioni la facoltà di emettere titoli obbligazionari
con modalità bullet (rimborso del capitale a scadenza), in
aggiunta alla già prevista modalità ad ammortamento rateizzato del
capitale. In tali casi è però previsto l’obbligo di costituzione di un
sinking fund ove accantonare periodicamente la provvista
necessaria per il futuro rimborso dell’obbligazione. La
sua gestione, ovvero l’investimento in titoli delle somme accantonate,
viene normalmente affidata all’istituzione finanziaria che ha curato
l’operazione. Ciò che è importante sottolineare è che il rischio di
credito relativo ai titoli inseriti nel fondo rimane a totale carico
dell’ente. Non a caso, la normativa disciplina specificatamente la
tipologia di titoli inseribili all’interno di un
sinking fund, disponendo: "Le somme accantonate nel fondo di
ammortamento potranno essere investite esclusivamente in titoli
obbligazionari di enti e amministrazioni pubbliche nonché di società a
partecipazione pubblica di Stati appartenenti all'Unione Europea".
(2) Una successiva circolare precisa: "In
considerazione del fatto che il rischio sul portafoglio dei titoli
conferiti al fondo di ammortamento rimane comunque a totale carico
dell’ente, si sottolinea che la selezione degli emittenti dei suddetti
titoli deve essere conforme allo spirito di riduzione del rischio
creditizio". (3)
Malgrado l’invito della circolare a rispettare lo spirito di riduzione
del rischio creditizio, l’attuale normativa presenta diversi problemi:
1. nel presupposto (errato) che non siano rischiosi, consente
di inserire obbligazioni di qualsiasi società a partecipazione
pubblica (ad esempio, obbligazioni Alitalia), titoli di stato
di qualsiasi paese dell’Unione Europea (ad esempio, paesi est europei),
titoli emessi da enti locali (ad esempio, il Boc di Taranto);
2. non prevede alcun limite di concentrazione per
categoria di emittenti (ad esempio, emittenti sovrani, emittenti
municipali, emittenti corporate, eccetera), né tale limite è
previsto per l’investimento nei singoli emittenti. Stando alle
disposizioni correnti, e contrariamente alla più semplice logica di
diversificazione, è teoricamente possibile investire il 100 per cento
del fondo di ammortamento in un unico titolo emesso da un unico
emittente;
3. non consente invece l’investimento in alcune categorie di
titoli a basissimo rischio creditizio, come i titoli emessi da enti
sopranazionali (ad esempio, Banca Mondiale o Bei) o titoli di stato
emessi da Stati sovrani con rating tripla A (ad esempio, i
titoli di Stato del Tesoro statunitense).
La ratio della normativa va probabilmente ricercata nell’obiettivo di
incentivare l’investimento in titoli di Stato italiani e in titoli
emessi da enti locali (Bor, Bop e Boc), per ottenere una minore
stima del debito consolidato del paese in base alla definizione
di Maastricht. Secondo tale definizione, il debito emesso da un
sotto-settore e detenuto da un altro non viene computato ai fini della
determinazione del debito complessivo del paese. È importante
sottolineare che tale vantaggio genera di contro un potenziale
rischio contagio. Qualora, infatti, il debito degli enti locali
fosse in larga parte posseduto da altri enti, un eventuale dissesto di
uno di essi andrebbe a gravare interamente sugli altri. Considerando
inoltre l’assenza di limiti di concentrazione, nel caso in cui un ente
locale possedesse nel proprio sinking fund una vasta parte del
debito in default, esisterebbe anche un rischio di propagazione
del dissesto.
Una possibile riforma
Per evitare questi problemi, sarebbe a nostro avviso sufficiente
proporre alcune semplici modifiche:
1. vincolare l’inserimento dei titoli sulla base di un
rating minimo, senza alcuna limitazione geografica;
2. specificare, in una logica di diversificazione del rischio, i
limiti massimi di concentrazione per categoria di
emittenti e per singoli emittenti.
Il primo punto permetterebbe di eliminare due dei problemi
evidenziati: verrebbero automaticamente esclusi gli emittenti
caratterizzati da un più alto rischio di credito e, al contempo,
verrebbe aperta la strada all’inserimento di titoli supranational
o di Stati con massimo merito di credito. Il secondo punto garantirebbe
un ancora maggiore contenimento del rischio, grazie al frazionamento del
fondo tra un numero elevato di emittenti di diversa categoria.
Le modifiche proposte ridurrebbero la potenziale esposizione degli enti
locali ai rischi creditizi. Tuttavia, da sole, non sarebbero
sufficienti. L’introduzione, ad esempio, di specifiche clausole
contrattuali collegate ai sinking fund potrebbero
modificare sensibilmente il livello di esposizione al rischio
creditizio. Oltre, quindi, a una migliore normativa specifica, è
necessario prevedere un’attività di monitoring. Il
provvedimento introdotto dalla Legge finanziaria 2007,
che impone la preventiva trasmissione dei contratti relativi ai
sinking fund al ministero dell’Economia, pena la loro inefficacia,
va nella giusta direzione. Il provvedimento risulterà però privo di
efficacia se alla trasmissione non seguirà un’attenta valutazione dei
rischi creditizi assunti dall’ente, con conseguente diniego di
autorizzazione per le operazioni ritenute eccessivamente rischiose. All’attività
di controllo andrebbe aggiunta anche una valutazione del grado
di correttezza economica dei contratti, per evitare che dietro la
complessità valutativa di operazioni di finanza strutturata possano
nascondersi perdite per l’ente stipulante.
Le generazioni future vorrebbero che ciò potesse avvenire quanto prima.
(1) Tipicamente, rischio tasso d’interesse e valuta.
(2) Decreto ministeriale 389/2003, articolo 2.
(3) Circolare ministeriale 128/2004, articolo 2.
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23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
Archivio Finanza
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