Sull’onda dell’attenzione
mediatica scatenata dalla crisi dei mutui americani e, soprattutto, dal
rilevante aumento dei tassi d’interesse, molti commentatori hanno
stimato in centinaia di euro mensili l’impatto sul bilancio delle
famiglie di quanto accaduto. Tra i fattori nascosti che aumentano la
rata del mutuo è stata inoltre evidenziata la spesso imperfetta
sincronizzazione fra rilevazione e applicazione dell’Euribor. Tra i
fattori strutturali che in Italia hanno un impatto negativo sul popolo
dei mutui, quello appena citato appare tuttavia di importanza modesta se
lo si mette a confronto con il livello assoluto dei tassi applicati ai
mutui ipotecari, che sono più elevati rispetto alla media dell’area
euro.
Spread sui mutui a tasso variabile
Il grafico sottostante, ad esempio, evidenzia nel settore dei mutui a
tasso variabile il permanere di un differenziale di circa 20 punti
base anche in un contesto di generale compressione degli spread
rispetto all’Euribor, che è peraltro continuata negli ultimi due mesi.
Errore. Il collegamento non è valido.
L’anomalia era stata autorevolmente rilevata solo due mesi fa dal
governatore della Banca d’Italia nel corso della sua relazione
all’assemblea dell’Abi. L’associazione aveva giustificato il "lieve"
differenziale con l’esistenza di un rischio-paese che varrebbe
circa 20 punti base di maggiori costi di raccolta, con l’inesistenza di
un mercato di covered bonds e con maggiori difficoltà nel
recupero crediti. L’ultimo punto è senz’altro valido: si pensi che i
processi di pignoramento in Italia possono durare molti anni, mentre in
Germania e Francia richiedono in media dieci mesi. Il secondo dovrebbe
scomparire in futuro perché d’ora in poi anche le banche italiane
potranno emettere covered bonds. Il primo potrebbe essere
invocato solo se tutta la raccolta delle banche avvenisse sul mercato, e
non agli sportelli.
Prezzo dei mutui a tasso fisso
Se bene o male lo spread sull’Euribor include - e deve farlo -
costi e premi per il rischio, rimane tuttavia inspiegabile il prezzo dei
mutui a tasso fisso. Alla luce di quanto appena detto, il tasso fisso
applicabile dovrebbe essere il numero esattamente equivalente all’Euribor
più lo spread praticato sul variabile: al momento, considerato il
"lieve" differenziale italiano, circa 90 punti base sui venti anni. In
pratica, dovrebbe essere il tasso fisso pagabile in un interest rate
swap in cui si riceve Euribor + 90 pb.
Oggi, una banca tedesca o francese che ricevesse in uno swap € + 70
punti base pagherebbe circa il 5,1 per cento. E in effetti il 5,1 per
cento è proprio il tasso a cui si può contrarre un mutuo ventennale
a tasso fisso in Germania e in Francia. Anche ipotizzando che i mutui in
Italia debbano essere più cari di una ventina di punti base per le
ragioni addotte dall’Abi, il tasso di un mutuo ventennale fisso dovrebbe
quindi essere del 5,30 per cento. E invece no; oscilla intorno al
5,60 per cento.
Perchè questa maggiorazione?
Perché per prezzare il tasso fisso le banche italiane applicano spesso
lo spread del variabile al tasso swap (Irs) corrispondente alla
durata legale dell’operazione. Nel nostro esempio il tasso sarà
quindi pari all’Irs a venti anni (4,7 per cento) + 90pb= 5,60 per cento.
Se si onfrontano solo gli spread di fisso e variabile, il
potenziale mutuatario ha l’impressione di una equivalenza di condizioni
che in realtà non sussiste. La variabile chiave per l’equivalenza non è
infatti la durata legale, ma la durata finanziaria (duration).
L’unico caso in cui le due durate coincidono è quello di un tasso fisso
zero-coupon: tutto il capitale e tutti gli interessi pagati a
scadenza. Non è ovviamente il caso di un mutuo con pagamenti mensili di
capitale e interessi, che ha una duration inferiore a cinque
anni. Non a caso, se si utilizzassero più correttamente l’Irs a cinque
anni come base e i 90 punti base come spread, il tasso risultante
sarebbe per l’appunto del 5,30 per cento.
La distorsione, che era ancora più macroscopica quando la curva era più
ripida di quella prevalente oggi, " vale" nel nostro esempio quasi
l’1,5 per cento del nozionale del mutuo (i 30 punti base di
"sovrapprezzo" moltiplicati per la duration), ma è solo una
componente del margine complessivo delle banche. Al fine di minimizzare
il premio per il rischio che dovrebbero pagare in caso di provvista a
lungo termine, nella maggior parte dei casi si opta per una politica di
mismatching (raccolta a breve, impieghi a lunga) suscettibile di
incrementare ulteriormente (anche al 5 per cento dell’ammontare del
mutuo) il margine di interesse globale. Si dirà che con il
mismatching ci si assume un rischio, che va giustamente retribuito;
non altrettanto può tuttavia dirsi della "formula Irs", che -
soprattutto in condizioni di curva più "normali" di quelle di oggi - ha
reso indebitamente onerosi una parte dei 250 miliardi di mutui-casa
contratti dagli italiani.
Che fare? Da un lato, non è certo un buon momento per chiedere alle
banche una compressione ulteriore degli spread che
pure sarebbe giustificata. Dall’altro, anche questa distorsione
testimonia dell’urgenza di sostenere le iniziative di educazione
finanziaria recentemente avviate dalla Banca d’Italia. Proprio
durante l’assemblea Abi, il governatore aveva infatti sottolineato come
"lo strumento più potente per perseguire l'interesse del consumatore
resta la concorrenza, che però può funzionare solo se è garantita la
trasparenza delle condizioni".
23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
Archivio Finanza
|