Difficile prevedere quanto
durerà la crisi in corso sui mercati finanziari di tutto il mondo. La
dinamica ricorda quella di crisi precedenti, a partire da quella del 1998 (default
russo e collasso del fondo LTCM) di cui molti hanno oggi perso memoria. Un
eccesso di liquidità (inteso come abbondante disponibilità di prestiti a
basso costo) si è di colpo trasformato in difetto di liquidità, nel senso
che molti operatori faticano a vendere i titoli che hanno in portafoglio
senza provocare forti riduzioni del loro prezzo. Niente di direttamente
paragonabile, invece, alla crisi del 1929 evocata da alcuni politici e
commentatori italiani. Per fortuna Ben Bernanke, il Presidente della
Federal Reserve, ha studiato a fondo quella crisi: nella sua
ricostruzione (1), la "Grande Depressione" fu scatenata da un crollo
della produzione e dei consumi amplificato dai tagli drastici al credito
alle imprese effettuati dalle banche in parte perchè la Fed non fece quello
che avrebbe dovuto: agire da prestatore di ultima istanza. Esattamente
l’opposto di quanto sta accadendo oggi, con una economia mondiale che
continua a crescere a tassi molto sostenuti e con le banche centrali che
hanno finora assolto al loro ruolo. Il vero fattore in comune con la Grande
Depressione è l’epicentro della crisi: gli Stati Uniti.
Tornando al presente, è utile cercare di spiegare le cause scatenanti della
crisi. Tre fattori contribuiscono alle difficoltà dei mercati finanziari
indotte dai (temuti) default sui mutui subprime nel Stati Uniti: i).
la bassa alfabetizzazione finanziaria delle famiglie, ii).
l’innovazione finanziaria insita nella massiccia cartolarizzazione di
attività illiquide e iii.) la politica dei bassi tassi di
interesse seguita dalla Fed dal 2001 al 2003. La terza causa è di gran
lunga la più importante. Senza il contributo di Greenspan la crisi
probabilmente non ci sarebbe mai stata.
La bassa alfabetizzazione finanziaria
In primo fattore è un insieme di cattiva informazione, inesperienza
finanziaria e miopia dei consumatori/investitori che si sono lasciati
attrarre dalla prospettiva di ottenere mutui a tassi mai visti prima,
estrapolando ai trenta anni successivi i tassi prevalenti sulle prime rate.
Questa miopia è stata nutrita e sfruttata dalle banche e dalle finanziarie
specializzate in mutui per attrarre e catturare clienti. Non diversamente da
quanto hanno fatto in altre circostanze suggerendo agli investitori impieghi
finanziari inadatti alla loro tolleranza del rischio: in entrambi i casi, a
farla da padrone è il conflitto di interesse che antepone il
conseguimento di profitti immediati da parte dell’intermediario (commissioni
e interessi nel caso dei mutui; commissioni nel caso della vendita di
strumenti di investimento) alle necessità del cliente. L’alfabetizzazione
finanziaria è molto bassa in Italia, ma lo è molto anche negli Stati Uniti.
Solo due terzi degli americani conosce le leggi della capitalizzazione
composta, dunque sa calcolare i costi dell’indebitamento. Meno di un
cittadino statunitense su due sa misurare gli effetti dell’inflazione sui
costi dell’indebitamento. L’analfabetismo finanziario è notevolmente più
alto fra i sottoscrittori dei subprime. Gli intermediari hanno ampiamente
approfittato di questa bassa cultura finanziaria.
Le cartolarizzazioni
Il secondo ingrediente è l’innovazione finanziaria degli ultimi 10 anni e
la scala raggiunta dalle cartolarizzazioni. Oggi è facile liquidare
un pacchetto di crediti per loro natura illiquidi – quale un insieme di
prestiti bancari o di mutui ipotecari – emettendo a fronte titoli
rappresentativi del pool che vengono poi collocati nei portafogli
degli investitori. Qualunque banca con sofferenze all’attivo ha colto questa
opportunità e ha cartolarizzato i propri crediti . Come tutte le innovazioni
finanziarie ha i suoi pro e i suoi contro. Il vantaggio è quello di rendere
liquido un credito illiquido, consentendo importanti guadagni di efficienza
perchè permette, ad esempio, di prendere posizioni a più lungo termine e a
più elevato rendimento. Serve anche a spalmare il rischio di insolvenza
su una platea più vasta, riducendo il grado di esposizione del singolo
operatore. Ma le cartolarizzazioni finiscono anche per allentare gli
incentivi degli intermediari a monitorare il comportamento del prenditore
iniziale di fondi. Inoltre, dato che è possibile liquidare con maggior
facilità un credito divenuto rischioso, si riduce l’incentivo delle banche a
selezionare con cura i clienti, aprendo quindi le maglie anche a creditori
di bassa qualità.
I bassi tassi di interesse
I due fattori precedenti non sono nuovi. Anche per questo motivo, senza
il terzo fattore, il lascito del banchiere centrale del secolo, la crisi
probabilmente non ci sarebbe mai stata. La politica monetaria dei bassi
tassi che Alan Greenspan ha imposto come risposta alla recessione
successiva all’11 settembre del 2001 e all’esplosione della bolla della
new economy, ha immesso una quantità enorme di liquidità nel sistema,
portando i tassi d’interesse a breve all’1 per cento, il livello più basso
da 50 anni a quella parte. Di più, Greenspan ha tenuto per almeno due anni i
tassi d’interesse significativamente al di sotto del loro livello di
equilibrio. (2) Tassi di interesse per lungo tempo così bassi, spesso
negativi in termini reali, sugli strumenti tradizionali di investimento e
eccesso di liquidità invogliano i prestatori di fondi a prendere maggiori
rischi per strappare rendimenti decenti. È quello che è puntualmente
accaduto: intermediari in cerca di profitti hanno esteso il credito a
famiglie e imprese con limitata solidità finanziaria. Investitori più o meno
esperti hanno riallocato i loro portafogli verso attività più lucrative ma
per questo più rischiose per cercare di accrescere il loro capitale o anche
solo per preservarne il potere di acquisto. Bassi tassi sul debito, a breve
e a lunga scadenza, hanno richiamato frotte di debitori, famiglie
innanzitutto, che vedevano la possibilità di acquistare quello che in tanti
anni nel passato era stato fuori dalla loro portata. Al contempo hanno
spinto i prezzi delle abitazioni verso l’alto, ulteriormente incoraggiando
l’estensione di credito, tanto, si pensava, vi è dietro il valore
dell’immobile a garanzia.
Il canto delle sirene keynesiane
Grazie Alan! Si paga oggi il conto delle sovra-reazione alla recessione
del 2001. La Bce è stata saggiamente più guardinga e si è lasciata solo
parzialmente tentare dalle spinte keynesiane a ridurre i tassi (gia
assurdamente bassi) per aggredire la stagnazione europea. Molti vorrebbero
che lo facesse ora. Gli stessi che paventano oggi una nuova crisi del 1929
invocano politiche keynesiane del tipo di quelle seguite negli Stati
Uniti, in Gran Bretagna e in Germania dopo la Grande Depressione. Bene
invece non ripetere l’errore di Greenspan, evitare politiche monetarie
troppo accomodanti per troppo tempo. Oggi le banche centrali fanno bene a
immettere liquidità nel sistema, anche perchè in queste crisi c’è da aver
paura della paura: aspettative irrazionali possono scatenare spinte
ribassiste che fanno avverare le profezie più pessimistiche. Inoltre la
crisi dei mercati colpisce tutti in modo indiscriminato, anche chi non ha
concesso mutui alla leggera. Il comunicato della Fed di venerdì scorso non
chiarisce però se è questo l’intento del calo di mezzo punto del tasso di
sconto o se è il preludio di una nuova sovrareazione alla crisi dei mercati.
Sarà dunque importante dimostrare presto che si è imparata la lezione,
evitando di ripetere l’errore di Greenspan. Non gettiamo oggi, come fatto
tante volte in passato, i semi della crisi futura con una reazione eccessiva
alla crisi corrente.
(1) Ben Bernanke (1983) Nonmonetary effects of the Financial
Crisis in the Propagation of the Great Depression, American Economic Review,
73:257-276
(2) Lombardi, M. E S.Sgherri,
(Un)naturally low? Sequential Monte Carlo tracking of the US Natural
Interest Rate, ECB Working Papers,n.794, august 2007
23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
Archivio Finanza
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