Le oscillazioni, stile
montagne russe, dei mercati finanziari che seminano in questi giorni il
panico nei mercati sono molto di più di una inaspettata correzione dopo un
periodo di crescita incontrastata che durava da 5 anni. L'Economist ha
scritto che questo è un buon periodo per una stretta creditizia
e ha lodato i vantaggi di condizioni più rigorose, seguendo la saggezza
convenzionale secondo cui le crisi sono utili perché conducono a una più
corretta valutazione delle merci e delle attività finanziarie.
L’Economist ha ragione?
C'è una caratteristica particolare nelle ultime crisi (e in particolare
in questa) che rende questa posizione meno accettabile, almeno dal punto di
vista di chi sopporta oggi le perdite e di chi ha intascato i guadagni
durante la fase di boom.
Ci sono quattro caratteristiche dell’attuale sistema finanziario che vale la
pena ricordare:
1) L’enorme crescita delle attività finanziarie e derivati
in tutto il mondo.
Alla fine del 2005 le attività finanziarie totali si attestavano al livello
sorprendente di 3,7 volte il
PIL mondiale(1). L'ammontare nozionale di tutti i derivati era doppio
del volume di tutte le attività finanziarie, il che significa 11 volte il
PIL globale. Ricordiamo che i derivati finanziari non esistevano fino a
trent’anni fa.
2) Lo storico basso livello dei tassi d’interesse negli ultimi
anni, dalla metà degli anni ‘90 (come effetto della politica monetaria
condotta da Greenspan ed il suo tentativo di alimentare la crescita del
mercato finanziario).
Come conseguenza delle condizioni monetarie favorevoli, anche il prezzo per
il rischio richiesto dal mercato è rimasto a livelli molto bassi. I due
grafici seguenti (IMF, ibidem) mostrano chiaramente la situazione anormale
degli ultimi anni.
3) Il peso crescente delle azioni e dei bond in percentuale
del totale delle attività finanziarie (quindi la diminuzione dei prestiti
dalle banche e dagli altri intermediari finanziari).
A livello mondiale (e nell'Unione Europea), i prestiti bancari costituiscono
il 50 per cento del totale delle attività finanziari, ma negli Stati Uniti
ed in Giappone il rapporto è molto più basso. Negli Stati Uniti soltanto 1
dollaro su cinque è preso a prestito da una banca.
4) La diminuzione dei bond governativi (cioè degli asset risk-free)
rispetto al debito totale.
Mentre il rapporto medio a livello mondiale è del 50 per cento e in Europa
del 35 per cento, in Nord America è del 26 per cento, con una tendenza al
ribasso. Gli ultimi due punti stanno a significare che i portafogli delle
famiglie sono sempre più composti da titoli soggetti sia a rischio di
mercato che a rischio di credito.
Questi sono gli ingredienti della magia dell’innovazione finanziaria degli
ultimi decenni: in breve, le banche hanno creato un volume sorprendente di
debito, frazionandolo in vari tipi di strtumenti finanziari,
con gradi diversi di garanzia.
Dove sta il rischio
Questi strumenti sono state comprati da una vasta gamma di banche più
piccole, fondi pensioni, compagnie di assicurazione, hedge funds,
altri fondi e anche investitori privati, tutti incoraggiati ad investire dal
rating generalmente alto dato a questi strumenti. Secondo una importante
scuola di pensiero, questo finanziamento "arm-length" è il più
efficiente per collocare le risorse. Altri possono ricordare Dickens il
quale molti anni fa definì il credito come un sistema "con cui una persona
che non può pagare trova un'altra persona che non può pagare che garantisce
che può pagare".
In effetti, i sistemi finanziari globali si sono dimostrati molto elastici
agli shock reali e finanziari negli ultimi venti anni ma ciò che
preoccupa soprattutto le banche centrali è che – diversamente da quanto
accadeva nei vecchi tempi bank-based – semplicemente non sanno dove
sta il rischio. Lo
testimonia questa dichiarazione nel giugno 2007 nella Relazione della
Banca per i Regolamenti Internazionali (p. 167):
" Posto che le grandi banche siano riuscite a distribuire in modo più
diffuso i rischi insiti nei prestiti da loro concessi, chi sono i soggetti
che attualmente detengono tali rischi, e quali sono le loro capacità di
gestirli? La verità è che non lo sappiamo.".
Onesto, ma assai preoccupante.
Chi ci perde?
La sola cosa che sappiamo è che le perdite cadranno sulle spalle degli
investitori finali, e non saranno condivise con le banche come è
successo in forme di finanza in cui gli intermediari assumevano un peso
superiore e dunque sopportavano direttamente un rischio maggiore. Il punto è
che i profitti delle banche negli ultimi venti anni hanno raggiunto
record storici. Il rendimento del capitale netto è stato normalmente a
livelli con due cifre (la prima è preferibilmente due) e sarà probabilmente
solo intaccato dalla correzione in atto sui mercati. In altre parole, la
pazzia del credito è finita, una dieta era più che necessaria, ma quelli che
dovranno tirare la cinghia non sono quelli che si sono ingrassati negli anni
passati.
L’allocazione del finanziamento
L'efficienza allocativa del finanziamento "arm-length" merita
almeno un secondo giudizio. Le implicazioni di policy di ciò che è sotto i
nostri occhi sono almeno tre.
Primo, ancora una volta, è emerso un problema di rating. Le
valutazioni del rischio del credito sono stato fatte su supposizioni troppo
ottimistiche, usando dati non sempre statisticamente significativi ed
ignorando sistematicamente la possibilità di distribuzioni statistiche
irregolari in corrispondenza di eventi estremi. Quando le banche non si
fanno carico dei rischi sui loro libri, ma li vendono soltanto, la
fragmentazione delle responsabilità conduce a ciò che L'Economist ha
definito come "troppo denaro prestato a condizioni troppo convenienti e
troppo facilmente a troppe persone". Le banche non dovrebbero disfarsi dei
rischi cosí facilmente: una porzione del rischio (per esempio usando la
regolamentazione sui requisiti di capitale) dovrebbe rimanere nei bilanci
delle banche.
Secondo, i titoli emessi erano molto meno negoziabili di
quanto le banche avevano fatto credere ai loro clienti. I bond più
sofisticati venivano scambiati raramente; alcuni erano fatti su misura dalle
banche d'investimento per clienti specifici e non erano mai
commercializzati. Il mark-to-market (la valutazione ai prezzi di mercato)
era quindi solo la conseguenza di una valutazione soggettiva frutto di
complicati modelli costruiti al computer e di ipotesi altrettanto
soggettive. La formazione del prezzo da parte del mercato, il vero cuore di
un mercato finanziario basato sui titoli era semplicemente
un'illusione. Gli investitori finali non sono adeguatamente protetti quando
i loro titoli sono trattati in mercati sottili e non-regolamentati.
Terzo, c'è un problema di trasparenza nel mercato della vendita al
dettaglio delle attività finanziarie. Poiché i prodotti finanziari stanno
diventando sempre più sofisticati, la maggior parte degli investitori non è
consapevole del rischio effettivamente sopportato. Ci sono due reazioni
ipocrite che emergono: chiedere maggior trasparenza e una maggior
educazione finanziaria. La prima strada dovrebbe condurre soltanto a un
ulteriore appesantimento degli attuali prospetti informativi, già oggi
leggibili solo da chi ha conseguito un PhD in finanza (meglio se di
un'annata molto recente). La seconda strada è perfino più assurda (come ci
si poteva aspettare subito sostenuta dal Presidente Bush) poiché è
semplicemente impossibile colmare il divario tra il livello attuale di
educazione finanziaria ed il livello di finanza da scienziato nucleare
utilizzata negli attuali prodotti. La sola soluzione è usare
regolamentazioni (e in particolare le regole di comportamento degli
intermediari) in modo da rendere più conveniente per gli intermediari
vendere prodotti finanziari semplici. Un vasto campo di ricerca
(particolarmente nel Regno Unito, promosso dal Ministero del Tesoro e dalla
FSA, l’organo di vigilanza) prova che la filosofia dell’attuale
regolamentazione crea una forte propensione verso la complessità e
l'opacità.
Non solo maggior educazione finanziaria
E’ arrivato il momento di cambiare rotta e creare adeguati incentivi
affinché gli intermediari finanziari siano spinti a vendere prodotti più
semplici agli investitori finali. Solo a questo punto un più alto livello di
educazione finanziaria sarà efficace. E’ bene anche che gli economisti
finanziari guardino più attentamente e in una maniera più dickensiana a ciò
che succede all'ultimo anello della "magia" della creazione del credito.
(1) IMF, Global Financial Stability Report, Aprile 2007.
* Il testo inglese e integrale dell'articolo è disponibile su
www.voxeu.com
23/09/2008 Archivio Crac Lehman Brother, il terrore dei mutui, i risparmi degli investitori
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