Con la campagna elettorale
ormai nel vivo, sembra essere scomparso dai teleschermi e dai media il
problema della finanza pubblica. Purtroppo, spentasi l’eco degli
slogan elettorali e delle promesse, sarà questa la vera priorità per il
nuovo Governo e ne assorbirà l’attenzione almeno per i prossimi due anni.
La corsa contro il tempo
Il trend dei conti pubblici italiani non è sostenibile. Un grafico
illustra il punto in modo sintetico. (1)

Sull’asse orizzontale è indicato l’avanzo primario di bilancio in
rapporto al Pil, mentre sull’asse verticale è riportato l’interesse pagato
sul debito al netto del tasso di crescita (r-g) che moltiplica il rapporto
tra il debito pubblico e il Pil, D/Y. La dimensione dei cerchi per ciascun
paese è proporzionale al rapporto debito/Pil.
Quando (r-g)*D (asse verticale) è superiore all’avanzo primario (asse
orizzontale), significa che esistono seri dubbi sulla capacità di pagare gli
interessi in futuro perché questo onere finanziario non è coperto né dalla
crescita economica, né da sufficienti entrate fiscali. In altri termini, nel
tempo il debito tenderà a crescere.
La retta tratteggiata a 45 gradi segna il confine tra sostenibilità e
insostenibilità, mettendo in luce un altro elemento di fragilità:
quattro delle cinque maggiori economie di Eurolandia, hanno una posizione
fiscale precaria. L’Italia ha una posizione di gran lunga peggiore
perché il divario tra tasso di interesse e tasso di crescita è molto
maggiore. E perché il rapporto debito/Pil è il più alto tra i paesi la cui
posizione fiscale è insostenibile.
In caso di tensioni, l’onda d’urto investirebbe per primi i titoli italiani.
L’atteggiamento dei mercati
Si è osservato che tutta questa preoccupazione non è condivisa dai
mercati: lo spread tra i titoli del debito pubblico tedesco e
italiano con una maturità di dieci anni è di appena 21 punti base (anche se
in salita rispetto ai 12 punti registrati un anno fa).
Queste considerazioni non dovrebbero rassicurare troppo. Come insegna
l’esperienza, dal Messico alla Corea, dall’Indonesia all’Argentina, dalla
Russia alla Thailandia o, se si preferiscono gli eventi della storia recente
italiana, la crisi del 1992-93, i mercati non reagiscono con gradualità.
Inoltre, il mercato non è formato solo da operatori competenti, preveggenti
e che operano scelte oculate. Riflette le percezioni più diffuse in un
particolare momento, non necessariamente quelle che si riveleranno
corrette nel medio-lungo periodo.
A mio avviso esistono due spiegazioni per l’attuale atteggiamento
apparentemente rilassato dei mercati.
In primo luogo, è diffusa la convinzione che la
Banca centrale europea sarebbe costretta a intervenire in qualche
modo per evitare la bancarotta dell’Italia. Si tratta di un’illusione.
Il Trattato di Amsterdam non permette alla Bce di effettuare alcun
intervento di soccorso. Anzi, le regole impongono che i titoli con un rating
basso non possano essere utilizzati come collaterale per le operazioni con
cui la Bce immette liquidità nel sistema. Insomma, se il rating dovesse
deteriorarsi sensibilmente, non solo la Bce non potrebbe intervenire, ma le
regole da essa stabilite precipiterebbero la crisi. Gli altri paesi di
Eurolandia potrebbero concedere prestiti di emergenza per evitare un rischio
contagio, ma mettendo mano a fondi pubblici, non con operazioni di
maquillage monetario. Queste operazioni sono difficili da approntare in
breve tempo. E soprattutto sono difficili da far digerire alle opinioni
pubbliche. Come reagirebbero i tedeschi o i francesi chiamati a sostenere il
debito italiano mentre essi stessi sono in preda a difficoltà di bilancio
(anzi, come indicato dal grafico, su un sentiero di instabilità) e mentre
viene loro viene ripetuta da anni la predica sull’austerità e il rigore?
Regole prudenziali inducono fondi pensioni e investitori istituzionali a
comprare titoli del debito pubblico a lunga scadenza (considerati più
sicuri) e sono costretti a investire in titoli in euro perché sottoposti a
limiti stringenti sui rischi di cambio. Inoltre non possono vendere allo
scoperto questi titoli. In definitiva esiste una pluralità di grandi
investitori "obbligati" o quanto meno incoraggiati dalle regolamentazioni a
tenere in portafoglio titoli italiani. Ad esempio, i fondi pensione
tedeschi si fanno notare spesso sul lato acquisti Btp quando lo spread
rispetto ai Bund supera i 20 punti base.
Tuttavia, alcuni di questi investitori coprono il rischio nel mercato dei
credit default swaps: sono titoli che garantiscono all’acquirente un’assicurazione
se un paese non è in grado di ripagare il debito. I prezzi di questi swaps
per l’Italia stanno aumentando sensibilmente e le grandi banche di
investimento internazionale consigliano i loro clienti di acquistarne in
misura maggiore, anche per ragioni puramente speculative. Per il momento il
costo di questa copertura non scoraggia gli investitori istituzionali, ma
esiste un livello oltre il quale il costo dell’assicurazione non rende
attraente il rendimento dei titoli italiani. Potrebbe essere il punto di
innesco della crisi.
È anche opportuno ricordare che i fondi speculativi da tempo hanno
messo l’Italia sotto osservazione: sono per lo più inclini ad una visione
non rosea, ma non hanno ancora preso posizioni rilevanti. Siedono a bordo
campo, per così dire. Alcuni lamentano la mancanza di un contratto futures
sui Btp (finì con il lancio dell’euro) e quindi di uno strumento liquido
attraverso il quale prendere posizioni corte sull’Italia. Potrebbero
ricorrere alle operazioni repo, ma apparentemente non è un mercato che gli
hedge funds prediligono.
Per riassumere, verrebbe da dire che i cedimenti strutturali sono annunciati
da scricchiolii. I mercati, per quanto in apparenza quiescenti, hanno
orecchie sensibili e sono in ascolto. Gli investitori istituzionali
continuano per inerzia, ma con crescente nervosismo, a mantenere in
portafoglio i titoli italiani, mentre i fondi speculativi preferiscono
aspettare i risultati delle elezioni. Il prossimo Governo quindi dovrà dare
segnali rassicuranti in tempi brevi. Anzi, se i sondaggi dovessero indicare
un risultato ambiguo, qualche investitore potrebbe essere tentato di entrare
in campo senza aspettare il 10 aprile.
(1) È stato Vincenzo Guzzo a richiamare la mia attenzione su
questo grafico.
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