Nella tradizionale messa di mezzanotte, Benedetto
XVI parla della creazione maltrattata e del prossimo rifiutato come Gesù
nella stalla di Betlemme. Ma è proprio in quella totale umiltà che si
toccano cielo e terra.
CITTA' DEL
VATICANO - L’umanità attende Dio, ma quando arriva il momento non ha
posto per lui. Nonostante tutto, Dio non si lascia chiudere fuori e fa
diventare la stalla dove nasce il luogo dove terra e cielo si toccano.
La messa di Natale nella Basilica di san Pietro è la trasmissione
televisiva più seguito al mondo, e così Benedetto XVI parla al mondo
della notizia che ci trasforma, della Buona Notizia che oggi il mondo
attende e sembra temere.
La messa di mezzanotte viene introdotta dalla lettura delle profezie che
annunciano l’avvento del Messia: Isaia, Malachia e Sofonia. Il canto
della Kalenda innesta la storia dell’umanità nella storia della
salvezza. Poi il Gloria con lo scampanio in ogni parte del mondo, il
Vangelo e la riflessione del papa, che torna a proporre alla Chiesa e al
mondo parole profonde.
E’ arrivato per Maria il tempo del parto, ha preparato l’arrivo del
Figlio, lo ha atteso. “In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua
vicinanza - dice Benedetto XVI - ma quando arriva il momento, non ha
posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo
spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose,
che non rimane nulla per l’altro – per il prossimo, per il povero, per
Dio. E quanto più gli uomini diventano ricchi, tanto più riempiono tutto
con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro”.
Così il papa parte dal rifiuto dell’uomo verso Dio per arrivare al
rifiuto del prossimo. E domanda: “Abbiamo tempo per il prossimo che ha
bisogno della nostra, della mia parola, del mio affetto? Per il
sofferente che ha bisogno di aiuto? Per il profugo o il rifugiato che
cerca asilo? Abbiamo tempo e spazio per Dio? Può Egli entrare nella
nostra vita? Trova uno spazio in noi, o abbiamo occupato tutti gli spazi
del nostro pensiero, del nostro agire, della nostra vita per noi
stessi?”.
Ma c’è chi accoglie Maria, Giuseppe e Gesù. Sono i semplici, gli
umili, i pastori, gli uomini che si abbandonano alla volontà di Dio.
“Esistono quelli che lo accolgono e così, a cominciare dalla stalla,
dall’esterno, cresce silenziosamente la nuova casa, la nuova città, il
nuovo mondo. Il messaggio di Natale ci fa riconoscere il buio di un
mondo chiuso, e con ciò illustra senz’altro una realtà che vediamo
quotidianamente. Ma esso ci dice anche, che Dio non si lascia chiudere
fuori. Egli trova uno spazio, entrando magari per la stalla; esistono
degli uomini che vedono la sua luce e la trasmettono”.
Gesù nasce in una stalla, un edificio in rovina, come era Israele
all’epoca di Cristo, ed è nella stalla di Betlemme, “che ricomincia la
regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e
deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide
attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono – la Croce –
corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene
costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità”.
La stalla diviene palazzo, e così quel luogo logoro e diroccato, debole
esposto dappertutto al dolore ed alla sofferenza è simbolo del cosmo
lacerato e sfigurato dal peccato. “Che cosa avrebbe detto, - si chiede
il papa - se avesse visto le condizioni, in cui si trova oggi la terra a
causa dell’abuso delle energie e del loro egoistico sfruttamento senza
alcun riguardo?”. Non è banale ecologismo quello di Benedetto XVI, ma
senso cosmico della Salvezza.
Secondo la visione di Gregorio di Nissa, la stalla nel messaggio di
Natale rappresenta la terra maltrattata. “Cristo non ricostruisce un
qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la
sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo
inizio e fa giubilare gli Angeli.” La creazione ritrova il suo senso
originario, viene ricostituita, cielo e terra si riuniscono. “Nella
stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla
terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì
s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto”.
La riflessione del papa si chiude con le parole di sant’Agostino: Cosa
sono e dove sono i cieli? Sono i santi: ”Come il peccatore viene
chiamato ‘terra’, così al contrario il giusto può essere chiamato ‘cielo’”
Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia
del cuore". Il mondo, l’uomo, hanno perso l’umiltà di sentirsi bisognosi
di Dio, sono chiusi alla luce che ci mette in cammino verso l’ altro, ma
“l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà,
allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra”.
Poi si prega in arabo per la pace e, in cinese, per coloro che cercano
Dio. La Messa, come sempre officiata in latino dal papa e da 32
cardinali concelebranti, si chiude con il canto dell’Adeste fideles e
con Tu scendi dalla stelle mentre Benedetto XVI contempla Gesù Bambino
nel presepe della basilica vaticana.
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