
Le urla di Umberto Bossi hanno nel bene o nel male lasciato una eco che
porterà probabilmente a riporre maggiore attenzione alla riforma del
federalismo fiscale. Dalla feroce, quanto esibizionistica polemica, può
scaturire una decisione frutto del concerto delle parti oppure un
sofferto compromesso tra le Regioni - eventualmente le più ricche - e il
Governo, che non potrà non accogliere le richieste di quei territori che
rappresentano il più elevato gettito all'interno del Bilancio dello
Stato. Si attende al momento l'incontro del 15 settembre tra il
governatore della Lombardia, i principali rappresentanti della Lega -
che non può certo essere considerato un partito di rappresentanza
popolare - e Romano Prodi per discutere del federalismo e del
federalismo fiscale. Una riunione che risponde alla delibera del
Consiglio regionale della Lombardia, che ha approvato una risoluzione
per ottenere dal governo la competenza su 12 nuove materie nonché una
proposta di legge al Parlamento sul federalismo fiscale che prevede di
trattenere nelle regioni anche l'80% dell'Iva. Ci si chiede come mai
tanta priorità alle richieste di una singola regione, quando è prassi
per lo Stato ignorare le prerogative delle altre autorità regionali?
Occorre infatti sapere che da un recente sondaggio della Camera di
Commercio di Milano è risultato che in relazione alle principali imposte
nazionali (Irpef, Irap, Iva, e Ires) la Lombardia avrebbe come gettito
circa 69.246.625 di euro, il Lazio invece 35.520.714 di euro, il
Piemonte 22.060.006 euro, il Veneto 21.944.315 euro, l’Emilia Romagna
20.579.269 euro e la Toscana 14.975.808 euro. Dinanzi a questi dati, si
intuisce che la Lombardia si conferma ancora come una delle regioni
d’Europa economicamente più competitive, perché sede della maggiore
concentrazione di piccole e medie imprese, delle multinazionali e di
cittadini con più elevato reddito. Rappresenta dunque, da questo punto
di vista, una delle regioni che ha maggiori prerogative all'interno
della discussione sul federalismo fiscale, facendo così del gettito
fiscale una discriminante della rappresentanza o volontà popolare.
In realtà tutto il territorio italiano chiede a gran voce maggiore
autonomia fiscale in quanto le singole autorità locali subiscono in via
diretta le incongruenze e le contraddizioni della legge finanziaria
2007, avendo subìto l'ulteriore taglio dei trasferimenti da parte dello
Stato pur avendo consegnato all'Amministrazione centrale il proprio
gettito. Per tale motivo assistiamo all'esponenziale aumento del cuneo
fiscale, mediante la moltiplicazione dei costi a carico del cittadino e
delle nuove tasse. Considerando dunque il grave malessere che colpisce i
conti statali, una riforma del federalismo fiscale sarà sempre più
necessaria perché sui singoli cittadini e sulle piccole e medie imprese
si avvertirà sempre più il peso del cuneo fiscale.
Allo
stato attuale sono già iniziati i primi esperimenti di cui la Sardegna è
l'esempio per eccellenza, dopo l'imposizione di tasse più elevate per i
soggetti non residenti : le prime prove tecniche di federalismo fiscale
ruotano essenzialmente sulla cd. concorrenza fiscale sulla base della
residenza. La Regione Piemonte ha scelto di azzerare l'imposta per un
triennio alle imprese di nuova costituzione nel terriorio Piemontese,
mentre il Friuli-Venezia Giulia premia le imprese nel singolo periodo
d'imposta incrementano il valore della produzione ed il costo del
personale di almeno il 5% rispetto alla media del triennio precedente,
nonché minor aliquote per le nuove imprese artigiane . Il Veneto riduce
le aliquote per le neocostituite imprese giovanili, femminili e alle
nuove cooperative sociali, mentre la provincia autonoma di Bolzano ha
deciso un taglio dell'Irap dal 4,25% al 3,75%, e Trento vuole una
riduzione dello 0,50% per le imprese con alcune agevolazioni per le
imprese di nuova costituzione e per gli insediamenti nelle zone
svantaggiate (di montagna) o le imprese agricole.
Dinanzi dunque alle nuove esigenze e al cambiamento stesso
dell'economia, che non può essere ancora limitata da un organismo
burocratico centralizzato, arriva in Parlamento un testo di legge che si
propone di riformare il D.Lgs. 56/2000. L'intervento si prefigge di
introdurre un "coordinamento" e una "omogeneizzazione" dei conti delle
varie regioni e un certo collegamento con la manovra di bilancio dello
Stato, per passare da un sistema di riparto dei fondi basato sulla spesa
storica ad un sistema basato sui cd. costi standard di produzione dei
servizi. Dinanzi alle inefficienze e gli scostamenti tra obiettivi e
risultati con dei meccanismi di sanzione automatici che vanno
dall’incremento automatico delle entrate tributarie ed extra-tributarie
allo scioglimento degli organi degli enti inadempienti.
Sembrerà strano ma nella riforma ricorrono gli stessi principi di base
del D.Lgs 56/2000 che riguardano il passaggio al nuovo regime del
riparto del gettito sulla base dei costi standard e l'andamento virtuoso
degli enti, e il meccanismo di perequazione volto a ridurre le
differenze tra le regioni tenendo conto del rapporto gettito-dimensioni
del territorio. Il problema che si ripresenta anche con il nuovo
progetto di legge è come riuscire a passare da un sistema all'altro,
agendo soprattutto sulla prassi della pubblica amministrazione in modo
da abituarla a concepire la sua attività burocratica un'attività di
impresa, e in quanto tale con i limiti di economicità e competitività
che derivano dall'attività con scopo di lucro. Oggi come in futuro
occorre affrontare i problemi che derivano dalla differenza tra le
diverse Regioni che derivano senz'altro da una pesante eredità storica,
ma che nel tempo è stata per certi versi accentuata proprio dallo Stato
centrale che ha continuato a premiare le zone ricche, e ha creato una
sorta di assistenzialismo per il Sud Italia. Non si è mai cercato di
colmare i divari restituendo alle regioni del Sud derubate della loro
fonte di ricchezza e dando loro la giusta rilevanza all'interno
dell'economia nazionale, ma si è preferito creare una ridicola "Cassa
del Mezzogiorno" e perpetuare un sistema economico malato. L'assistenza
dello Stato centrale che riscuote e redistribuisce non ha creato delle
Regioni indipendenti, ma degli enti che non sono in grado di dare al
territorio un valore aggiunto.
Il cambiamento e il passaggio ad un sistema fiscale più equo può essere
realizzato se innanzitutto si superano i divari mentali e si pone una
nuova educazione nella gestione delle risorse e del gettito
territoriale. Sta alle singole regioni prendere coscienza della propria
potenzialità e della propria importanza all'interno dell'economia
nazionale: a quel punto saranno le singole autorità locali che vorranno
sgretolare quella piramide inutile, complessa e costosa che è la "Roma
Ladrona"
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