I ragazzi italiani sono al mondo quelli che più
tardi hanno il primo figlio. Comodità e poca voglia di rischiare, ma
anche altro: una serie oggettiva di barriere che non permettono una
rapida autonomia. Almeno, che se ne tenga conto.
I più vecchi al
mondo. Alle nostre latitudini i bambini che nascono hanno i padri più
vecchi al mondo: belli o brutti, affascinanti o imbarazzanti, sposati o
non sposati, gli uomini italiani in genere diventano papà non prima di
aver compiuto 33 anni. Un’età che fino a qualche decennio fa era
ritenuta avanzatissima e che ora invece è quella scelta per decidere che
è tempo di “mettere la testa a posto” e di “metter su famiglia”. I
ritardatari d’Europa, insomma, siamo noi, visto che altrove l’età
prescelta ruota intorno ai 30 anni, con punte massime di 31. Un altro di
quei tanti record dei quali preferiremmo fare a meno.
Insomma, in Italia si diventa maggiorenni a 18 anni, ma è quasi una
presa in giro. Si continua a vivere in famiglia, ci si affaccia nel
mondo del lavoro con una lentezza esasperante, si entra nell’ottica
delle “scelte per la vita” con una rilassatezza che quasi sconfina nella
fiacca e nell’apatia. La vita si allunga in tutti i sensi, insomma: non
solo cresce la vita media (cioè la speranza di vita), ma si dilatano
anche i tempi dell’esistenza. Infanzia, adolescenza, giovinezza si
compenetrano a vicenda, e il mondo degli adulti diventa sempre più
difficile da definire. Non stupisce che l’arrivo di un figlio, che è
indubbiamente una delle esperienze più straordinarie e sconvolgenti
della vita, si sposti avanti nel tempo. E non stupisce neppure che
questo processo sia più diffuso fra i ragazzi che fra le ragazze, che
mantengono più bassa rispetto agli uomini l’età del primo figlio (e cioè
della prima gravidanza). Colpisce però che la differenza fra uomini e
donne sia così marcata: anche le ragazze italiane sono in ritardo di un
anno rispetto alla media degli altri paesi europei, ma per loro il primo
figlio arriva comunque – mediamente – a 27 anni. Sei anni di differenza
non sono davvero pochi.
Si, forse è vero. Ragazzi e ragazze sono un po’ troppo “polentoni”. Se
la prendono comoda, cercano il meglio, valutano ciò che sta attorno, si
prendono il loro tempo. Quando la vita non riserva in sorte una
necessità impellente per “arrangiarsi” da soli, tendono ad aspettare,
forse nel timore di scelte sbagliate, forse perché non piace l’idea di
una scommessa che possa durare per sempre. Eppure, non esageriamo. I
confronti con gli anni passati, con i decenni passati, sono
semplicemente fuori luogo. E non semplicemente perché “i tempi sono
cambiati” ma soprattutto perché ad essere cambiato – diventando più
arduo - è il compito che i giovani si trovano di fronte quando si
preparano alla svolta.
Provateci a raggiungere “in quattro e quattr’otto” una solidità
economica e una sicurezza lavorativa; provateci a costruire in una
manciata di mesi le basi logistiche di una vita in comune. Anche
quando si raggiunge la sicurezza affettiva, anche quando si scommetteo
su una persona, anche quando si scorge all’orizzonte un progetto
forte, i pensieri devono sempre essere rivolte ad altro. Concedetelo,
cari genitori: mentre voi andate in pensione, a godervi il meritato e
lungo riposo dopo una vita di lavoro, molti giovani non hanno neppure lo
spazio per vedere oltre il nostro naso. Altro che pensione, altro che
sicurezze! Non spaventano i sacrifici, anzi è possibile e giusto farli.
Ma nessun giovane può fare miracoli. O perlomeno, ancora non ha imparato
a farli.
Archivio Famiglia
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