Disoccupazione mai così bassa dal 1993 ad oggi: ma
la metà dei nuovi posti di lavoro sono a tempo determinato. La difficile
condizione dei giovani alle prese con il desiderio di metter su
famiglia. E la speranza (o l’illusione) che cambi qualcosa.
Un
risultato record, mai da quattordici anni a questa parte il tasso di
disoccupazione è stato così basso. Il dato ufficiale lo ha reso noto l’Istat:
nel 2006 era pari al 6,8%, in costante discesa rispetto agli anni
precedenti (nel 2005, era del 7,7%). Buone notizie, dunque, anche se
naturalmente non è tutto oro quello che luccica: la crescita
dell’occupazione è infatti dovuta per il 46% all’aumento
dell’occupazione a tempo determinato e per il 28% all’occupazione a
tempo indeterminato degli stranieri.
Un mercato del lavoro che si rispetti deve essere flessibile e dinamico:
non deve mutare con i secolari ritmi di una tartaruga e non può
permettersi figure professionali immutabili nel tempo. Ma un mercato del
lavoro che rispetti coloro che ci vivono dentro non può innalzare il
temporaneo a sistema e non può fare della precarietà lavorativa la
condizione basilare della sua stessa esistenza. E non è tanto una
questione di “tempo determinato” (più esperienze lavorative limitate nel
tempo sono messe in conto, e talvolta anche cercate, da chiunque sappia
stare con i piedi per terra), ma anche e soprattutto è una questione di
variabili contrattuali, di diritti riconosciuti o meno, di tutele
garantite o no: dalla malattia alla gravidanza, c’è solo l’imbarazzo
della scelta.
La stabilità lavorativa è sempre più spesso una condizione soggettiva:
c’è chi mostra di averla afferrata pur non avendo un mano un posto di
lavoro blindato e chi invece non riesce a raggiungerla neppure dopo
essersi accomodato su una poltrona che farebbe sentire chiunque altro in
una botte di ferro. Eppure, seppur così variabile, la stabilità
lavorativa resta un obiettivo da raggiungere a livello generale, una
preoccupazione cioè che non deve risiedere solo sul diretto interessato,
il lavoratore, ma che – dato il suo indubbio interesse globale – deve
essere individuato come un vero e proprio obiettivo delle azioni
politiche adottate in questo campo. E’ fin troppo banale notare che
dalla stabilità lavorativa, e dunque economica, dipende una buona dose
di atteggiamento verso il futuro, dipende la voglia di mettersi in
gioco, dipende la capacità di assumersi responsabilità verso il domani.
Troppo spesso da mondo dei sogni gli inviti rivolti a farlo pure un gran
bel matrimonio, a metterlo pure al mondo un bel bambino, a cercarla pure
la casa nuova per la famiglia. Fra pannolini, scuole materne, kit
scolastici e mutui a tasso agevolato.
Ma quali “Dico”. Il più grande nemico per le famiglie e per le giovani
coppie che “famiglia” voglion diventare va cercato altrove. Non è tanto
la prospettiva radicale di un “si” per la vita intera a mancare: è la
semplice soluzione ai problemi concreti che si chiaman casa e lavoro.
Poca voglia di osare? Poca capacità di rischiare? Si, forse anche
questo: ma pure il rischio va aiutato, perché sia coraggio e non
incoscienza, audacia e non sconsideratezza. Chissà che tutto questo
fior fiore di dibattito, tutto questo gran parlare di unioni di fatto e
di diritto, e tutte le manifestazioni di piazza, dai Family Day prossimi
venturi ai Family Gay immaginati da qualcuno, portino a qualche
risultato concreto.
La Francia dei pacs ha un tasso di fecondità di gran lunga più alto del
nostro: mentre i francesi fanno figli tanto da dar vita ad un perpetuo
baby–boom, noi italiani scendiamo in piazza memori di questi tristi
decenni di baby-sboom. Ma per lo meno se ne discute, e forse stavolta
qualcosa succederà. Un “piano” per la famiglia? Non osiamo sperare
tanto: dopo decenni di disillusioni in tema di politiche familiari, per
iniziare basterebbe anche solo un onesto pianerottolo.
Archivio PACS e DICO
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