Attenzione mediatica sempre alta sul caso Dico,
con la “guerra” fra cattolici e resto del mondo sempre al centro
dell’attenzione. Le realtà concrete da affrontare, gli attacchi alla
libertà della Chiesa, i suoi eccessi di entusiasmo
I toni ora stanno
davvero scadendo nel ridicolo. Se non ve ne siete accorti infatti, è
spuntata la “campagna anti-Dico porta a porta e in joint venture tra
cardinali”. E’ in corso l’ennesimo attacco della Chiesa, un attacco
proditorio condotto con le armi della carta e della stampa: niente meno
che un breve scritto del cardinal Camillo Ruini ai cattolici romani per
presentare e diffondere una lettera scritta dal suo “collega” Ennio
Antonelli a Firenze sul tema “Famiglia e società”. E’ la tradizionale
lettera inviata dal vescovo ai suoi fedeli in occasione della Pasqua, ma
viene presentata come fosse una chiamata alle armi, addirittura in prima
pagina sui quotidiani nazionali. Manco fosse il più importante documento
di un Concilio.
Ognuno avrà la sua opinione sul quanto l’atto di consegnare una semplice
lettera nel corso di una benedizione pasquale delle case si possa
configurare come un “affondo”, un “assalto” o un’offensiva. Certamente,
è diventata davvero stucchevole la polemica che ruota intorno alla
presunta ingerenza della Chiesa negli affari dello stato laico, ad
iniziare da quanto attiene al disegno di legge governativo in materia di
unioni civili: testo che sebbene non ancora defunto, non gode certamente
di ottima salute. Al Senato non sarà utilizzato neppure come testo base,
come punto di riferimento per la discussione in Commissione Giustizia e
- quel che per molti è ancora peggio - è stato ormai sufficientemente
“impallinato” non tanto sul versante dei valori, dell’etica, della
morale e della legge naturale, ma su quello – ben più suscettibile di
attenzione a trecentosessanta gradi – della coerenza normativa e
dell’effettiva utilità per i suoi possibili utilizzatori. Se le norme
del progetto Dico fanno acqua sul versante successorio, sulla chiarezza
amministrativa, sui rapporti pensionistici, fino al punto da spingere
alcuni a consigliare un accordo privato, piuttosto che quello che
avrebbe dovuto essere sancito per tutti dai pacs in salsa italiana, è
evidente che quelle norme non vedranno mai la luce.
Al di là delle posizioni di principio, è più che mai utile e lecito
interrogarsi sulle conseguenze concrete delle norme proposte, e sulla
loro capacità di rispondere effettivamente a quelle necessità, bisogni o
richieste che a torto o a ragione (il più delle volte: alcune a torto e
alcune a ragione) vengono proposte all’attenzione di tutti. Quel che
però lascia maggiormente perplessi è la protervia e l’ingiustificata
volontà nel ridurre tutto ad uno scontro frontale fra cattolici e resto
del mondo, quasi che non vi siano su un versante e sull’altro posizioni
degne di attenta e reciproca valutazione. Ma è il clima avvelenato che,
a questo punto, sarà difficile cambiare: e se perfino nella grande
stampa trovi direttori e caporedattori convinti che il papa non abbia
altro da fare ogni giorno che rispondere polemicamente alle più recenti
dichiarazioni del cardinal Martini, o che le esortazioni apostoliche si
rivolgano anzitutto al mondo dell’italica polemica politica, o ancora
che il tradizionale incontro del papa con gli universitari non era
nient'altro che la reazione cattolica alla manifestazione di piazza
Farnese a sostegno dei Dico, beh, sul futuro si addensano nubi ben più
pesanti di quelle che ci attendono davvero, secondo le previsioni del
tempo, nelle giornate che abbiamo di fronte.
Si può essere o meno d’accordo sulle singole valutazioni, ma
rappresenta senza dubbio una sconfitta il fatto che quanti considerano
in tutta onestà il provvedimento sui “Dico” nient’affatto una priorità,
ma forse neppure uno scandalo, non possano sentirsi rappresentati in un
dibattito pubblico sempre più simile ad una disordinata festicciola fra
ubriachi. E se fanno letteralmente cascare le braccia le dichiarazioni
degli autoproclamatisi difensori della gloriosa e laica Italia
repubblicana (ne è pieno zeppo il Parlamento), per lo meno stupore
suscitano le dichiarazioni degli illustri monsignori che si lanciano a
loro volta in proclami (“Riempiremo piazza San Giovanni! Saremo almeno
300mila!”) più adatti ad un sindacalista che ad un vescovo.
Naturalmente, i vescovi italiani si esprimeranno sempre e tutte le volte
che lo riterranno opportuno: ci sia però concesso, quanto meno,
di avanzare dubbi o perfino di ritenere inopportuno che ci si lanci in
proclami da manifestazione di piazza, per di più quando ancora tutto o
quasi tutto, al riguardo, deve essere ancora deciso. Continuando di
questo passo, il giorno del Family Day assisteremo alla guerra dei
comunicati stampa sulla partecipazione di piazza, con la lotta serrata
fra le cifre della questura (perennemente in ribasso) e quelle della
diocesi (notoriamente abituata a strafare, anche quando si tratta di
piccole processioni religiose). Insomma, dai proverbiali confronti anni
settanta fra sindacato e questura, a quelli assai meno memorabili
fra questura e diocesi. Siate clementi: almeno questo no.
Archivio PACS e DICO
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