Malgrado ci
sia la diffusa convinzione che negli ultimi trenta anni siano stati
fatti notevoli passi avanti nel garantire l’uguaglianza di genere
nei posti di lavoro, esiste ancora un ampio differenziale salariale tra
uomini e donne. I
dati europei rivelano che dobbiamo impegnarci in molte analisi
approfondite per capire che cosa c’è dietro le ineguaglianze e per poter
pensare a politiche di pari opportunità che siano davvero mirate.
Nel 2000, nei paesi dell’Unione Europea a 15 il divario nei salari
tra uomini e donne era pari al 28 per cento, e si riduceva al 15 per
cento una volta tenuti in considerazione fattori come l’età,
l’istruzione, l’occupazione e la durata dell’ultimo lavoro. Tale
differenza può spiegare perché le donne manifestino un minore
attaccamento al lavoro.
Alla luce dei suggerimenti contenuti nell'Agenda di Lisbona, che
incoraggiano i paesi europei a raggiungere un più alto tasso di
partecipazione femminile al mercato del lavoro, è indispensabile capire
le ragioni delle differenze retributive tra uomini e donne.
In particolare, dobbiamo approfondire la relazione tra salari e
permanenza delle donne sul mercato del lavoro
Quante mamme restano?
Se seguiamo i guadagni femminili dopo l’entrata nel mercato del
lavoro, vediamo che un importante evento è quello legato alla nascita
dei figli. (1)
Le donne che hanno un figlio, hanno una probabilità di uscire dal
mercato del lavoro pari al 46 per cento, contro il 6 per cento
delle non-mamme. Di queste, meno della metà rientrerà dopo alcuni anni
dalla nascita del figlio.
Per quanto riguarda i salari, confrontando quelli settimanali delle
donne con e senza figli su un arco di tempo di nove anni, emerge che tre
anni prima della maternità, le donne che saranno mamme hanno in media
salari di 7 euro più elevati delle donne che non hanno figli nel
medesimo intervallo di tempo, mentre quattro anni dopo la maternità, i
loro salari settimanali saranno di 7 euro più bassi rispetto a
quelli delle non-mamme. Ciò corrisponde a una penalizzazione del 5 per
cento circa.
Inoltre, il 38 per cento delle donne che hanno avuto un figlio nei due
anni precedenti, si ritrova in un decile più basso della
distribuzione del reddito a due anni dalla nascita del figlio, contro il
31 per cento tra le "non mamme". Ottiene invece un miglioramento
nell’inquadramento contrattuale il 23 per cento delle "mamme" contro il
32 per cento delle "non mamme".
Le analisi su dati degli archivi Inps evidenziano che, all’ingresso nel
mercato del lavoro, uomini e donne mostrano tassi di crescita salariali
molto simili, ma dopo dieci anni di lavoro le cose cambiano radicalmente
e i salari degli uomini crescono di oltre 14 punti percentuali
rispetto a quelli delle donne. Cosa succede in questi dieci anni che può
spiegare l’emergere del gap?
Quanto costa muoversi?
Se guardiamo al settore privato (2),
vediamo che le differenze di genere nei tassi di crescita salariale sono
legate a fenomeni di mobilità: in altre parole, le differenze
principali emergono tra uomini e donne che cambiano impresa, mentre chi
resta nella stessa impresa manifesta tassi di crescita salariale simili.
Concentrandosi solo su coloro che cambiano impresa, si nota che non
sempre le donne sono penalizzate rispetto agli uomini. Ciò accade solo
nei cambiamenti di lavoro che possono essere identificati come
volontari, in cui l’interruzione tra un lavoro e il successivo è molto
breve, la variazione di salario è positiva, e in particolar modo nelle
fasce più elevate di incremento salariale. Poiché il gruppo di
riferimento è rappresentato da giovani lavoratori, non c’è evidenza del
fatto che eventi familiari come matrimonio o fertilità possano essere
considerati cause dirette della penalità salariale delle donne associata
alla mobilità.
Il differenziale di genere nei tassi di crescita salariale può essere
spiegato solo quando si tengano in considerazione i tipi di cambiamento
tra industrie, tra categorie occupazionali, tra imprese di varie
dimensioni e tra province. In particolare, la penalità di genere è più
alta quando le donne si muovono verso imprese di dimensione maggiore.
Tale risultato potrebbe dipendere dal fatto che le donne decidono di
muoversi verso imprese più grandi valutando alcuni aspetti non legati
alla retribuzione, per esempio la maggiore protezione garantita nelle
grandi aziende o la maggiore flessibilità nell’orario di lavoro che
difficilmente può essere ottenuta nelle piccole imprese. La mobilità
degli uomini, invece, è legata maggiormente ad avanzamenti di carriera.
Alla luce dei risultati ottenuti, è importante avere quante più
informazioni possibili sulle varie dimensioni delle retribuzioni dei
lavoratori e delle lavoratrici. A tal proposito un interessante
esperimento è stato lanciato in Olanda nel 2001 con il sito
www.wageindicator.org. Il progetto fu
creato in un primo momento con la finalità di conoscere meglio le
determinanti dei salari delle donne. In breve l’idea si estese e venne
sviluppa un’intera famiglia di indicatori salariali. Nel corso
degli anni il progetto è stato lanciato in molti altri paesi, europei e
non. Da pochi giorni ha preso il via anche in Italia. Compilando il
questionario sul sito
www.iltuosalario.it si
fornirà uno strumento utile per analizzare e
comprendere le dinamiche del mercato del lavoro italiano.
Inoltre, per favorire l’ingresso delle donne nel
mercato del lavoro, ma soprattutto la loro permanenza, è necessario
tener in considerazione le conseguenze di politiche del lavoro che
proteggendo certi aspetti dell’occupazione, possono avere effetti
negativi sui salari. E sviluppare misure di supporto e flessibilità che
permettano alle donne di conciliare vita lavorativa e vita familiare
senza dover rinunciare alla realizzazione professionale. Un buon esempio
sono
l’incremento del numero degli asili-nido insieme a una
maggiore flessibilità di orario, e lo sviluppo di asili aziendali.
Per saperne di più
(1) Pacelli L., Pasqua S. e Villosio C. (2007) "What
does the stork bring to women’s working career?", mimeo.
(2) Del Bono e Vuri, Is it the way she moves? New
evidence on the gender wage growth gap in early careers of men and women
in Italy, Iser WP 2006/59.
Del Boca D. Pasqua S. Pronzato C. "The impact of Institutions on
employment and fertility" Iser WP/55.
Archivio Famiglia
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