Assistere una
persona non autosufficiente in Italia costa circa 18mila euro
l’anno, pur escludendo molte spese sanitarie, come le visite
specialistiche e i ricoveri ospedalieri. Le famiglie sono
costrette a farsi carico di oltre un terzo di questa cifra, quasi 7mila
euro.
Chi paga
L’intervento pubblico e privato, in parte coordinato
attraverso l’elaborazione dei piani di zona comunali, introdotti di
recente, è in realtà finanziato perlopiù dall’Inps, che eroga
circa il 40 per cento delle risorse necessarie, ma che spesso non
partecipa alla pianificazione, nemmeno a fini informativi. La
programmazione zonale riguarda, così, solo il 20-30 per cento delle
risorse effettivamente devolute all’assistenza. (vedi tabella 1)
Tabella 1 Il dettaglio: spesa (in euro) per singolo
non autosufficiente

Sono questi i principali risultati di uno studio
svolto dal Cergas, Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza
sociale e sanitaria, dell’Università Bocconi in collaborazione con Spi
Cgil Lombardia.
Tuttavia, i dati sulla spesa sociale e sociosanitaria che emergono dalla
ricerca si possono sicuramente generalizzare al territorio nazionale.
Permettono dunque alcune riflessioni sulla governance dei sistemi
di welfare locale socio-assistenziale.
Soldi, non servizi
Un primo ordine di riflessioni riguarda la
composizione della spesa per la non autosufficienza. Dai dati si
ricava la necessità di costituire fondi locali, regionali o nazionali
che abbiano come obiettivo non solo un incremento di risorse per la non
autosufficienza, ma anche un loro governo più razionale: gli interventi
dovrebbero essere rivolti al finanziamento di servizi di supporto alle
famiglie, più che a incrementare i trasferimenti in denaro. Invece,
proprio per il fatto che la maggior parte delle risorse sono assicurate
dall’Inps, le politiche sociali sviluppate nei distretti sono
incardinate sul trasferimento monetario, e non sull’erogazione di
servizi. Ciò comporta fra l’altro, un’estrema indipendenza e autonomia
alle famiglie, che possono provvedere al soddisfacimento dei propri
bisogni sociali scegliendo liberamente le modalità di assistenza.
Comuni e programmazione
I risultati della ricerca dovrebbero far riflettere
anche sulla possibilità di governance degli interventi per la non
autosufficienza a livello locale. La forza dei comuni e delle Asl
nel presidio della titolarità della funzione sociale e sociosanitaria
locale è risibile nell’attuale sistema di welfare. Tale debolezza rimane
anche dopo l’introduzione dei piani di zona che pure, in molti
casi, hanno agevolato l’armonizzazione delle scelte strategiche di
questi due attori. Diversamente da quanto avviene oggi, sembra allora
necessario coinvolgere maggiormente l’Inps nei processi di
programmazione zonale, al fine di incentivare un’operazione di
produzione di informazioni sui diversi utenti che ricevono le
prestazioni assistenziali dell’Istituto.
Infine, si nota una debolezza del settore nonprofit. Le
informazioni raccolte lo descrivono come un produttore responsabile di
servizi per i non autosufficienti, se dotato di finanziamenti pubblici.
Ma è tuttavia incapace di attrarre finanziamenti da attori terzi. Anche
valorizzando il lavoro volontario, la capacità del nonprofit di
investire risorse proprie, ottenute ad esempio attraverso l’attività di
fund raising da privati, è molto bassa: arriva a un massimo del 5 per
cento della spesa effettiva totale. Lo sviluppo di capacità manageriali
di fund raising anche in questo settore non sembra più rinviabile.
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