Il rapporto di fine giugno
dell’Istat, "Strutture familiari e opinioni su famiglia e figli", evidenzia
come un numero rilevante di giovani esprimano il desiderio di uscire
dalla famiglia di origine e di formarne una propria, se solo le condizioni
economiche lo permettessero. In Italia, il welfare pubblico è sempre stato
poco generoso verso i giovani e la spesa sociale è sempre di più assorbita
dalla spesa previdenziale.
Cosa ha intenzione di fare il nuovo Governo? Finora l'unico segnale è stato
la creazione di un ministero per i Giovani in condivisione con lo sport.
La situazione
La situazione dei giovani italiani è peggiorata
negli ultimi anni ed è attualmente una delle meno favorevoli nel mondo
occidentale. Riassumiamo alcuni dati in proposito: messi tutti in fila
forniscono un ritratto impressionante della difficile condizione delle più
giovani generazioni.
Iniziamo con la prima fase, quella del conclusione del percorso formativo e
l’accesso al primo impiego. Ebbene, nella fascia d’età 20-25 anni
solo poco più del 40 per cento degli italiani ha una occupazione, contro il
60 per cento nel complesso degli altri grandi paesi europei. Tra i 25 e i 30
anni sono occupati tre giovani su quattro negli altri paesi contro i due su
tre in Italia. (1)
Il Rapporto annuale Istat appena pubblicato (www.istat.it) aggiorna
ulteriormente il quadro. Anche in termini relativi, rispetto all’occupazione
adulta, la situazione dei giovani italiani risulta particolarmente
svantaggiata. Il differenziale tra occupazione della fascia 20-29 rispetto a
quella 30-54 anni è pari a circa 20 punti percentuali, ed è tra i più
elevati in Europa. Inoltre, tra i paesi con valori più alti di tale
differenziale, l’Italia è quella con maggiore disoccupazione giovanile
(vicina al 10 per cento). Ma non è tutto. Dopo le difficoltà di riuscire a
trovare il primo lavoro, ci si trova con salari di ingresso tra i più bassi.
Secondo i dati Echp il reddito medio dei giovani italiani occupati di età
25-30 anni è quasi la metà rispetto ai coetanei inglesi, e del 50 per cento
più basso rispetto ai pari età francesi e tedeschi.
Le condizioni dei giovani sono andate progressivamente peggiorando nel
tempo, con conseguente accentuazione del processo di permanenza nella casa
dei genitori e rinvio dei tempi di formazione di una propria famiglia.
Sempre secondo i dati Istat (2), la percentuale di giovani uomini
settentrionali che accedevano al primo lavoro entro i 25 anni era attorno al
90 per cento per le generazioni degli anni Quaranta, ed è scesa a meno
dell’80 per cento per i nati negli anni Settanta. Peggiore la situazione nel
Meridione: si è passati per le stesse generazioni da più del 70 per cento a
meno del 55 per cento. Tra i nati negli anni Quaranta circa il 60 per cento
degli under 25 aveva un lavoro a tempo indeterminato. Si è scesi attorno al
40 per cento per i nati negli anni settanta. Ma la situazione è peggiorata
anche per i laureati. Nel 2004 i giovani che sono riusciti a trovare
un lavoro continuativo entro tre anni dalla laurea erano il 56 per cento,
contro il 63 per cento osservato nel 2001 (per i laureati tre anni prima), e
ciò nonostante una sostanziale stabilità dei livelli di occupazione. Il che
significa che è cresciuta la provvisorietà della condizione lavorativa senza
incremento della possibilità di accesso al primo impiego. Nello stesso
periodo, la crescita della partecipazione dei giovani al mercato del lavoro
si è pressoché convertito in un aumento della quota di disoccupati. (3)
Disoccupazione, sottoccupazione, bassi redditi e precarietà del posto di
lavoro incidono pesantemente come freno all’uscita dalla famiglia di
origine. Coerentemente con il quadro appena delineato, non meraviglia allora
osservare come la netta maggioranza degli ultratrentenni non occupati e
oltre un terzo degli occupati indichi il miglioramento della propria
condizione lavorativa come prerequisito essenziale per riuscire a
conquistare una propria autonomia dai genitori. (4) Va inoltre
aggiunto che oltre il 40 per cento dei giovani usciti per lavoro, si trova
poi a dover tornare nella famiglia di origine. Tutto ciò crea disagio,
frustrazione, scarsa fiducia nel futuro, tanto che una recente indagine, su
10 mila casi, ha messo in evidenza come siano soprattutto i trentenni oggi i
più infelici in Italia, più dei pensionati e degli anziani che vivono soli.
(5)
I tempi sempre più tardivi per la conquista di una piena autonomia hanno
evidentemente un impatto anche sui tempi di realizzazione di alcuni
importanti obiettivi di vita, quali la formazione di una propria famiglia.
Il tempo che intercorre tra la fine del percorso formativo e la prima
unione è tra i più elevati in Europa (mediamente dieci anni per gli
uomini e cinque anni per le donne). L’età femminile e maschile al matrimonio
e alla nascita del primo figlio sono tra le più elevate nel mondo
occidentale. E non a caso il livello di fecondità è tra i più bassi.
La quota di persone che arrivano ai 35 anni senza aver (ancora) formato una
propria famiglia è andata aumentando negli ultimi decenni, raggiungendo a
quote superiori al 50 per cento in alcuni grandi centri. Come indicato da
varie indagini, l’età alla prima unione risulta in media posticipata di
circa cinque anni rispetto alle aspettative personali. E il numero finale di
figli ribassato di quasi un terzo rispetto ai desideri dichiarati dalle
coppie, molte delle quali si fermano al figlio unico.
L’aiuto dei genitori accompagna tutta la vita
I giovani italiani godono complessivamente di meno
diritti di cittadinanza rispetto ai coetanei dell’Europa
nord-occidentale. Le carenze del sistema di protezione sociale nei loro
confronti sono però parzialmente compensate dal cruciale supporto da parte
dei genitori: per i giovani italiani il vero e sostanzialmente unico
ammortizzatore sociale è la famiglia di origine.
Nel percorso formativo, le risorse della famiglia di origine sono
strettamente legate alla possibilità di continuare fino all’università e di
frequentare o meno atenei prestigiosi, anche lontani dal luogo di origine. È
ampia la letteratura sociologica che dimostra come in Italia lo status
sociale dei genitori rivesta un ruolo particolarmente rilevante sul percorso
formativo dei figli e sul loro destino successivo. Nelle più giovani
generazioni italiane, poi, quasi una persona su tre trova lavoro grazie ad
aiuti informali, come confermano i dati di una recente indagine Istat.
(6) E per lo più l’aiuto proviene da familiari. In circa il 60 per cento
dei casi si tratta di segnalazione o raccomandazione, a cui va aggiunto il
20 per cento e oltre di chi trova lavoro in un’azienda familiare. Più in
generale, il successo professionale è fortemente associato alle
caratteristiche della famiglia di origine, e in particolare al titolo di
studio del padre.
L’acquisto della casa è uno degli scogli più importanti nel percorso di
transizione alla vita adulta. Se quasi tutti i genitori italiani cercano di
aiutare i figli ad acquistarla, non tutti possono farlo allo stesso modo.
La stessa lunga ospitalità, sempre più spesso oltre i trent’anni, nella casa
dei genitori è funzionale alla possibilità di raggiungimento di un elevato
titolo di studio, al sostegno nel consolidamento del proprio percorso
lavorativo, all’accumulo di reddito per poter ridurre i rischi di trovarsi
in difficoltà all’uscita. Ma il sostegno dei genitori risulta cruciale anche
dopo l’uscita. Trovarsi in grave difficoltà economica nella primissima fase
del proprio percorso di vita indipendente dalla famiglia di origine è una
condizione relativamente diffusa. Colpisce più di un giovane su sette (oltre
il 15 per cento) e per quasi il 30 per cento di loro rischia di diventare
una condizione cronica dalla quale difficilmente si esce, e caratterizzata
da problematicità multiple. Elevato è in particolare il rischio di trovarsi
con reddito insufficiente ad affrontare le spese del proprio
mantenimento o di quello del nuovo nucleo familiare: rappresenta quasi la
metà dei casi di difficoltà. Il che significa che molto spesso, più che una
causa specifica, a mettere quasi in ginocchio i giovani e le giovani coppie
con entrate limitate è il complesso di tutto un insieme di spese (mutuo per
la casa, costo dei figli, eccetera). Ad arrivare in soccorso sono
soprattutto i genitori e altri membri della cerchia familiare. Chi non può
farvi affidamento oppure ricorre ad aiuti esterni alla rete parentale, si
trova spesso ad aggravare il proprio stato di difficoltà.
La solidarietà familiare intergenerazionale prosegue anche nelle fasi di
vita successive. Con politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro
carenti, è molto comune nel nostro paese il ricorso ai nonni per accudire i
nipotini.
Il forte rapporto tra genitori e figli e la solidità della solidarietà
intergenerazionale è di per sé un fatto positivo. Lo è meno quando non ci
sono alternative, perché sopperisce un welfare pubblico che aiuta
poco, o per niente, i giovani. Lo è ancor meno per i giovani che non hanno
famiglie solide e benestanti su cui contare. La combinazione tra solidarietà
familiare forte e welfare pubblico debole si rivela quindi iniqua.
Comprime inoltre il dinamismo sociale e mantiene su bassi livelli il
conflitto generazionale. In Italia i giovani devono infatti soprattutto
ringraziare i genitori e la rete informale degli aiuti parentali per il
fatto di ottenere quanto invece altrove si ha come diritto. Una società
nella quale conta soprattutto scegliersi bene la famiglia in cui
nascere, e poi tenersi buoni i genitori il più a lungo possibile, non è
l’esatto ritratto di una società equa e dinamica. Perché i giovani francesi
protestano (a torto o a ragione) per migliorare leggi che considerano
sbagliate (o semplicemente a loro svantaggiose), e quelli italiani no? Non
sarà anche perché i venticinquenni francesi hanno più il senso di essere
cittadini (con più o meno diritti) e quelli italiani più invece quello di
essere figli (con più o meno aiuti)?
E in politica non va meglio
Esempio sintomatico del fatto che ci troviamo in un
sistema socialmente poco mobile e caratterizzata da scarsa valorizzazione
delle risorse giovanili, sono state le recenti elezioni. I candidati
premier erano due ultrasessantacinquenni (tecnicamente "anziani"), peraltro
gli stessi che si sono disputati la guida del nostro paese dieci anni fa.
Anche questa è una situazione che difficilmente ha eguali negli altri paesi
occidentali, come messo in luce da Gianluca Violante (link lavoce, la
Repubblica della terza età). Nel Governo poi c’è solo un ministro sotto
i 45 anni (con un dicastero che suscita qualche perplessità nell’associare
le politiche per i giovani con lo sport). L’unica nota positiva è la scelta
di Enrico Letta (compie 40 anni il 20 agosto) come sottosegretario alla
presidenza del Consiglio. Certo, può essere del tutto casuale che l’unico
under 40 nel Governo prenda il testimone dallo zio. Più che un esecutivo
destinato a dare una svolta positiva nei confronti delle politiche per i
giovani e adattare il sistema di welfare ai nuovi rischi e alle
trasformazioni in atto, sembra piuttosto lo specchio dello status quo
italiano. A contare sono però sempre e solo i fatti. E quindi aspettiamo i
primi cento giorni: saremmo ben lieti di ricrederci.
(1) Livi Bacci M. (2005), "Il paese dei giovani
vecchi", il Mulino, 3/2005.
(2) Istat (2003), Indagine Famiglia e soggetti sociali.
(3) Istat (2006), I laureati e il mercato del lavoro,
Informazioni n. 14.
(4) Rosina A. (2006), "L’Italia che invecchia e la sindrome di Dorian
Gray", il Mulino, 2/2006.
(5) Rapporto 2006, Voce Amica.
(6) Famiglia e soggetti sociali – 2003.
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