Un’indagine svolta nel 2003 su ventotto paesi europei
(l’Europa a 15, più i dieci nuovi paesi membri, più i tre candidati)
ha segnalato, tra l’altro, che i giovani italiani sono, insieme ai
maltesi, quelli che permangono più a lungo nella famiglia di origine
e tardano di più a entrare in un rapporto di convivenza di coppia.
(1)
Via da casa solo con il matrimonio
Viveva ancora con i genitori il 64 per cento dei giovani
maschi italiani e maltesi sotto i 35 anni, a fronte del 57 per
cento degli slovacchi, il 55 per cento dei polacchi, il 40 per cento
degli spagnoli e dei portoghesi, per non parlare del 21 per cento
dei tedeschi e del 12 per cento degli svedesi. La quota di giovani
donne che si trova nella stessa situazione è inferiore, ma solo
perché in Italia le donne si sposano ancora circa tre anni più
giovani degli uomini. La stessa ricerca mostra che non si tratta
soltanto di studenti o disoccupati. Anzi, tra i giovani italiani che
vivono ancora con i genitori la maggioranza è occupata – una
situazione ben più diffusa che negli altri paesi. Infine, come hanno
segnalato anche altre ricerche, tra i giovani del Centro-Nord Europa
chi non vive con i genitori si trova in una varietà di situazioni:
in coppia convivente more uxorio, in coppia coniugata, da solo, con
amici, come genitore solo; come studente, o occupato, e talvolta
anche in cerca di lavoro. In Italia, viceversa, i giovani fuori
dalla famiglia di origine sono per lo più in una situazione di
coppia coniugata e, soprattutto se uomini, sono occupati. Mentre
in altri paesi si esce dalla famiglia di origine per una
molteplicità di ragioni, in Italia si esce per lo più a seguito del
matrimonio. I dati dell’indagine Istat Famiglia, soggetti
sociali, condizioni dell’infanzia, del 2003, usciti in questi
giorni, segnalano che la quota di giovani che ritarda l’uscita dalla
famiglia è aumentata dal 1993. Nella fascia di età 25-29 anni è
passata dal 49 al 61 per cento; in quella 30-34 anni la percentuale
di giovani ancora nella famiglia di origine è passata dal 18,5 al
29,5 per cento. (2)
Le ragioni economiche
Perché i giovani italiani escono più tardi dei loro coetanei
europei dalla famiglia di origine e preferibilmente quando si
sposano? Le ricerche comparative suggeriscono l’interagire di più
cause, che tutte insieme tuttavia contribuiscono a rafforzare la
dipendenza dalla famiglia di origine.
In primo luogo, per chi va all’università, non esiste né uno
strumento generalizzato di borse di studio, né una offerta
consistente di residenze universitarie a buon mercato. Al contrario,
le borse di studio sono legate al reddito familiare e chi frequenta
una università in una città diversa da quella in cui risiede è
lasciato per lo più all’oneroso e un po’ sfruttatorio mercato
privato degli affittacamere. Perciò solo chi ha una famiglia
consenziente e agiata alle spalle può permettersi di "vivere fuori
sede".
In secondo luogo, proprio a motivo dell’assenza di forme di sostegno
al reddito per chi studia o è in cerca di lavoro, in Italia più che
altrove, avere una occupazione è una pre-condizione necessaria alla
uscita dalla famiglia di origine. Tuttavia, non è una condizione
sufficiente, in un mercato del lavoro che è insieme flessibile e
poco dinamico. Se il reddito da lavoro non è sicuro, e non si ha
accesso ad ammortizzatori sociali adeguati, non si può
rischiare di stipulare un contratto di affitto e di avviare una vita
autonoma, da soli o in coppia. Tanto più che i redditi da lavoro "in
ingresso" in Italia sono mediamente più bassi che in altri paesi.
(3)
Infine vi è la questione dell’accesso all’abitazione. Il
forte orientamento alla proprietà – e le politiche di sostegno alla
casa di proprietà – unite al fallimento dell’equo canone, hanno
prodotto un mercato dell’affitto insieme asfittico e costoso. Ne
sono svantaggiati soprattutto i più giovani, gli immigrati e coloro
che per qualche motivo (ad esempio, una separazione) devono lasciare
l’abitazione in cui vivevano. Nel caso dei giovani li rende
dipendenti dalla disponibilità dei genitori vuoi a fornire loro una
abitazione, vuoi ad aiutarli a comprarla. Una nuova indagine
longitudinale - Idea - promossa da un gruppo interuniversitario di
demografi, ha rilevato che vi è un fenomeno di ritorno nella casa
genitoriale da parte di poco meno della metà di coloro che ne erano
usciti per lavoro (il 46 per cento tra gli uomini, il 40 per cento
delle donne). (4)
Segnala come la combinazione di precarietà del lavoro, unita al
costo della abitazione, può interrompere il percorso di autonomia
in assenza di alternative alla solidarietà familiare. Del resto,
questa solidarietà è necessaria anche per uscire, e per continuare a
stare fuori dalla famiglia di origine. La stessa indagine mostra che
tra i giovani di 33-37 anni che vivono fuori dalla casa di famiglia,
l’aiuto economico regolare o occasionale dei genitori è molto
frequente. D’altra parte, chi esce prima dalla famiglia di origine
appartiene di solito alle famiglie a reddito più basso e più
numerose, che perciò hanno meno risorse da investire sui singoli
figli. Ma uscire relativamente presto in una società senza rete, e
che dà viceversa per scontata la rete familiare, rende chi lo fa più
vulnerabile all’insuccesso e alla povertà di chi invece può contare
su una casa accogliente senza vincoli di tempo. Anche nell’indagine
Istat, le ragioni di tipo economico addotte dai giovani per motivare
la loro permanenza nella famiglia di origine sono consistenti (41
per cento) e in aumento in tutte le regioni italiane rispetto a solo
cinque anni prima. Significativamente, è aumentata (più tra le donne
che tra gli uomini) contestualmente anche la percentuale di coloro
che non sono soddisfatti di questa situazione e che preferirebbero
rendersi autonomi. Potrebbe essere un indizio dell’incrinarsi del
consenso culturale su un modello di "autonomia dentro la famiglia",
piuttosto che fuori di essa.
E i modelli culturali
Le motivazioni economiche, infatti, non sono sufficienti da sole
a spiegare la più lunga permanenza dei giovani italiani nella
famiglia d’origine. Vi concorrono anche modelli culturali che
considerano la dipendenza dai genitori meno, o affatto,
socialmente condannabile che il ricorso al sostegno pubblico, e
che considerano poco accettabile che i giovani nella prima fase
della loro vita autonoma abbiano un tenore di vita inferiore a
quello che avevano come figli. Tuttavia, proprio la loro
combinazione con circostanze economiche e di sicurezza sociale
particolarmente sfavorevoli, induce a riflettere sui possibili
effetti perversi di un modello sociale che si affida così
esclusivamente alla solidarietà familiare nella fase cruciale di
ingresso nella vita adulta. Tra questi, vi è certamente una
cristallizzazione della riproduzione intergenerazionale della
disuguaglianza. Ma non va neppure sottovalutato il fatto che,
specie per gli uomini, viene spostato sempre più avanti il momento
in cui si trovano a dover imparare a stare sulle proprie gambe e a
fronteggiare i bisogni della vita quotidiana. Ed entrano in rapporti
di coppia in cui le donne, che hanno utilizzato la permanenza in
famiglia per investire nella propria formazione e per stabilizzarsi
nel mercato del lavoro, hanno aspettative di parità e reciprocità.
(1) Cfr. European Quality of Life Survey. Un primo
rapporto di sintesi si trova in
http://www.eurofound.ie/publications/EF04105.htm.
(2) Cfr. Istat, Rapporto Annuale 2004, cap. 4, "Le
trasformazioni della famiglia", Roma, maggio 2005.
(3) Cfr. Smeeding e Phillips, "Cross national differences in
employment and economic sufficiency", in F, Furstenberg Jr. (ed.),
Early Adulthood in Cross National Perspective, Annals of
AAPSS, n. 580, pp. 103-133.
(4) Essi sono stati oggetto di un convegno organizzato alla
Accademia dei Lincei alla fine dell’aprile scorso, su "Famiglie,
nascite e politiche sociali".
Indice
06/06/2005 Foto di giovani in famiglia
06/06/2005 Foto (sempre più sfocata) dei giovani fuori dalla famiglia, un commento di Alessandro Rosina
06/06/2005 La controreplica dell'autore
06/06/2005 Commenti Vari
|