I dati dell’indagine Istat Famiglia, soggetti sociali, condizioni
dell’infanzia del 2003, pubblicati in questi giorni, mostrano che la quota
di giovani che ritarda l’uscita dalla famiglia è aumentata dal 1993. Allo stesso
tempo, per la prima volta nella storia, dopo la riforma del 3+2, la
maggioranza dei diciannovenni italiani si è iscritta all’università. Senza
politiche che consentano di mantenere una continuità nel tenore di vita ed
eguali opportunità anche per chi compia scelte familiari o di indipendenza
abitativa, il 3+2 potrebbe addirittura contribuire a ulteriori rinvii.
Studiare e formare una famiglia
Studiare e formare una famiglia sono scelte poco compatibili, sia per
l’esistenza di norme sociali condivise sulla sequenza ideale degli
eventi ("prima di tutto prendi il titolo, poi…"), sia perché spesso la
società non considera neppure scelte come quelle di formare una coppia o avere
figli durante gli studi. In Italia, finire di studiare è nella grande
maggioranza dei casi un prerequisito per lasciare la casa dei genitori.
Iscriversi all’università, in un paese con una bassa mobilità della popolazione
studentesca e uno scarso supporto agli studenti attraverso borse e alloggi,
rinvia l’indipendenza abitativa oltre che la formazione di una propria famiglia.
Questa lenta "transizione allo stato adulto" dei giovani italiani è associata
alla bassissima fecondità. Con 1,26 figli per coppia nel 2004, l’Italia
ha meritato un livello con lo specifico nome di lowest low fertility. Tra
i fattori che hanno contribuito a questi livelli di primato, è fondamentale il
rinvio del momento in cui si diventa genitori, pur in assenza di statistiche
ufficiali aggiornate (la stima dell’età media delle donne alla nascita del primo
figlio riportata dal Consiglio d’Europa per il 1997 è di 28,7 anni).
Le possibili risposte politiche
Come si potrebbe invertire la tendenza a rinviare la decisione di diventare
genitori? Semplificando, vi sono due possibilità. La prima è quella di politiche
che accorcino i tempi della gioventù, ad esempio rendendo più breve la
carriera scolastica e universitaria e più agevole l’accesso a un lavoro sicuro e
a una casa di proprietà. Questo sembra essere stato l’approccio, non
esplicitato, alla base del Libro bianco sul welfare.
La seconda è quella di politiche che allentino la rigidità delle sequenze
di eventi durante la transizione allo stato adulto: poter lasciare la casa dei
genitori anche se si è ancora studenti, poter scegliere di vivere in
coppia o diventare genitori anche se si è studenti, poter diventare
genitori anche se non si è sposati, anche se non si ha ancora un
lavoro a tempo indeterminato. Le due vie non si escludono a vicenda, ma hanno
implicazioni potenzialmente diverse.
Il 3+2: una strada più breve per diventare adulti?
Secondo alcuni studiosi, la leva principale per accorciare i tempi che
conducono a diventare adulti è la durata del periodo dedicato all’istruzione.
Se aver terminato gli studi "accende le polveri" per l’indipendenza abitativa e
la formazione delle famiglie, accorciare la fase di vita dedicata a studiare
contribuirebbe a diventare prima autonomi e a formare una famiglia. Un’analisi
condotta su dati svedesi ha mostrato che, tra due donne che raggiungono lo
stesso titolo di studio a distanza di età di circa un anno, vi è una differenza
di circa cinque mesi nell’età alla maternità. (1) La recente riforma
universitaria del 3+2, hanno ipotizzato Wolfgang Lutz e Vegard Skirbekk, avrebbe
dunque un potenziale effetto di "stimolo" sulle scelte familiari e in
particolare sulla fecondità. (2).
Alcuni elementi inducono a essere scettici sui potenziali effetti del 3+2.
In primo luogo, non è detto che, in Italia, la durata media degli studi
diminuisca. Infatti, è aumentata drasticamente, con la creazione delle lauree
triennali, la quota di diciannovenni che si iscrive all’università. Secondo i
dati del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, tale
quota è passata dal 46,7 per cento nel 2000, prima del passaggio al 3+2, al 59,7
per cento del 2003, solo tre anni dopo l’implementazione della riforma. (3)
La maggiore propensione a studiare all’università, insieme all’innalzamento
dell’obbligo scolastico, induce a pensare che la durata media degli studi
sarà più elevata per le generazioni influenzate dalla riforma. In secondo
luogo, per una questione più tecnica, poiché chi desidera formare una famiglia
prima potrebbe scegliere percorsi di istruzione più brevi, le stime sull’impatto
di lungo periodo dell’accorciamento degli studi di Lutz e Skirbekk sarebbero
esagerate per eccesso.
Un’alternativa: allentare la rigidità delle sequenze di eventi
Come gestire una situazione in cui i giovani italiani sono già "in ritardo"
rispetto ai loro coetanei europei, e sono potenzialmente soggetti a un
allungamento della durata media degli studi e probabilmente all’aumento dell’età
in cui iniziano un lavoro "stabile"? Per i giovani, la strategia più naturale
sarebbe quella di rinviare ulteriormente scelte percepite come
scarsamente reversibili, come il matrimonio, o di fatto irreversibili, come
avere un figlio. Per aiutarli a intraprendere tali scelte, le politiche
dovrebbero mirare ad allentare la rigidità delle sequenze di eventi. A
garantire, insomma, eguali opportunità anche a coloro che durante le prime età
giovanili desiderassero vivere autonomamente dai genitori, vivere in coppia
eventualmente senza sposarsi e, perché no, avere un figlio.
Esempi di tali politiche sono sostegni al reddito generalizzati per i
giovani, inclusi gli studenti; agevolazioni sull’affitto per giovani
single, coppie e coppie con figli (indipendentemente dal fatto che siano
sposate), genitori soli, flessibilità della durata delle borse di studio, dei
contratti di lavoro, dei momenti di valutazione della carriera. I paesi nordici
adottano spesso politiche di questo tipo. E i dati delle indagini comparative
Fertility and Family Surveys per gli anni Novanta mostrano come tra le giovani
madri di età 20-24, la quota di studentesse fosse pari all’8 per cento in
Norvegia e Svezia e al 7 per cento in Danimarca. In Italia tale quota era dell’1
per cento. Insomma, studiare e formare una famiglia sono meno incompatibili.
Se il finanziamento di tali politiche apparisse un problema, occorre
ricordare che proprio ora inizia in Italia una finestra di opportunità
demografica: i giovani in ingresso sul mercato del lavoro stanno diminuendo
rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Forse, per aiutare i giovani a
diventare adulti occorre che la società decida effettivamente di aiutarli
investendo su di essi, e non solo sul loro capitale umano.
Per saperne di più
United Nations, 2005. The New Demographic Regime. Population Challenges
and Policy Responses. United Nations, New York and Geneva. Accessibile
online presso: http://www.unece.org/ead/pau/epf/epf_ndr.htm.
Francesco Billari, 2005, "The transition to parenthood in European Societies",
European Population Conference 2005, Council of Europe, Strasbourg. Accessibile
online presso: http://www.coe.int/T/E/Social_Cohesion/Population/EPC_2005_S1.2%20Billari%20report.pdf.
(1) Vegard Skirbekk, Hans-Peter Kohler e Alexia Prskawetz 2004. Birth
Month, School Graduation and the Timing of Births and Marriages. Demography,
41 (3): 547-568.
(2) Wolfgang Lutz e Vegard Skirbekk, 2004, "How would "tempo policies"
work? Exploring the effect of school reforms on period fertility in Europe",
European Demographic Research Papers 2, Vienna: Vienna Institute of Demography
of the Austrian Academy of Sciences. Accessibile presso: http://www.oeaw.ac.at/vid/publications/edrp_2_04.pdf.
(3) Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario,
2004. Quinto Rapporto sullo Stato del Sistema Universitario, ministero
dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Roma. Accessibile presso:
http://www.cnvsu.it.
Indice
06/06/2005 Com'è difficile diventare grandi
06/06/2005 Un commento all'articolo, di Gianpiero Dalla Zuanna
06/06/2005 La controreplica dell'autore
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