La proposta di legge sull’affidamento condiviso verrà discussa alla
Camera il prossimo 10 marzo. In caso di separazione, divorzio o rottura del
rapporto nella coppia di fatto, i figli sarebbero affidati a entrambi i genitori
e non a uno solo di essi, generalmente la madre, come avviene di regola oggi.
Muovendo dal principio della "bigenitorialità", si intende riconoscere ai padri
un ruolo di paritaria cooperazione nella crescita, cura ed educazione della
prole. E conferire, pertanto, alla famiglia e ai rapporti intra-familiari
un’immagine, in astratto, più moderna e civile.
Cosa prevedono le nuove regole
La proposta di legge modifica l’articolo 155 del codice civile e prevede, in
caso di separazione, l’affidamento "condiviso" del minore, senza possibilità
di deroga, neppure su accordo delle parti. Unica eccezione perché il giudice
possa disporre l’affidamento esclusivo, sarebbe rappresentata dall’accertamento
di una condotta che rechi o abbia recato pregiudizio al figlio. La potestà
verrebbe esercitata dai genitori congiuntamente per le questioni di maggior
rilievo. Mentre per l’ordinaria amministrazione, il giudice avrebbe la facoltà
di individuare e assegnare a ciascun genitore differenti, specifiche competenze,
fatta salva la possibilità di accordo tra le parti.
L’assegno di mantenimento assumerebbe, a tal punto, un’importanza
secondaria. Entrambi i coniugi dovrebbero contribuire direttamente, per capitoli
di spesa e in base al proprio reddito, alle esigenze dei figli. Se i redditi
fossero particolarmente sperequati, il genitore "svantaggiato" potrebbe
usufruire di un eventuale conguaglio, fissato dal giudice. Solo nel caso di
inadempimento da parte di un genitore, l’autorità giudiziaria potrebbe disporre
il passaggio al regime della contribuzione indiretta, mediante attribuzione di
una somma da versare all’altro. I criteri per l’assegnazione della casa
familiare dovrebbero privilegiare la riduzione al minimo dei disagi per la
prole. Si è giunti, addirittura, a ipotizzare la possibilità di far alternare il
padre e la madre nell’abitazione, permanentemente occupata dai figli, previsione
che da un lato non puo’ che inasprire i conflitti costringendo persone che
vogliono essere separate a condividere gli stessi spazi, dall’altro limita
gravemente la possibilita’ di crearsi una nuova famiglia. I genitori, inoltre,
dovrebbero impegnarsi, salvo gravi e comprovati motivi, a mantenere abitazioni
tra loro facilmente raggiungibili. Il giudice dovrebbe indicare loro con quali
modalità devono occuparsi dei figli e concordare, se possibile, un "progetto
educativo", ovvero decidere sulla base delle proposte formulate da ciascun
genitore.
Su padre e madre graverebbe, infine, il dovere di accordarsi nell’interesse dei
minori, di superare ogni eventuale conflittualità, ricorrendo a strutture
specializzate di mediazione familiare nel caso in cui il conflitto ostacoli il
raggiungimento dell’accordo.
Un segnale importante...
La proposta di legge ha una chiara portata "culturale" in un paese come l’Italia
che è per molti aspetti "socialmente arretrato" rispetto ad altre nazioni
europee. Nelle famiglie italiane le responsabilità dei coniugi e dei figli sono
distribuite in misura ineguale e in forme spesso inefficienti. Recenti
dati comparati mostrano che in Italia c’è la più bassa percentuale di padri che
aiutano in casa e contribuiscono alla cura dei figli, (1) un numero
quasi inesistente di padri che prendono il congedo parentale, e la più alta
percentuale di figli maschi adulti che vivono ancora in famiglia. (2)
Nelle famiglie separate o divorziate i padri "affidatari" dei figli sono
pochi, mentre sono tanti quelli che non corrispondono l’assegno o lo fanno
saltuariamente, così come sono tanti i padri che non vedono più i loro figli
dopo alcuni anni dal divorzio. (3)
La scarsa adempienza dei padri ai loro obblighi e’ stata interpretata
in vari studi di sociologi e economisti come il risultato della frustrazione
di chi sente di non essere in grado di influire sulle decisioni che
riguardano la vita dei figli. I figli restano un "bene pubblico" dei genitori
anche dopo il divorzio, ma i costi di comunicazione e transazione nelle famiglie
che non convivono più rendono difficile il controllo sulla distribuzione
delle risorse. Il padre-genitore non affidatario che corrisponde l’assegno
di mantenimento - non può controllare se la madre-genitore affidatario spende
quel denaro per sé o per i figli, specialmente quando puo’ vedere i figli di
rado e con poca flessibilita’. (4)
In parte puo’ essere spiegato dal senso di ingiustizia che deriva dalla
mancanza di chiare linee di condotta nella decisione dei giudici sulla
determinazione dell’assegno. Le legislazione che determina l’assegno di
mantenimento non è il risultato di calcoli dei costi dei figli indicizzati al
costo della vita e alle necessità delle diverse fasi del ciclo di vita, come in
Germania o in Svezia, ma varia moltissimo da caso a caso.
In Italia inoltre quando il genitore non affidatario è inadempiente, il compito
spetta spesso ad un altro familiare, ancora una volta facendo affidamento sulla
famiglia allargata. Nei paesi del Nord Europa il contributo viene
"anticipato" dallo Stato perché spetta ai figli per legge, sollevando i genitori
affidatari dagli stress e dai costi di udienze e battaglie. (5)
...ma con molti limiti
Tuttavia sembra difficilmente raggiungibile lo stesso obiettivo primario
della proposta: ridurre la conflittualità nella coppia e dare ai figli
una presenza più equilibrata di entrambi i genitori. Ribaltando le premesse
della legislazione attuale, infatti, si sostiene che l’affidamento cosiddetto
"esclusivo" non è il mezzo migliore per circoscrivere i danni che derivano ai
figli dal conflitto tra i genitori. Anzi, si aggiunge, è proprio questa la reale
fonte della conflittualità. L’affidamento "condiviso" viene pertanto trasformato
in regola. (6)
Il concetto di condivisione stride però con quello di "coazione" perche si
basa sul coordinamento deegli ex coniugi. È difficile immaginare che due persone
che si separano in maniera non consensuale possano "condividere" qualcosa e che,
se non desiderano farlo, lo facciano bene solo perché imposto dalla legge.
I coniugi che si separano lo fanno perche’ hanno come obiettivo principale
quello di non vedersi e di non essere costretti a gestire cose in comune. Quando
si guardano i dati di altri paesi come gli Usa, si vede come nelle famiglie con
affido congiunto i padri spendano di più per i figli e li vedono più spesso. Ma
accade perché l’affido congiunto è il risultato di una scelta di genitori che
sono gia’ in partenza meno conflittuali. (7).
Ogni decisione in merito alla sorte di un minore dovrebbe essere oggetto di
ponderata valutazione da parte del giudice e non discendere da un’aprioristica
imposizione normativa, derogabile unicamente qualora si accerti una condotta
pregiudizievole al figlio tenuta da uno dei genitori. Appare più equa la scelta
di Germania e in Olanda di individuare nell’affidamento congiunto una prassi che
può incontrare eccezioni laddove venga provata la possibilità di una soluzione
che, per quel caso specifico, si presenta migliore.
La mediazione familiare
Degno di nota è il riferimento che la proposta di legge fa ai centri di
mediazione familiare. Il loro potenziamento è auspicabile, ma in Italia manca la
cultura della mediazione. Le attuali strutture non sono adeguate e il
personale è spesso impreparato. All’interno di una coppia in crisi, "mediare"
non significa semplicemente cercare una "via di mezzo" che non scontenti troppo
le parti coinvolte, ma vuol dire aiutarle, con una specifica preparazione, ad
affrontare un percorso molto complesso di riorganizzazione delle relazioni
familiari.
In sintesi, la soluzione indicata nella proposta di legge appare giusta e
affascinante nella terminologia usata (affidamento "condiviso"). Creare la
cultura dell’affido condiviso, nelle famiglie divorziate come in quelle intatte,
è importante per costruire maggiore equilibrio nelle responsabilità dei genitori
verso i figli. Tuttavia, questo obiettivo non si può raggiungere semplificando
una realtà invece assai complessa, senza tenere conto delle esperienze ormai in
atto da anni in altri paesi, né riconoscere gli aspetti conflittuali che
derivano dall’imposizione di condivisione di spazi, oggetti e ricordi, fino a
limitare la libertà individuale delle parti.
(1) Haris Symeonidou "The Rationale of Motherhood Choices"
www.ulb.ac.soco.mocho.be
(2) Dati Eurostat 2000, e Separazioni e divorzi in Italia. QD 2, SIS
1998, Roma
(3) La ricerca di Marzio Barbagli e Chiara Saraceno, Separarsi in
Italia (il Mulino, 1998), riporta che dopo due anni dalla fine del
matrimonio, il 14 per cento dei padri non paga più l’assegno dovuto e il 15 per
cento lo paga solo irregolarmente
(4) Del Boca, D. 2003 "Mothers, fathers and children after divorce"
Journal of Population Economics 14,8.
(5) Janti E Danziger S. 1994 "Child Poverty in Sweden and the US",
Industrial Labor Relations Review 48
(6) Nella legislazione attuale, le ipotesi di affidamento congiunto o
alternato, introdotte soltanto dall’articolo 6 della legge 6 marzo 1987 n. 74,
in sede di riforma alla legge 1° dicembre 1970 n. 898 che disciplina il
divorzio, sono state sempre percepite alla stregua di un’eccezione.
(7) Del Boca, D. e Ribero, R., 1999 "Transfers in non intact households",
Structural Change and Economic Dynamics 1998 9-4
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