Dopo un decennio di crisi, l'economia tedesca si è rimessa in moto: quest'anno
la crescita sarà probabilmente superiore al 2,5 per cento. Una buona notizia
per il paese e per tutta l'Europa. Ma la ripresa è destinata a durare? I dati
positivi di oggi sono dovuti in larga parte alle riforme del mercato del
lavoro introdotte negli ultimi tre anni. Invece di proseguire su questa
strada, si parla ora di aumento dei sussidi di disoccupazione e di
ripensamenti sull'innalzamento dell'età per la pensione. Un ritorno al passato
molto rischioso, non solo per la Germania.
Dopo un decennio di crisi, l'economia tedesca si è
rimessa in moto: quest'anno la crescita sarà probabilmente superiore al
2,5 per cento, e tutto questo arriva alla fine della
più lunga recessione dagli anni Cinquanta. Per molto tempo, la Germania
è stata considerata uno dei "malati d’Europa" e negli ultimi dieci anni
ha totalizzato meno di un terzo del tasso di incremento totale del Pil
europeo. Sono dunque in molti a rallegrarsi per il fatto che il motore
centrale di Eurolandia abbia ripreso a funzionare a dovere. La domanda
da farsi è: per quanto tempo? È sostenibile questa rapida crescita
economica in Germania? I motivi della svolta
La svolta teutonica è interessante per tre importanti ragioni. Primo,
è guidata da un significativo rialzo della borsa.
L'indice Dax ha iniziato a salire già nel marzo 2003, e da allora è
cresciuto del 250 per cento. Raramente, nel passato, una ripresa tedesca
è stata accompagnata da un così forte rialzo dei prezzi delle azioni. E
per mettere il dato nella giusta prospettiva, nello stesso periodo il
Dax ha avuto risultati superiori di circa il 100 per cento rispetto al
francese Cac-40 e di circa il 125 per cento rispetto al Mibtel italiano.
Gli investimenti sia nazionali sia per investimenti esteri diretti sono
cresciuti nettamente nel periodo immediatamente successivo (di
conseguenza).
In secondo luogo, la ripresa è stata accompagnata da un massiccio
incremento sia delle esportazioni sia delle
importazioni, cresciute entrambe di circa il 33 per cento in
termini reali dal 2003. La Germania si apre al commercio internazionale
in un modo mai conosciuto prima. se c'è stato un effetto di domanda
dietro la crescita delle esportazioni, certamente è stato compensato da
una crescita delle importazioni superiore alla media: la Germania sarà
pure un "Export-Weltmeister", ma è diventata anche un importante "Import-Weltmeister".
Tuttavia, la spesa per consumi, un tradizionale motore della ripresa nei
paesi Ocse, è tornata a crescere solo nel 2006.
Chi sostiene che la ripresa è dovuta semplicemente a un free riding
della Germania sulla domanda aggregata di un economia mondiale in
espansione, ignora l'evidenza. È intellettualmente difficile non
attribuire una larga parte della brusca caduta della disoccupazione
tedesca al lato dell’offerta e in particolare alle riforme del
mercato del lavoro introdotte negli ultimi tre anni.
La mia interpretazione della ripresa tedesca parte proprio da quei
prezzi delle azioni che hanno incominciato a salire nel marzo 2003: lo
stesso mese in cui il cancelliere Gerhard Schröder ha annunciato l’'Agenda
2010, che ha poi portato alla legislazione Hartz. Simili
spettacolari rialzi di borsa si possono trovare negli anni successivi
alle riforme Thatcher nel Regno Unito e all’accordo Wassenaar in Olanda
negli anni Ottanta.
Ogni valutazione basata sui fatti porta alla conclusione che il paese ha
iniziato ad aggiustarsi alla pressione competitiva, normale in una
unione monetaria di libero mercato interno. L'industria tedesca ha
sfruttato un lungo periodo di crescita moderata dei salari per
ristrutturarsi, incrementare la produttività e riacquistare
competitività in un mercato mondiale difficile, in parte ricorrendo a
un’ampia delocalizzazione di mansioni a basso valore aggiunto. Il costo
per unità di lavoro è sceso in Germania di circa il 10 per cento e
l'inflazione tedesca è stata la più bassa di tutti i paesi dell’area
euro fin dall’inizio dell’unione monetaria nel 1999. Grazie a una
disciplinata svalutazione interna, la Germania può ora competere di
nuovo all'interno e all’esterno dell’Europa.
Pericoli di un ritorno al passato
Logica vorrebbe che governanti e politici tedeschi facciano a gara
per attribuirsi il merito della ripresa: niente di tutto questo, anzi.
Un'ondata di malcontento ha scosso il paese negli ultimi tempi e c'è il
pericolo reale che molto del duro lavoro fatto in questi anni sia
gettato al vento.
I socialdemocratici, una delle anime della grande
coalizione, soffrono ancora delle reazioni del loro elettorato
tradizionale al varo dell'Agenda 2010 dell'ex cancelliere Schröder e
alle riforme Hartz, quando il consenso verso il governo scese ai livelli
più bassi di tutti i tempi.
In un chiaro tentativo di riconquistare gli elettori delusi, il leader
dell'Spd, Kurt Beck, propone ora di "condividere i frutti della
ripresa", con un aumento dei sussidi di disoccupazione e un ripensamento
sull’innalzamento dell'età per la pensione. Il suo argomento è che con
una forte crescita e entrate fiscali in aumento, lo stato sociale può
permettersi di essere più sociale. Ancora più impressionanti i sondaggi
di opinione: più dell'80 per cento dei tedeschi è favorevole
all’iniziativa del leader socialdemocratico.
Ma gli economisti non hanno niente da dire? Evidentemente quelli
attualmente al potere hanno perso una grande occasione per spiegare agli
elettori come le riforme del mercato del lavoro - significativi tagli
nei livelli e nella durata dei sussidi di disoccupazione, più stringenti
pressioni ad accettare un lavoro, uniti alla deregolamentazione del
lavoro a tempo determinato e del part-time - fossero assolutamente
necessarie per una evoluzione sostenibile della produzione e non una
semplice autoflagellazione.
Invece sono passati due anni senza ulteriori azioni: un’occasione
persa per organizzare maggioranze favorevoli a più vaste
riforme in una fase di crescita dell’economia. I posti di lavoro vacanti
sono a un massimo storico, carenze di lavoratori stanno iniziando a
emergere, e con un tasso di disoccupazione ufficiale dell’8,5 per cento,
riprende la crescita dei salari e i sindacati tornano a chiedere di più.
L'econometria più semplice ci dice che negli ultimi venti anni il
tasso di disoccupazione in Germania non è sceso tanto
quanto in Olanda, Danimarca, Irlanda e Regno Unito. Diversamente da
questi paesi, dove le riforme si sono fatte con successo, la Germania ha
iniziato ma non ha portato a termine la riorganizzazione sul lato
dell’offerta. Se torna indietro adesso, il paese e l'Europa tutta ne
pagheranno il prezzo nel momento della prossima crisi.
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