Domenica scorsa è stato
celebrato il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, che
diede vita alla Comunità economica europea, divenuta nel frattempo Unione
Europea. I "sei" membri - Francia, Germania, Olanda, Italia, Belgio e
Lussemburgo - sono ormai 27 e l’Unione si è radicata profondamente nella
coscienza collettiva degli europei, tanto che non si riesce neanche a
immaginare di mancare l’appuntamento con il centenario.
L’Europa degli anni Cinquanta. E di oggi
Per cogliere bene quale fosse la posta in gioco al momento della firma
del Trattato, bisogna aver chiaro che l’Europa degli anni Cinquanta era
molto arretrata rispetto agli Stati Uniti. Il Pil pro-capite
ammontava ad appena la metà di quello Usa. In Europa cominciavano ad
arrivare solo allora i metodi moderni di produzione in serie, messi a punto
dagli Stati Uniti nella prima metà del ventesimo secolo. Automobili ed
elettrodomestici, articoli cui ormai le famiglie americane erano
tranquillamente abituate, restavano per noi assolutamente eccezionali.
Cinquant’anni dopo l’Europa ha raggiunto gli Stati Uniti in termini
di Pil per abitante.
Se poi si compara il reddito per ora lavorata di Francia, Germania, Irlanda,
Olanda, Norvegia, Belgio e Lussemburgo con quello degli Stati Uniti si nota
che i primi hanno addirittura superato gli Usa, in virtù di settimane
lavorative corte e di vacanze più lunghe. Si è insomma annullata la
differenza nel livello di vita.
Le istituzioni dell’integrazione europea hanno avuto un ruolo
determinante in questa trasformazione. Hanno consegnato all’Europa una
Germania ormai pacifica, liberando così le sue considerevoli potenzialità
industriali. Hanno permesso la creazione di un Mercato comune, e di
conseguenza un’espansione commerciale accompagnata da guadagni di
efficienza. Grazie al Mercato unico, varato nel 1986, l’Europa ha
creato un’economia continentale in grado di sostenere "campioni globali":
aziende, cioè, dotate delle dimensioni e delle capacità necessarie ad
affrontare la competizione mondiale. E con l’euro l’Europa si è
infine sbarazzata del problema dell’inflazione, che l’aveva tormentata per
buona parte del ventesimo secolo.
Tali strumenti erano previsti dal complesso di istituzioni appositamente
creato per recuperare lo svantaggio nei confronti degli Usa. I lavoratori,
grazie alla sicurezza del posto di lavoro e a una solida rete di
previdenza sociale, hanno moderato le loro rivendicazioni salariali,
permettendo così alle imprese di reinvestire i loro profitti. Le banche,
impegnatesi in rapporti di fiducia con la loro clientela industriale, hanno
fornito finanziamenti a lungo termine. La solidarietà e la fiducia
instauratesi in seno alle associazioni degli industriali hanno incoraggiato
i loro membri a investire nella formazione, senza temere che i loro
lavoratori qualificati passassero alla concorrenza. Tutti questi strumenti
erano perfettamente adatti a un periodo in cui la crescita dipendeva dagli
alti livelli di investimento, ma anche dal saper sfruttare il ritardo
tecnologico accumulatosi prima degli anni Cinquanta.
I problemi del ventunesimo secolo
Ma, una volta riassorbito tale ritardo, la crescita ha
iniziato a dipendere dal grado di innovazione. E proprio quegli
strumenti che avevano favorito la soluzione dei problemi, sono divenuti a
loro volta parte dei problemi stessi. Le norme che limitano le differenze
salariali impediscono però di premiare gli imprenditori che si assumono
rischi. Le banche, abituate ai loro clienti consueti, tergiversano
nell’affrontare i rischi delle nuove tecnologie, non ancora suffragate
dall’esperienza. Le leggi sulla sicurezza dell’impiego scoraggiano le
start-up, perché gli imprenditori cui non ha arriso il successo di
determinate innovazioni, possono di colpo ritrovarsi in difficoltà nei
confronti della loro vecchia mano d’opera. Le tasse molto elevate, che hanno
permesso di creare uno stato previdenziale complesso, appaiono ora un peso
insostenibile nel contesto della globalizzazione. Le aziende europee
reclamano un mercato del lavoro più flessibile, oltre allo sviluppo dei
mercati finanziari, a imposte meno elevate e a sevizi pubblici più
efficienti. Non è facile tuttavia ristrutturare un sistema in cui tutte le
parti sono concatenate l’una con l’altra.
Alcuni temono addirittura che l’Unione Europea rappresenti solo una
soluzione ai problemi di ieri. È stata vinta l’inflazione, ma la
Banca centrale europea, custode dell’euro, sembra bloccata su
quest’unico obiettivo. Gli sforzi fatti dalla
Commissione europea per rispettare gli obiettivi di Lisbona e fare
dell’Europa la regione più competitiva del mondo entro il 2010 si sono
dimostrati ricchi di retorica, ma poveri di fatti concreti.
In realtà, l’idea che sia la Commissione ad assumersi il ruolo di guida alle
riforme destinate a migliorare la produttività ha in pratica provocato, in
maniera del tutto imprevista, la de-responsabilizzazione dei vari
parlamenti. E l’incapacità dei paesi membri ad accordarsi su un progetto di
Costituzione, in grado di ampliare i poteri del
Parlamento europeo, significa che non si ha alcuno strumento per chieder
conto del loro operato ai commissari, ai quali pertanto non si conferisce
alcun reale potere esecutivo.
La soluzione non consiste nel rinunciare all’Unione Europea, bensì
nell’adattarla al ventunesimo secolo. E ciò significa obbligatoriamente la
suddivisione delle responsabilità tra l’Unione e gli Stati membri.
L’Unione dovrebbe occuparsi della sicurezza alle frontiere d’Europa, della
politica estera e della politica per la competitività. Gli Stati membri
dovrebbero assumersi la responsabilità delle riforme economiche al loro
interno. Ogni paese ha la sua struttura economica e una sua peculiare
eredità istituzionale. Ogni paese ha bisogno di riforme diverse. Rendendo
l’Unione responsabile di tutte le riforme economiche, si finisce coll’impedire
soluzioni su misura e si deresponsabilizzano gli Stati. Spiegando che
l’Unione Europea non può andare oltre un certo limite, si metteranno questi
ultimi di fronte alle loro responsabilità.
È forse arrivato davvero il momento di un nuovo Trattato di Roma, che meglio
rifletta la nuova suddivisione delle responsabilità.
* L'articolo è tratto dal sito
www.telos-eu.com. Traduzione di
Daniela Crocco
Archivio Europa
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