Alla radice di una crisi. Mentre l’Unione Europea
festeggia i 50 anni di vita, proviamo a fare il punto della situazione.
Una ricetta? Andare oltre l’economia e la politica per riscoprire il
primato della persona.
Unione Europea,
chiuse le celebrazioni per i 50 anni di fondazione, si torna a fare i
conti con la realtà. I capi di Stato e di governo promettono nuove
regole entro il 2009, sottoscrivono una dichiarazione comune e invitano
ad andare avanti. Eppure, a Berlino, tra un festeggiamento e una
commemorazione, brucia e sconcerta l'impasse creatosi ormai due anni fa
con la bocciatura del trattato costituzionale da parte di Francia e
Olanda. Una battuta di arresto che, pur in presenza di risultati
importanti (a cominciare dall'allargamento ad Est con Romania e
Bulgaria), non ha evitato egoismi nazionali, strategie dal fiato corto e
difesa di interessi di bottega. Su tutto, un dovere irrinunciabile
perché l’Europa, mai come negli ultimi anni, è chiamata a chiarire una
volta per tutte ciò che vuole essere.
La crisi recente ha radici profonde e sfaccettate. I fattori economici
hanno svolto un ruolo significativo: l’euro in molti casi non ha
introdotto benefici immediati, la complessità del mercato del lavoro ha
reso precaria la vita di un numero crescente di individui, gli squilibri
economici tra est e ovest a volte hanno prodotto ingiustizie e
competizione impari, la rigidità della politica monetaria della banca
centrale non ha favorito il rilancio dell’economia. In sostanza,
l’Europa della moneta unica ha introdotto vantaggi che non sono stati
percepiti oppure non comunicati nel modo giusto. Ai singoli governi, un
doveroso esame di coscienza.
Tuttavia, ragionare sul successo o l’insuccesso dell’Unione partendo
soltanto da criteri economici sarebbe un errore e anche un esercizio
piuttosto avvilente. L’economia conta, ma le ragioni di uno stallo si
fondano in gran parte sulle difficoltà a definire un’identità.
Nonostante i tentativi di sensibilizzazione e l’europeismo marcato di
molti paesi, l’Europa si ritrova ad essere una sorta di scatola vuota da
riempire secondo le mode del momento. Emblema dell’efficienza quando
serve, fonte di tutti i problemi quando cambia il vento, l’Unione è
sentita davvero come la casa comune di tutti i popoli del vecchio
continente? Le opinioni pubbliche vedono nell’istituzione una realtà già
presente in grado di garantire delle prospettive comuni? Non proprio.
Oggi si è europei sulla carta, ma nazionalisti nel modo di porsi;
filantropi e senza frontiere negli ideali, ma pronti a puntare il dito
sull’”idraulico polacco”; difensori di etica e valori, ma capaci di
andare ognuno per la propria strada. A vincere è così l’Europa delle
quote del latte, delle regole alimentari, delle direttive e delle
raccomandazioni. E mentre si assiste ai piccoli e grandi fallimenti di
un cammino iniziato nel 1957, si avverte sempre di più la mancanza di
un’anima. Non è in ballo solo un fattore religioso (sabato scorso, il
papa lo ha sottolineato benissimo), ma uno stile e idee capaci di
privilegiare il ruolo di un'identità culturale comune. Un’Europa che
nella sua storia e nei suoi valori riscopra, oltre la politica e
l’economia, il primato della persona.
Archivio Europa
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