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30/04/2008 La delocalizzazione delle PMI nei Balcani (http://etleboro.blogspot.com)

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Rinascita Balcanica intervista l’Ing. Marco Bandini, socio fondatore del gruppo P.M.B. e dal 2004 amministratore e unico socio del gruppo IDECO. Grazie alla sua esperienza imprenditoriale, analizza le gravi difficoltà che un’impresa italiana incontra nel suo tentativo di espandersi e di entrare nei mercati esteri, in assenza di qualsiasi supporto da parte delle Istituzioni.

 
Marco Bandini oggi amministra la IDECO srl, che è una società di ingegneria industriale romena fondata nel 2004 a Cluj-Napoca, e nata dall'esperienza consolidata nei precedenti dieci anni presso il gruppo di società di ingegneria, la cui capogruppo era la P.M.B. Impianti Industriali srl. Lo scopo principale del Gruppo Ideco è quello di fornire un servizio di ingegneria avanzato con l'impiego delle ultime tecnologie sia per il disegno che per il dimensionamento meccanico. Le attività svolte da IDECO in questi paesi sono commissionate dalle maggiori imprese di impiantistica industriale europee e destinate ad una committenza mondiale."Avendo l'esigenza personale di un continuo percorso professionale e di vita, come succede a tutti i piccoli imprenditori che non riescono a dissociare il loro cammino umano da quello professionale, ho lasciato la società precedente di cui ero stato un socio fondatore e rispondendo a delle offerte di mercato, ho costituito la prima società IDECO in Romania", racconta l’Ing. Bandini. Successivamente costituisce la IDECO Hungary kft in Ungheria, e quest'anno verrà creata la IDECO Srspka per consolidare la sua presenza nel cuore dei Balcani.

La delocalizzazione delle attività che utilizzano molto la manodopera ha spinto per molti anni l’imprenditoria italiana a scegliere la Romania e i Paesi dell’Est per ottenere economie di scala e di scopo. Oggi, considerando l’avvicinamento dei Paesi balcanici all’Europa (Slovenia) e gli incentivi all’imprenditoria estera (in particolare la Serbia), secondo alcuni ci sarà uno spostamento dei flussi di investimento verso i mercati balcanici, prossimi all’Italia. Lei cosa ne pensa?
La delocalizzazione è figlia della globalizzazione ed ha lo scopo principale di creare una sinergia tra un'azienda - che detiene una tecnologia ed un capitale - ed un Paese dove poter attingere manodopera adeguata ed a un basso costo per poter produrre il proprio prodotto. Ormai i grandi gruppi hanno fatto il passo di attraversare l'Europa ed hanno impiantato grosse strutture produttive in Asia (Cina, India, Thailandia) e Sud America. Il fenomeno dell'Europa dell'Est e dei Balcani a mio avviso può essere più interessante per la media e piccola impresa. Per quanto riguarda la Romania vale la stessa regola, con la facilità per noi italiani della lingua che è molto simile all'italiano, e dunque il vantaggio di una comunicazione diretta e rapida con il personale. I problemi principali che vedo sono due: il primo è il rapido sviluppo di questi Paesi nel breve termine e quindi un rapido allineamento dei costi a quelli già sopportati dalle nostre aziende in Italia, mentre l'altro è rappresentato dal quadro normativo che i Balcani sapranno darsi in campo commerciale, in quanto fondamentale per un imprenditore questo rappresenta la certezza dell'applicazione delle regole e il loro tempo di applicazione e mantenimento.

La scelta di internazionalizzare è una strategia consolidata per le imprese che hanno un’alta capacità finanziaria, che ottengono vantaggi dall’esportazione delle proprie conoscenze, come fanno le multinazionali. Per le Pmi il discorso cambia, perché l’attività imprenditoriale ha una maggiore interazione con il territorio, e quindi difficilmente standardizzabile. Quali sono dunque i vantaggi e le difficoltà per una Pmi ad entrare nei mercati balcanici?
Tralasciando la produzione in serie di beni di uso comune, la piccola e media impresa non solo può trovare una sinergia produttiva e di delocalizzazione, ma può trovare anche un mercato aperto e totalmente nuovo. Basti pensare agli ammodernamenti, sia fisiologici che normativi necessari ad entrare nell'Unione Europea, delle infrastrutture e dei siti produttivi presenti nei Balcani (acciaierie, cementifici, centrali per la produzione di energia, strade, ferrovie ecc.). Quindi non solo un mero e proprio bacino di manodopera ma anche un nuovo mercato. Questa deve essere, a mio avviso, la corretta visione per uno sviluppo reciproco azienda-territorio se vogliamo far crescere sia le nostre aziende e sia il territorio dove operano.

L’ingresso nell’Unione Europea che conseguenze avrà sull’imprenditoria italiana nei Balcani?
Senz'altro benefica. L'ingresso nell'Unione Europea porterà dei vantaggi notevoli per il transito delle merci prodotte e per le persone. Basti pensare che la manodopera di un Paese può circolare e lavorare liberamente in un altro Paese comunitario con una semplificazione notevole dei documenti. Questo significa libero scambio, ma anche libera concorrenza per le aziende che hanno deciso di delocalizzare.

Molti ritengono che il modello distrettuale sia una formula di successo per le Pmi di entrare nei mercati esteri. Quanto sono diffusi i distretti italiani sul territorio balcanico?
Essendo nato e cresciuto in Toscana - dove i distretti industriali sono una realtà concreta ed assodata (basti pensare ai distretti del cuoio o del mobile) e quindi in territori ad alta specializzazione dove l'azione sinergica per ridurre costi ed aumentare l'efficacia dei servizi è molto importante - ritengo che nei Balcani non ci siano ancora realtà a così alta specializzazione. Credo che per arrivare a questi risultati ci dovrebbe essere a monte un'azione formativa delle nostre Istituzioni e delle nostre Associazioni di categoria. Così in breve tempo, le nostre aziende potrebbero godere di zone altamente specializzate dove ottimizzare i servizi e far crescere - e questo è molto importante - un bacino di manodopera indirizzata come richiedono i distretti .
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Quale sostegno ricevono gli imprenditori dalle strutture italiane presenti all’estero, come sportelli Italia, Camere di Commercio, ambasciate italiane all’estero?
Difficilmente il medio o il piccolo imprenditore riesce ad avere il sostegno delle nostre Istituzioni in quanto non sono di facile accessibilità, non sono presenti e quando sono presenti hanno solo funzione burocratica. In Romania, ad esempio, dove operano molti imprenditori italiani, gli uffici commerciali sono in pratica due: Bucarest e Timisoara. Non esiste un'assistenza commerciale né legale. A Cluj, poi, esiste un consolato onorario con la doppia funzione di consolato e torrefazione di caffè, con il risultato che se un italiano ha un problema commerciale o legale non viene assolutamente risolto, ma può bere un buon caffè!
Secondo Lei, i soggetti privati riescono a sviluppare iniziative di sostegno alle imprese, tali da colmare le mancanze presenti a livello istituzionale?
Per mia esperienza in questo momento no. Esistono degli uffici di avvocati che riescono a dare un primo aiuto, ma siamo lontani da un modello, per intenderci, tipo Camera di Commercio per poter affrontare in modo serio e sereno un passo importante come l'internazionalizzazione della propria impresa. Inoltre, è molto difficile capire quali potrebbero essere dei soggetti affidabili per ottenere finanziamenti o agevolazioni per poter agevolare tale processo.

Che tipo di progetti si possono sviluppare in futuro nella regione balcanica?
Nell'immediato senz'altro quelli legati ad una produzione manifatturiera di beni di largo consumo ed inoltre legati alle costruzioni sia industriali che civili. Per servizi avanzati ritengo che senza un'adeguata programmazione di investimenti mirati alla formazione del personale da impiegare sia davvero difficile poter essere subito operativi.
Credo che sia preferibile quei settori che in qualche modo si trovano già in origine sul posto. Esistono molte strutture e di grandi dimensioni che un tempo erano dei siti produttivi importanti, oggi in disuso o improduttivi, che potrebbero essere ricondizionati ed utilizzati in tempi rapidi con il vantaggio di trovare in loco manodopera che già ha una formazione in quel campo.

Secondo la sua esperienza, in che modo le piccole e medie imprese italiane possono internazionalizzarsi nei Paesi dell’Europa Orientale?
Un'azione informativa viene sviluppata anche dalle Associazioni di categoria, comunque l'esperienza personale è sempre quella che diventa decisiva per poter iniziare la delocalizzazione nei paesi dell'Est. Oggi poi è possibile, dopo un'analisi per la scelta del Paese, assumere direttamente in Italia personale originario da poter utilizzare come persona guida per iniziare una prima organizzazione. E' importante infine dotarsi, prima di iniziare l'internalizzazione, di una struttura interna di controllo e comunicazione con la sede estera. Queste due ultime fasi credo siano essenziali per poter iniziare con il piede giusto la propria internalizzazione.

Cosa manca al "Sistema Italia" per aiutare le sue imprese all’estero?
Una presenza autorevole di riferimento. Oggi manca una rete istituzionale che permetta di fare un'opera preventiva che preceda le imprese italiane.
Basti pensare ad una più ampia divulgazione della lingua italiana ed al controllo dei flussi delle popolazioni, vedi la Romania, dove ormai le imprese non riescono più a trovare personale di un certo livello a causa dello spopolamento dei grossi centri industriali dovuto all'attrazione, per esempio, della costa adriatica che con il richiamo di un posto stagionale di bassa manovalanza porta ad abbandonare posti di lavoro di ben più alta professionalità. Questi sono due problemi che rendono meno efficace la presenza delle nostre aziende per un connubio impresa-territorio.

 



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