Rinascita Balcanica
intervista l’Ing.
Marco Bandini, socio fondatore del
gruppo P.M.B.
e dal 2004 amministratore e unico socio del
gruppo IDECO.
Grazie alla sua esperienza imprenditoriale, analizza le gravi difficoltà
che un’impresa italiana incontra nel suo tentativo di espandersi e di
entrare nei mercati esteri, in assenza di qualsiasi supporto da parte
delle Istituzioni.
Marco Bandini oggi amministra la IDECO
srl, che è una società di ingegneria industriale romena fondata
nel 2004 a Cluj-Napoca, e nata dall'esperienza consolidata nei
precedenti dieci anni presso il gruppo di società di ingegneria, la cui
capogruppo era la P.M.B.
Impianti Industriali srl. Lo scopo principale del
Gruppo Ideco è quello di fornire un servizio di ingegneria avanzato con
l'impiego delle ultime tecnologie sia per il disegno che per il
dimensionamento meccanico. Le attività svolte da IDECO in questi paesi
sono commissionate dalle maggiori imprese di impiantistica industriale
europee e destinate ad una committenza mondiale."Avendo
l'esigenza personale di un continuo percorso professionale e di vita,
come succede a tutti i piccoli imprenditori che non riescono a
dissociare il loro cammino umano da quello professionale, ho lasciato la
società precedente di cui ero stato un socio fondatore e rispondendo a
delle offerte di mercato, ho costituito la prima società IDECO in
Romania", racconta l’Ing. Bandini. Successivamente costituisce la
IDECO Hungary kft in Ungheria, e
quest'anno verrà creata la IDECO Srspka
per consolidare la sua presenza nel cuore dei Balcani.
La delocalizzazione delle attività che
utilizzano molto la manodopera ha spinto per molti anni l’imprenditoria
italiana a scegliere la Romania e i Paesi dell’Est per ottenere economie
di scala e di scopo. Oggi, considerando l’avvicinamento dei Paesi
balcanici all’Europa (Slovenia) e gli incentivi all’imprenditoria estera
(in particolare la Serbia), secondo alcuni ci sarà uno spostamento dei
flussi di investimento verso i mercati balcanici, prossimi all’Italia. Lei
cosa ne pensa?
La delocalizzazione è figlia della globalizzazione ed ha lo scopo
principale di creare una sinergia tra un'azienda - che detiene una
tecnologia ed un capitale - ed un Paese dove poter attingere manodopera
adeguata ed a un basso costo per poter produrre il proprio prodotto. Ormai
i grandi gruppi hanno fatto il passo di attraversare l'Europa ed hanno
impiantato grosse strutture produttive in Asia (Cina, India, Thailandia) e
Sud America. Il fenomeno dell'Europa dell'Est e dei Balcani a mio avviso
può essere più interessante per la media e piccola impresa. Per quanto
riguarda la Romania vale la stessa regola, con la facilità per noi
italiani della lingua che è molto simile all'italiano, e dunque il
vantaggio di una comunicazione diretta e rapida con il personale. I
problemi principali che vedo sono due: il primo è il rapido sviluppo di
questi Paesi nel breve termine e quindi un rapido allineamento dei costi a
quelli già sopportati dalle nostre aziende in Italia, mentre l'altro è
rappresentato dal quadro normativo che i Balcani sapranno darsi in campo
commerciale, in quanto fondamentale per un imprenditore questo rappresenta
la certezza dell'applicazione delle regole e il loro tempo di applicazione
e mantenimento.
La scelta di internazionalizzare è una
strategia consolidata per le imprese che hanno un’alta capacità
finanziaria, che ottengono vantaggi dall’esportazione delle proprie
conoscenze, come fanno le multinazionali. Per le Pmi il discorso cambia,
perché l’attività imprenditoriale ha una maggiore interazione con il
territorio, e quindi difficilmente standardizzabile. Quali sono dunque i
vantaggi e le difficoltà per una Pmi ad entrare nei mercati balcanici?
Tralasciando la produzione in serie di beni di uso comune, la piccola e
media impresa non solo può trovare una sinergia produttiva e di
delocalizzazione, ma può trovare anche un mercato aperto e totalmente
nuovo. Basti pensare agli ammodernamenti, sia fisiologici che normativi
necessari ad entrare nell'Unione Europea, delle infrastrutture e dei siti
produttivi presenti nei Balcani (acciaierie, cementifici, centrali per la
produzione di energia, strade, ferrovie ecc.). Quindi non solo un mero e
proprio bacino di manodopera ma anche un nuovo mercato. Questa deve
essere, a mio avviso, la corretta visione per uno sviluppo reciproco
azienda-territorio se vogliamo far crescere sia le nostre aziende e sia il
territorio dove operano.
L’ingresso nell’Unione Europea che
conseguenze avrà sull’imprenditoria italiana nei Balcani?
Senz'altro benefica. L'ingresso nell'Unione Europea porterà dei vantaggi
notevoli per il transito delle merci prodotte e per le persone. Basti
pensare che la manodopera di un Paese può circolare e lavorare liberamente
in un altro Paese comunitario con una semplificazione notevole dei
documenti. Questo significa libero scambio, ma anche libera concorrenza
per le aziende che hanno deciso di delocalizzare.
Molti ritengono che il modello
distrettuale sia una formula di successo per le Pmi di entrare nei mercati
esteri. Quanto sono diffusi i distretti italiani sul territorio balcanico?
Essendo nato e cresciuto in Toscana - dove i distretti industriali sono
una realtà concreta ed assodata (basti pensare ai distretti del cuoio o
del mobile) e quindi in territori ad alta specializzazione dove l'azione
sinergica per ridurre costi ed aumentare l'efficacia dei servizi è molto
importante - ritengo che nei Balcani non ci siano ancora realtà a così
alta specializzazione. Credo che per arrivare a questi risultati ci
dovrebbe essere a monte un'azione formativa delle nostre Istituzioni e
delle nostre Associazioni di categoria. Così in breve tempo, le nostre
aziende potrebbero godere di zone altamente specializzate dove ottimizzare
i servizi e far crescere - e questo è molto importante - un bacino di
manodopera indirizzata come richiedono i distretti .
Quale sostegno ricevono gli imprenditori
dalle strutture italiane presenti all’estero, come sportelli Italia,
Camere di Commercio, ambasciate italiane all’estero?
Difficilmente il medio o il piccolo imprenditore riesce ad avere il
sostegno delle nostre Istituzioni in quanto non sono di facile
accessibilità, non sono presenti e quando sono presenti hanno solo
funzione burocratica. In Romania, ad esempio, dove operano molti
imprenditori italiani, gli uffici commerciali sono in pratica due:
Bucarest e Timisoara. Non esiste un'assistenza commerciale né legale. A
Cluj, poi, esiste un consolato onorario con la doppia funzione di
consolato e torrefazione di caffè, con il risultato che se un italiano ha
un problema commerciale o legale non viene assolutamente risolto, ma può
bere un buon caffè!
Secondo Lei, i soggetti privati riescono a
sviluppare iniziative di sostegno alle imprese, tali da colmare le
mancanze presenti a livello istituzionale?
Per mia esperienza in questo momento no. Esistono degli uffici di avvocati
che riescono a dare un primo aiuto, ma siamo lontani da un modello, per
intenderci, tipo Camera di Commercio per poter affrontare in modo serio e
sereno un passo importante come l'internazionalizzazione della propria
impresa. Inoltre, è molto difficile capire quali potrebbero essere dei
soggetti affidabili per ottenere finanziamenti o agevolazioni per poter
agevolare tale processo.
Che tipo di progetti si possono sviluppare
in futuro nella regione balcanica?
Nell'immediato senz'altro quelli legati ad una produzione manifatturiera
di beni di largo consumo ed inoltre legati alle costruzioni sia
industriali che civili. Per servizi avanzati ritengo che senza un'adeguata
programmazione di investimenti mirati alla formazione del personale da
impiegare sia davvero difficile poter essere subito operativi.
Credo che sia preferibile quei settori che in qualche modo si trovano già
in origine sul posto. Esistono molte strutture e di grandi dimensioni che
un tempo erano dei siti produttivi importanti, oggi in disuso o
improduttivi, che potrebbero essere ricondizionati ed utilizzati in tempi
rapidi con il vantaggio di trovare in loco manodopera che già ha una
formazione in quel campo.
Secondo la sua esperienza, in che modo le
piccole e medie imprese italiane possono internazionalizzarsi nei Paesi
dell’Europa Orientale?
Un'azione informativa viene sviluppata anche dalle Associazioni di
categoria, comunque l'esperienza personale è sempre quella che diventa
decisiva per poter iniziare la delocalizzazione nei paesi dell'Est. Oggi
poi è possibile, dopo un'analisi per la scelta del Paese, assumere
direttamente in Italia personale originario da poter utilizzare come
persona guida per iniziare una prima organizzazione. E' importante infine
dotarsi, prima di iniziare l'internalizzazione, di una struttura interna
di controllo e comunicazione con la sede estera. Queste due ultime fasi
credo siano essenziali per poter iniziare con il piede giusto la propria
internalizzazione.
Cosa manca al "Sistema Italia" per aiutare
le sue imprese all’estero?
Una presenza autorevole di riferimento. Oggi manca una rete istituzionale
che permetta di fare un'opera preventiva che preceda le imprese italiane.
Basti pensare ad una più ampia divulgazione della lingua italiana ed al
controllo dei flussi delle popolazioni, vedi la Romania, dove ormai le
imprese non riescono più a trovare personale di un certo livello a causa
dello spopolamento dei grossi centri industriali dovuto all'attrazione,
per esempio, della costa adriatica che con il richiamo di un posto
stagionale di bassa manovalanza porta ad abbandonare posti di lavoro di
ben più alta professionalità. Questi sono due problemi che rendono meno
efficace la presenza delle nostre aziende per un connubio
impresa-territorio.