Circolano molte voci, soprattutto sul web,
sull'espressione del voto di protesta e sulle
sue conseguenze nella ripartizione dei seggi.
Facciamo chiarezza. Il voto nullo, il "voto in
bianco", la mancata consegna della scheda o il
suo mancato ritiro, nonché l'astensione hanno
esattamente lo stesso peso nella
determinazione dei seggi spettanti a ciascuna
lista: nessuno. E nessun presidente o
segretario di seggio potrà mai verbalizzare
una espressione di voto, qualunque essa sia.
Corre all'impazzata sul web, in questi
ultimi giorni, la leggenda metropolitana
della legittimità e liceità del voto di
protesta, da realizzare domenica e
lunedì, in sede di elezioni politiche.
UNA LEGGENDA IN DUE PARTI
Dovrebbe concretarsi nel
rifiuto di ritirare la scheda elettorale,
seguito dalla richiesta al presidente di
seggio di verbalizzare
le motivazioni della protesta stessa. Il
punto di appoggio normativo che i
protestatari hanno saputo trovare a
favore della loro tesi consisterebbe
nell'obbligo, gravante sul segretario
del seggio, a mente dell'articolo 104
del Tu del 1957, di verbalizzare
"proteste o reclami di elettori". Il
rifiuto del segretario sarebbe punito
(addirittura) "con la reclusione da sei
mesi a tre anni e con la multa sino a 4
milioni di lire".
La seconda parte della leggenda
metropolitana è data dalla convinzione
che il suddetto comportamento di rifiuto
sarebbe l'unico modo con cui opporsi al
conteggio dei voti bianchi, nulli o di
protesta (un nuovo tertium genius)
tra quelli che contribuiscono
all'ottenimento del premio di
maggioranza.
I RIFERIMENTI DI LEGGE
Affrontando separatamente i due
argomenti non sarà difficile
smontarli, anche con
considerazioni neppure troppo
sofisticate.
Circa il primo, risulta decisiva la
cosiddetta interpretazione sistematica
volta a collocare al posto giusto le
espressioni contenute nella legge:
"proteste o reclami di elettori", che è
il punto di attacco dell'interpretazione
protestataria.
Se, con un po' di pazienza, ci si mette
sulle tracce dei richiami alle parole
citate, che sono rinvenibili nel Tu del
1957, a loro volta collegate con il Tu
n. 26 del 1948, si scopre che tali
espressioni riguardano sempre ed
esclusivamente operazioni elettorali
concernenti lo scrutinio dei voti e la
loro assegnazione alle liste in
competizione.
Ciò avviene, una prima volta, all'art 44
Tu (inserito nel Titolo IV "Della
votazione"): hanno accesso nella sala
del voto gli ufficiali giudiziari per
notificare al Presidente "proteste e
reclami" relativi alle operazioni della
sezione.
Una seconda volta, all'art 71 (nel
Titolo V "Dello scrutinio") in relazione
alla immediata vidimazione da parte del
presidente delle "carte relativi ai
reclami e alle proteste" .
Una terza volta, all'art 72 (sempre nel
titolo riguardante lo scrutinio) con la
formazione del plico contenente anche
"le carte relative ai reclami e alle
proteste".
Una quarta volta all'art. 74, in
relazione all'obbligo del segretario del
seggio di far menzione nel verbale "di
tutti i reclami presentati, delle
proteste fatte, dei voti contestati
(siano o non attribuiti provvisoriamente
alle liste) e delle decisioni del
presidente".
Una quinta volta all'art 76, laddove
sono elencati gli obblighi dell'Ufficio
centrale circoscrizionale che, entro 48
ore, deve procedere "per ogni sezione,
al riesame delle schede contenenti voti
contestati e provvisoriamente non
assegnati, e tenendo presenti le
annotazioni riportate a verbale, le
proteste e i reclami presentati in
proposito" e decidere conseguentemente.
Una sesta volta, nell'art. 79, ritorna
l'espressione "reclami, proteste e
incidenti avvenuti nelle sezioni" per
vietare all'Ufficio centrale di
discutere su di esse nonché sulla
valutazione dei voti assegnati. Il
giudizio definitivo circa le
contestazioni, "le proteste e in
generale su tutti i reclami presentati
agli Uffici delle singole sezioni
elettorali o all'Ufficio centrale
durante la loro attività spetta alla
Camera dei Deputati" (ovvero al Senato).
A ciò soccorre ulteriormente il fatto
che le proteste e i reclami non
presentati agli Uffici delle sezioni e
all'Ufficio circoscrizionale devono
essere trasmessi alla segreteria della
Camera (art. 87, comma 1 e 3)
L'ultima citazione che riguarda il
nostro argomento è quella, già
presentata all'inizio, inserita
nell'articolo 104 Tu.
Credo che non ci sia bisogno di
insistere nell'argomentare che il
presunto diritto di reclamo o protesta
da parte degli elettori, inteso come
rifiuto di votare, cioè
di esprimere un voto (anche con scheda
bianca o fatta annullare) o di astenersi
pretendendo di verbalizzare le
ragioni di tale protesta
non esiste, se non per
il limitatissimo spazio concernente lo
svolgimento delle operazioni elettorali
(ad esempio eventuale mala gestio
da parte del presidente, degli
scrutatori o cose simili).
Mentre il diritto di reclamo e di
protesta che ricorre più volte, come si
è visto, nel Tu riguarda la fase dello
scrutinio e dell'assegnazione di voti, e
con riferimento a ciò hanno voce in
capitolo i membri del seggio, compresi i
rappresentanti di lista. Tutti costoro e
solo loro hanno diritto di esporre e far
verbalizzare "i reclami e le proteste"
che poi saranno inoltrati fino
all'Ufficio centrale e in ultimo, alla
Camera dei Deputati (o al Senato).
SCHEDE BIANCHE E RIPARTIZIONE DEI
SEGGI
L'altra leggenda metropolitana che
circola su Internet è la seguente:
occorrerebbe seguire determinate,
specifiche modalità per
il voto di protesta, per evitare che il
voto, non espresso a favore di alcuna
lista ma nemmeno formulato nella
modalità ritenuta necessaria,
contribuisca a far assegnare il
premio di maggioranza a una
lista o coalizione.
Quali siano esattamente tali modalità è
un dato che varia secondo i boatos
che si agitano sul web: presentarsi
al seggio e rifiutare la scheda, oppure
ritirare la scheda ma non restituirla,
oppure lasciarla in bianco, oppure
lasciarla in bianco e fare verbalizzare
la circostanza, eccetera.
Talora, si aggiunge - quasi per dare una
vernice di tecnicismo e attendibilità -
che il meccanismo si baserebbe su
qualche cavillo annidato nei
"regolamenti" sulla ripartizione dei
seggi.
È opportuno allora chiarire che, nel
vigente sistema elettorale,
contano ai fini della
ripartizione dei seggi solo i
voti attribuiti a una lista determinata.
I voti nulli e le schede in bianco non
hanno alcun rilievo, a questi effetti,
sebbene ad altri e più
limitati fini la legge distingua le
due categorie (per esempio: vanno
verbalizzati separatamente - articolo
68, co. 7, Dpr n. 361/57).
Il punto emerge con chiarezza dal
rilievo che, tutte le volte in cui la
legge fa riferimento al numero di voti
da considerare nelle operazioni di
riparto dei seggi, il riferimento è
specificamente condotto ai voti
"conseguiti" da una lista o ai "voti
validi espressi": ad esempio,
nella legge elettorale della Camera,
vedi articolo 77, n. 1; articolo 83, co.
1, n. 2 eccetera.
Gli stessi riferimenti valgono anche per
quanto riguarda le soglie di
sbarramento (articolo 83, co.
1, n. 3) e il premio di maggioranza (o
meglio, il criterio base per la
determinazione dei seggi spettanti -
vedi articolo 83, co. 1, n. 4 - che è
poi corretto dalla regola del premio -
articolo 83, co. 1, nn. 5 e 7, e co. 2).
Il discorso non cambia nella legge
elettorale per il Senato
(articoli 16-17 Dlgs n.
533/93). Il regolamento di attuazione
della previgente legge elettorale (Dpr
n. 14/94), nelle parti non già abrogate,
non prevede alcuna disposizione di segno
diverso, né del resto potrebbe
validamente ed efficacemente farlo.
Pertanto, il voto nullo, il "voto in
bianco", la mancata consegna della
scheda o il suo mancato ritiro, nonché
l'astensione hanno esattamente lo
stesso peso nella determinazione
dei seggi spettanti a ciascuna lista:
nessun peso.
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