Quello che si può dire sin da ora è che è stata una campagna
elettorale piatta, di certo meritavamo qualcosa di meglio. L'impressione è che
lo scompaginamento delle antiche formazioni, la scomparsa del bipolarismo - a
cui tutti, chi nel bene chi nel male, si erano abituati - abbia portato non la
classica ventata di ottimismo quanto piuttosto, si potrebbe dire, di paura.
Cosa ci ricorderemo di questa breve e disordinata campagna elettorale? Poco,
probabilmente, ma quelli che hanno buona memoria terranno bene a mente che è
stata per lo più il susseguirsi di una serie di attacchi incrociati, imbarazzati
e frenati dal politically correct imposto da Walter Veltroni. Ha influito,
senz'altro, il cappio della legge elettorale sciaguratamente approvata da un
centrodestra in procinto di passare il testimone, che rende la corsa al Senato
una specie di roulette russa. Dove Berlusconi deve fare i conti con Casini, in
più regioni attrezzato ad arrivare all'otto per cento e alla sottrazione di
seggi preziosi; mentre Veltroni si trova in una situazione simile nei confronti
di Bertinotti. A fare un rudimentale conteggio degli scontri e delle frecciate
reciproche, forse, se ne ricorderanno più tra Popolo della libertà e Udc e
Partito democratico e Sinistra arcobaleno, piuttosto che tra gli unici due
contendenti che hanno chance di vittoria. Il pallottoliere dei sondaggi,
combinato e disposto con la legge elettorale, ha influito nell'incredibile
penuria di contenuti.
Però ci ricorderemo senz'altro le ultime sparate berlusconiane. Il grido
preventivo ai brogli, la disinvoltura con cui ha trascinato nell'agone il
Presidente della Repubblica che pure, per definizione, dovrebbe essere
l'istituzione di garanzia e di imparzialità per eccellenza, l'estremo baluardo
di riferimento. Una cosa, prendendo spunto da questo, si può dire senza paura di
sbagliare: che sono stati di sicuro mesi travagliati per gli elettori di
sinistra. Tutti abbiamo discusso - e ancora discutiamo - su quale sarà la scelta
giusta, su quale partito mettere quella croce che, in fondo, è l'atto insieme
fondante e finale di tutte le democrazie rappresentative. Certo non basta il
voto per fare una democrazia, ma di certo non c'è democrazia senza voto. La
sinistra, i rappresentanti della sinistra, mai si sono sognati - l'auspicio è
che la consuetudine continui - di trascinare nel fango le istituzioni fondanti
della Repubblica. Forse perché la Costituzione ce le hanno nel Dna e non possono
che rispettarla. Ad altri invece risulta più difficile, viene più istintivo (è
la televisione, baby) solleticare a tutti i costi gli istinti viscerali. La
politica che asseconda, la politica dei sondaggi. Così si vince (ma non è detto)
però forse si continua a volare un po' bassi.
Comunque andrà a finire, rimane lampante questa diversità di stile e di culture,
al di là di quello che sarà il voto di ciascuno di noi. Potrà essere una scelta
"utile" per battere Berlusconi, fatta con la convinzione di rafforzare la
sinistra del Pd (che rimane, va ricordato, un'anomalia nel quadro europeo);
oppure un voto alla Sinistra arcobaleno, a sostegno della tesi di Bertinotti
("Il voto al Pd è effimero, quello a noi è drammatico perché è per la
sopravvivenza della sinistra in Italia); o che sia un voto al Partito socialista
finalmente riunificato e maltrattato dal mercato delle alleanze prima delle
elezioni, magari in vista di un'alleanza con un altro settore della sinistra; o,
ancora, che sia un voto alla sinistra estrema, della D'Angeli e di Ferrando; o
infine - e stavolta pare saranno di più - una scelta astensionista. Con la
speranza che la sinistra, la prossima volta, sia capace di portarli o riportarli
alle urne.
Buon voto.
Andrea Sarchilli - aprileonline
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