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12/04/2008 Elezioni: disarcionare il cavaliere (Fabrizio Casari, http://altrenotizie.org/alt)

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Quello di domenica non è un voto facile, per niente. Soprattutto per chi da sempre si è considerato di sinistra, a sinistra. Una certa pulsione a sottrarsi ha contaminato anche chi a votare è sempre andato, fortemente motivato o più o meno convinto. Per protesta, disillusione, anche noia, sono in molti che hanno pensato all’astensione, come atto di cittadinanza solitaria se non come urlo. Ma in queste ultime ore gli indecisi si assottigliano, si avverte un cambiamento che più che essere determinato dai programmi o dalle dichiarazioni dei leader dei partiti, è piuttosto il frutto dell’elaborazione personale di ognuno, della capacità individuale di analizzare la situazione del nostro Paese, di una soggettività politica che comunque rimane, anche fuori dalla frequentazione dei partiti. L’astensionismo dunque non è la risposta, ma allora per chi votare?

Qui la situazione si complica. L’offerta è assai diversificata, ma non per questo la scelta è più semplice. Votare a sinistra, la Sinistra Arcobaleno, la Sinistra critica, per i socialisti, per Ferrando? A parte la rappresentazione plastica del vizio alla divisione, dell’incapacità della sinistra italiana di stare tutti insieme, proprio quando è la sinistra sotto attacco, anche la presenza della lista unitaria della Sinistra arcobaleno non convince. E’ più una lista elettorale, fatta peraltro all’ultimo minuto, che un’idea affascinante di ricomposizione, di unità. Più un insieme di apparati, chiusi a difendere i loro spazi di autoreferenzialità che un’idea nuova di partecipazione e di rappresentanza.

La sinistra alternativa aveva avuto una opportunità nei mesi passati, anche a seguito dell’uscita di Mussi dai Democratici di sinistra. Poteva e doveva essere un’autostrada, per attivare passioni, intelligenze, speranze. Così non è avvenuto, per incapacità e anche per non volontà, per calcoli miopi, quando non meschini. Ritardi, obiezioni, resistenze, chiusure identitarie, differenziazioni di purezze ideologiche, mentre la richiesta dal basso di unità era forte; richiesta che intercettava la necessità oggettiva e soggettiva di costruire una sinistra moderna, che parlasse all’intero paese, che avesse un ruolo politico e non solo di testimonianza.

Poi l’esperienza all’interno del governo Prodi: per la prima volta un’occasione e anche una sfida, di governo, per dimostrare che una sinistra unita poteva contare di più; certo all’interno di un programma di una coalizione che di sinistra non era e nell’ambito delle ristrettezze numeriche dei voti del Senato, di cui non si poteva non tener conto. Ma ognuno è andato per sé, nella rincorsa di una visibilità che, più che al raggiungimento di alcuni traguardi, è stata strumento di competizione ed esercizio di cannibalismo reciproco. Alzare la voce, in una inutile e sterile la gara a chi la alzava di più, per poi votare comunque i provvedimenti, anche i peggiori, non è stata dimostrazione di coerenza, ma semmai d'ininfluenza del ruolo politico della sinistra.

Oggi, votare la Sinistra arcobaleno è come firmare una cambiale in bianco, fidarsi di gruppi dirigenti che hanno invece dimostrato di non essere all’altezza del compito. Gruppi dirigenti che avrebbero dovuto risparmiarci le dispute sui simboli, che sempre più sembrano la famosa coperta di Linus, per privilegiare invece l’analisi economica e sociale del Paese, con l’obbiettivo di cominciare a ripensare una teoria e una prassi della trasformazione possibile. Proposte per il "qui ed ora", non per l’inizio del ‘900. I gruppi dirigenti della Sinistra hanno invece dimostrato come la fase più difficile della sinistra abbia tristemente coinciso con l’inadeguatezza più conclamata dei suoi vertici, al punto che il nesso di causa-effetto, in un senso e nell’altro, è difficilmente escludibile.

A tracciare il cammino incerto sul piano della tenuta democratica del Paese, non c’è però solo l’inadeguatezza della sinistra: l’ipotesi di un governo Berlusconi sposta ancora più a destra lo scenario: senza più il ruolo equilibratore di Casini, restano solo la Lega e i fascisti della Mussolini. Si prefigura come concretamente possibile l’alleanza tra politiche liberiste e politiche fondamentaliste, come Formigoni già ha dimostrato, regalando con la sussidiarietà alla Compagnia delle Opere il mercato dei profitti oltre che quello delle anime.

C’é però un dato impossibile da sottovalutare, al di fuori di ogni polemica più o meno strumentale sul “voto utile”: il voto al Pd è, oggettivamente, un voto che può determinare l’esito delle elezioni, che può fermare la minaccia di un’Italia in mano alla destra più reazionaria ed ignorante d’Europa. Ma é - vale la pena sottolinearlo - un voto contro le destre, non per una prospettiva politica. Perché il Partito Democratico, dal canto suo, è tutto e il contrario di tutto. Un eclettismo ideale che va a braccetto con un ecumenismo sociale, un’operazione politica dichiarata che taglia strategicamente fuori la sinistra ma (residuo di sana vergogna) non riesce a rinnegare la storia della sinistra; un’idea di partito che dovrebbe essere moderna ma che appare invece un azzardo anche ai più esperti giocatori in scommesse. Propone un esercizio ossessivo di nuovismo che recupera i più triti stereotipi della cultura passata. Insomma, un ibrido costruito in vitro più che sulla storia di questo paese.

Allora, votare per chi? Le conclusioni sono affidate all’unica cosa di cui ci fidiamo, la nostra consapevolezza. Un voto infatti deve essere consapevole, anche se non pienamente convinto. E la consapevolezza prioritaria è alla fine sempre quella di salvaguardare innanzitutto un quadro democratico, proprio perché si è e si resta di sinistra. Non è certo dalla devastazione sociale, dalla trasformazione razzista del nostro Paese, dallo smantellamento dei diritti civili e sociali e dalla umiliazione delle libertà - a partire da quelle delle donne - che l’opposizione di sinistra potrà conquistare coscienze e costruire conflitto.

Ormai abbiamo capito che l’opposizione considerata di per sé salvifica non paga. I tempi diventano più lunghi, terribilmente più lunghi, ma restano possibili solo se le destre non vincono. Scarna ma essenziale verità, che può servire ad illuminare la decisione politica di ognuno di noi, per scegliere che il nostro Paese continui ad avere un governo democratico. Quella che troveremo dentro le urne è, né più né meno, una emergenza democratica. Questa destra, impasto di una cultura della libertà negli affari privati e oscurantista nelle libertà pubbliche, va fermata.

Nessuno deve sottrarsi a questa battaglia, la posta in gioco è più alta della delusione che, individualmente o collettivamente, impera. C’è bisogno di una sinistra nuova più che di una nuova sinistra, e il primo atto della ricostruzione del senso stesso della sua esistenza passa proprio dalla sconfitta della minaccia che incombe da un lato e dell’indifferenza o del senso d'inutilità dall’altro.

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