1. Fine della politica.
Nel mondo del neoliberismo non c’è più nessuno spazio per la politica intesa
come sfera in cui si confrontano idee diverse sulla direzione da imprimere
allo sviluppo sociale. Lo sviluppo sociale è comandato, in ogni ambito,
dall’economia e dalle sue esigenze di profitto. A cosa si riduce allora la
politica, se si accetta questo mondo? A pura e semplice amministrazione
dell’esistente, a competizione fra cordate di amministratori, il cui unico
ruolo, ben pagato, è quello di gestire il consenso sociale alle politiche
neoliberiste. Poiché tali politiche comportano la perdita di diritti e
redditi, il peggioramento lento e costante della qualità della vita, tale
consenso può essere ottenuto solo con la distruzione di ogni discussione
pubblica razionale. Di qui la distruzione della scuola e dell’Università, e
la riduzione dell’informazione a gossip.
Poiché le contrapposizioni interne al ceto politico non hanno più nessuno
spessore politico o ideologico, e sono semplici scontri sulla distribuzione
di posti e prebende fra gang contrapposte, è corretta la caratterizzazione
del ceto politico come Casta.
A seguito, "La farsa elettorale" (Marco Cedolin); "Elezioni
politiche, cittadinanza e scelta personale di non andare a votare"
(Carlo Gambescia);
La Casta è al servizio della dinamica distruttiva del capitalismo attuale, e
va combattuta come nemica della civiltà e della società. Il fatto che essa
non decida nulla (perché tutto è deciso dall’economia) non significa che
essa sia irrilevante: è un’articolazione fondamentale del capitalismo
neoliberista, è l’ingranaggio che deve conquistare il consenso di masse
sempre più impoverite sia sul piano materiale sia su quello culturale
Poiché le contrapposizioni fra destra e sinistra non hanno nessun valore
rispetto ai problemi esaminati, destra e sinistra vanno combattute assieme
come espressione dello stesso male. In particolare vanno combattuti non solo
i due principali raggruppamenti (PD e PdL) ma anche i loro comprimari, come
i gruppi che oggi formano la Sinistra Arcobaleno. Durante i governi di
centrosinistra questi ultimi hanno mostrato, oltre ogni ragionevole dubbio,
il loro essere totalmente funzionali (come “copertura a sinistra”) ai
progetti neoliberisti e imperialisti.
2. Esiste uno spazio sociale nel quale agire questa lotta contro la
Casta?
Esso esiste, a nostro avviso, e si manifesta oggi come rifiuto generalizzato
della Casta, che la Casta stessa denomina “antipolitica” (denominazione
ovviamente menzognera come tutto quanto proviene dalla Casta: è la Casta a
negare la politica, a rappresentare la vera antipolitica). Lo spazio in cui
agire questa lotta non però è quello del “popolo di sinistra”: chi crede
questo ritiene che il fatto che il popolo di sinistra si richiama a ideali
di giustizia e uguaglianza ne faccia una base per la lotta contro le linee
di tendenza della società attuale. Ma è un errrore: il richiamo ai valori
storici della sinistra non ha nessun significato concreto, per il popolo di
sinistra, che infatti ha concretamente dimostrato di accettare qualsiasi
violazione di tali valori, da parte dei governi di centrosinistra. Il popolo
di sinistra reagisce in base a meccanismi identitari che lo portano ad
accettare qualsiasi cosa, purchè la faccia un governo di sinistra, e ad
aggirare con sofismi di vario tipo le contraddizioni. E’ solo da una netta
rottura con il popolo di sinistra che può nascere un’area sociale di
opposizione alla Casta e al capitalismo neoliberista.
3. La scelta di non votare significa per prima cosa questo: la
rottura con il popolo di sinistra e la sua ossessione per il “pericolo
Berlusconi”, la riconquista di uno spazio di libertà e dignità
intellettuale.
4. Esistono piccoli raggruppamenti, come il PCL o il movimento di
Fernando Rossi, che appaiono esprimere istanze esterne alla Casta. Non ci
sembra però utile votarli (a livello nazionale: diverso è il dicorso per
liste locali). Da una parte personalità interessanti, appunto come Fernando
Rossi o Giulietto Chiesa, non sembrano avere rotto il cordone ombelicale con
il “popolo di sinistra”, per cui si può dubitare che riescano ad esprimere
quella netta rottura con la Casta che a noi sembra necessaria. Dall’altra,
ogni riproposizione di partiti comunisti è destinata a vivere una vita
ultraminoritaria: e la cosa è talmente evidente e ovvia che sembra
necessario dedurre che chi ripropone oggi un partito comunista (che
finalmente sarà quello giusto, quello buono, quello vero) vuole appunto
essere una minuscola minoranza chiusa in se stessa.
5. Al solito, che fare (in questo caso, dopo le elezioni)?
Poiché da almeno trent’anni ci stiamo ritirando e il nemico sta avanzando, e
non si vedono elelementi che possano far pensare ad un mutamento di questo
stato di cose, l’unica prospettiva è quella della resistenza. Per capire
quali possono essere le linee di resistenza, occorre capire quali saranno le
linee di attacco.
Un primo punto è ovvio: il progetto di dominio globale USA, la “guerra
infinita e permanente” continuerà ad essere perseguito e continuerà a
suscitare resistenze. L’appoggio alle resistenze dei popoli aggrediti
dall’imperialismo è la linea di resistenza più facile da individuare. Un
secondo punto è quello della difesa dei territori da progetti invasivi, e
quindi il sostegno a tutti quei movimenti (NO TAV, NO ponte sullo stretto,
NO rigassificatori ecc.) che nascono in opposizione a progetti economici
invasivi e devastanti per gli equilibri del territorio stesso.
Queste lotte vanno nella direzione della critica dello sviluppo, anche se i
suoi attori possono non averne coscienza. Con questo intendiamo dire che la
prospettiva della critica dello sviluppo è l’unica che renda coerenti queste
lotte, dando ad esse un valore e una prospettiva generali. Al di fuori di
questa prospettiva, esse possono essere facilmente criticate e isolate
indicandole come espressione di egoismi locali che devono cedere il passo
all’interesse generale. La risposta a questa critica sta appunto
nell’indicare il rifiuto dello sviluppo, cioè la decrescita, come interesse
generale del paese.
Un terzo punto si collega al primo: il progetto di dominio globale USA
comporta la messa in mora, nei paesi occidentali, della rete di diritti e
garanzie che la civiltà borghese aveva elaborato come diritti del cittadino:
l’habeas corpus, il diritto ad un giusto processo, l’indipendenza della
magistratura. Sono tutti aspetti della civiltà giuridica borghese che la
misure legislative adottate negli USA dopo l’11 settembre (dal “patriot act”
in poi) hanno cominciato ad attaccare e indebolire. Analoghi fenomeni stanno
avanzando negli altri paesi occidentali (si pensi al fenomeno delle
“extraordinary renditions”). Non si tratta di una tendenza momentanea
destinata a rientrare, ma di un aspetto profondo e fondamentale del
capitalismo e dell’imperialismo contemporanei. Se è così, allora una linea
di resistenza è rappresentata dalla difesa dello Stato di diritto.
Un altro aspetto decisivo del capitalismo contemporaneo è l’ossessiva
ricerca del profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo non
è possibile rimanendo nell’ambito della legge (della stessa legge
borghese!): di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande
dell’economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere
legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare sempre
più spazio all’economia delle grandi organizzazioni criminali, che si
confonde in misura crescente con quella “legale”. Ciò implica che il
capitalismo ha bisogno di disattivare il controllo di legalità sui grandi
crimini economici. Anche in questo caso, dunque, la richiesta di difendere
lo Stato di diritto ha un carattere di resistenza e ostacolo al
dispiegamento della logica del capitalismo contemporaneo.
Più in generale, come abbiamo detto, l’odierno capitalismo neoliberista e
globalizzato deve abbattere tutte le garanzie e i diritti conquistati nel
corso dela fase riformista-socialdemocratica. In Italia quelle conquiste
hanno trovato un inquadramento nell’ambito legale e istituzionale disegnato
dalla Costituzione, che è nata come compromesso di alto livello fra le
tradizioni liberale, cattolica e socialista-comunista. Per il pieno
dispiegamento della logica distruttiva del capitalismo contemporaneo è
quindi necessario abbattere o eludere i vincoli rappresentati dal dettato
costituzionale. E’ quanto è stato fatto finora in maniera informale (per
l’impossibilità di trovare un accordo per una nuova Costituzione fra le
diverse sottocaste), è quanto farà dopo le elezioni il nuovo Parlamento. Non
sappiamo se ci saranno grandi riforme istituzionali o proseguirà lo
svuotamento della Costituzione lasciandone formalmente vigente il dettato.
In ogni caso, la difesa della Costituzione ci sembra la migliore linea di
resistenza possibile: essa compendia infatti in sé la difesa dello Stato di
diritto e la difesa di alcuni fondamentali conquiste della fase
riformista-socialdemocratica.
Marino Badiale, Genova, aprile 08
http://www.comedonchisciotte.org
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