Voglio porvi una domanda molto semplice: cosa permette al capitalismo di
sussistere? O, detto tecnicamente, alla maniera dei Marxisti: come fa il
capitalismo a riprodursi come sistema?
Naturalmente, prima di tutto bisogna capire cosa si intende per capitalismo.
La gente intende una miriade di cose diverse quando usa questo termine, avendo
in mente probabilmente un’economia di mercato o un’economia con lavoratori
stipendiati o forse solo un’economia in cui le aziende dominano. Quindi quello
che si intende per anti-capitalismo potrebbe significare anti-mercati,
anti-lavoro stipendiato e semplicemente anti-aziende grandi.
La mia definizione è quella propria di Marx: il capitalismo come relazione tra
il popolo lavoratore distinto dai mezzi di lavoro e dall'organizzazione
dell’economia e coloro che possiedono quei mezzi di lavoro. Tale relazione, per
poter sopravvivere, richiede che la gente debba essere coinvolta in una
transazione – vendere la propria abilità di lavorare ai suddetti proprietari. Ma
la caratteristica del capitalismo non è semplicemente che la massa della gente
deve essere stipendiata, ma anche che coloro che stanno acquistando la capacità
di svolgere una data mansione hanno un solo interesse e solo uno: i profitti (e
sempre più profitti). Ciò significa che gli acquirenti della forza lavoro sono
capitalisti e il loro scopo è unicamente la crescita del capitale.
Ciò che il capitalista fa come risultato dell’acquisto di tale abilità dei
lavoratori è il diritto a dirigerli nella produzione, esercitando tale diritto
anche su tutto ciò che essi producono. Si tratta di un insieme di relazioni
riguardanti la produzione abbastanza diverso, per esempio, dal concetto di
cooperativa o di collettivo, dove i lavoratori si occupano essi stessi della
produzione e rivendicano i propri diritti su ciò che producono. All’interno
delle relazioni capitaliste, il capitalista ha acquistato il diritto a sfruttare
i lavoratori in materia di produttività. Paga i lavoratori in media abbastanza
da soddisfare i loro bisogni primari, ma ha acquistato il diritto a spingerli a
produrre sempre di più rispetto a quanto a lui costa usarli. Ne risulta che il
lavoratore produce un valore aggiuntivo, più soldi, più profitti per il
capitalista, in definitiva il lavoratore produce più capitale per i capitalisti.
E quel capitale, il risultato dello sfruttamento dei lavoratori, si accumula
agli altri mezzi di produzione. Ne risulta che il capitale è il risultato di un
precedente sfruttamento.
E proprio questo fu il messaggio centrale che Marx stava cercando di comunicare
ai lavoratori. Cos’è il capitale? E’ il risultato di uno sfruttamento. Si tratta
dello stesso prodotto dei lavoratori rivoltato contro loro stessi e per prodotto
s’intendono tutti gli strumenti, i macchinari insomma tutto ciò che l’attività
umana è in grado di ottenere (sia dal punto di vista mentale che manuale).
Ma in quale maniera tale prodotto viene rivoltato contro di loro? Prima di
parlare di come questo sistema prende piede, come si riproduce, bisogna capire
perché è così importante porsi questa domanda. Si pensi alla forza detenuta dai
capitalisti per allargare il loro capitale e incrementare lo sfruttamento dei
lavoratori. Come sono in grado di fare ciò? Un modo è quello di fornire sempre
più lavoratori ai capitalisti, per esempio estendendo la giornata lavorativa o
intensificando il giorno di lavoro (speedup). Un altro è quello di diminuire gli
stipendi dei lavoratori e ancora un altro è quello di prevenire i lavoratori
dall’essere i beneficiari dei progressi nel campo della conoscenza sociale e
della produttività sociale. Il capitale è costantemente alla ricerca di modi per
allungare la gioranata lavorativa ed intensificarla, il che naturalmente è
contrario ai bisogni degli esseri umani di avere tempo per sé stessi, in modo da
riposare o pensare alla propria crescita personale. Il capitale è anche
costantemente alla ricerca di modi per abbassare gli stipendi, il che
naturalmente significa negare ai lavoratori la capacità di soddisfare i loro
bisogni esistenti e condividere i frutti del lavoro sociale. Come fa il
capitalismo a realizzare tutto ciò? In particolare, ci riesce dividendo i
lavoratori, mettendoli gli uni contro gli altri.
La logica del capitale non ha niente a che fare con i bisogni degli esseri
umani. Quindi pratiche come l’uso del razzismo e il patriarcato per dividere i
lavoratori, l'uso dello stato per colpevolizzare o schiacciare i sindacati, la
distruzione di vite umane con l'impedimento di operazioni e lo spostamento verso
luoghi in cui la gente è povera, dove gli accordi sono banditi e le
regolamentazioni ambientali inesistenti, non sono accidentali, ma meri prodotti
di una società in cui gli esseri umani sono semplici mezzi in mano al capitale.
Potremmo andare avanti a parlare delle caratteristiche del capitalismo, ma penso
che il punto principale sia ormai chiaro.
Quindi per tornare alla questione iniziale: perché il capitalismo continua ad
esserci? Cosa lo rende saldo? Come si riproduce? Lasciatemi pure suggerirvi
delle risposte.
La prima questione riguarda lo sfruttamento dei lavoratori, che non è poi così
ovvio. Il meccanismo secondo il quale il lavoratore vende la sua abilità nel
lavoro al capitalista che poi ne può beneficiare non è così evidente. Il
contratto non dice: questa è la parte della giornata in cui stai lavorando per
te stesso (soddisfacendo le tue richieste) e questa è la parte in cui lavori per
il capitalista accrescendo il suo capitale. Piuttosto sembra che il lavoratore
venda al capitalista una certa quantità del suo tempo (il lavoro di un giorno) e
che questi ottenga l’equivalente in denaro. Così il lavoratore deve chiaramente
prendere ciò che gli spetta: se le sue entrate sono poche significa che ha poco
da vendere che abbia veramente valore, niente di più che possa contribuire al
progresso della società (certamente molto poco rispetto a ciò che offre il
capitalista). Detto ciò, il lavoratore dovrebbe essere contento di non aver
nessun rendiconto personale. Di contro, in breve, non c’è sfruttamento. Marx fu
molto chiaro su questo punto: gli stipendi sono salari attribuiti ad un certo
numero di ore lavorative e tale concetto estingue ogni traccia di sfruttamento,
“un qualunque lavoro appare come un lavoro pagato”. Dal punto di vista
superficiale, quindi, non si tratta di sfruttamento, notò Marx sottolineando che
“sia che il lavoratore reclami una giustizia sia che lo faccia il capitalista,
il parlarne corrisponde ad una mistificazione del modo del capitalista di
produrre” (173)*. Da notare che non è solo il capitalista a pensare non ci sia
sfruttamento, ma è anche il lavoratore. Se questo fosse il caso, quando i
lavoratori si ribellano, loro si ribellano non contro lo sfruttamento ma contro
salari ingiusti o ingiuste condizioni lavorative, insorgono per ottenere
migliori salari o per accorciare le ore lavorative ossia per ciò che essi
ritengono giusto: "il giusto lavoro di un giorno per la giusta paga di un
giorno". In breve, facendo ciò sfidano il sistema, ma sfidano solo i risultati
ingiusti del sistema.
La seconda questione (e saldamente collegata alla prima) riguarda lo
sfruttamento dei lavoratori nel processo di produzione. Questa fa sì che il
capitale non appare come il risultato dello sfruttamento. Esso non viene
riconosciuto come il prodotto stesso dei lavoratori. Quindi da dove proviene
tutta la ricchezza? Qual'è la fonte dei macchinari, della scienza e di qualunque
cosa accresca la produttività? Deve essere proprio il contributo del
capitalista. Avendo venduto al capitalista l'abilità di lavorare (e tutti i
diritti su ciò che viene prodotto), la produttività sociale dei lavoratori
assume necessariamente la forma della produttività sociale del capitale. Il
capitale fisso, le macchine, la tecnologia, la scienza, tutto i beni necessari
appaiono solo come elementi costituenti il capitale. Marx commentava:
"l’accumulo di conoscenza e di capacità delle forze produttive generiche del
cervello sociale è assorbito dal capitale, al quale si oppone il concetto di
lavoro che appare solo come un attributo del capitale" (156). Quello che sto
descrivendo è la mistificazione del capitale. Quanto più il sistema si sviluppa,
tanto più la produzione conta su un capitale fisso. Esso si basa sui risultati
ottenuti dal lavoro precedente che prende la forma del capitale, quanto più il
capitale (e il capitalista) diventa necessario ai lavoratori. Non vi è alcun
modo, in breve, che possa dimostrare al lavoratore che egli stesso è dipendente
dal capitale. Marx fece un commento molto significativo a riguardo.
L'avanzamento della produzione capitalista fa nascere una classe lavoratrice
che per educazione, tradizione e costume si focalizza sulle esigenze di questa
maniera di produrre giudicandole leggi naturali evidenti. L’organizzazione del
processo capitalista riguardante la produzione, una volta che essa si è
pienamente sviluppata, sconfigge ogni resistenza. (157)
Data la natura nascosta dello sfruttamento e la mistificazione del capitale, si
ottengono ovviamente solide basi per la riproduzione del capitalismo come
sistema. Ma c’è di più.
Una terza ragione che permette al capitalismo di sussistere, è che la società
non appare solo dipendente dal capitale e dal capitalista riguardo a tutti i
tipi di progresso. Come gli individui all’interno delle relazioni capitaliste, i
lavoratori dipendono realmente dal capitale per fronteggiare ogni loro bisogno.
Quanto più essi sono distanti dai mezzi di lavoro e si sentono obbligati a
vendere la loro abilità a lavorare per poi ottenere i soldi che occorrono per il
proprio fabbisogno, così i lavoratori hanno bisogno del capitalista, che è il
mediatore tra loro e la realizzazione dei loro bisogni. Per il lavoratore
stipendiato la vera tragedia non è la vendita della forza lavoro, ma è
l’inabilità a venderla. Cosa c’è di peggio per uno che deve vendere un articolo
di non trovare nessun compratore? I Lavoratori, sembra, s'interessano alla
salute del capitalista, hanno interesse nell’aumentare la richiesta da parte dei
capitalisti di forza lavoro: per educazione, tradizione e costume considerano i
bisogni del capitale come leggi naturali ed evidenti, come leggi di buon senso.
Affinché i lavoratori divengano lavoratori stipendiati occorre la riproduzione
del capitale.
Abbiamo bisogno di ulteriori ragioni perché il capitalismo perduri come sistema?
Lasciatemi considerare un altro punto prima di parlare delle implicazioni che
ciò comporta. I lavoratori non dipendono semplicemente da un generico capitale
in materia di mansioni e di abilità a soddisfare i loro più svariati bisogni, ma
dipendono da particolari capitali! Precisamente, poiché il capitale esiste nella
forma di molti capitali e quei capitali competono gli uni contro gli altri per
espandersi, i gruppi di lavoratori legano la loro abilità a soddisfare i propri
bisogni al successo di quei particolari capitali che danno loro impiego. In
breve, non tenendo conto persino degli sforzi consci del capitale per dividere,
si può affermare che esiste un concetto di base riguardante la competizione dei
lavoratori nelle diverse fabbriche, sia all’interno di uno stesso paese che di
questo con i paesi stranieri. In altre parole, i lavoratori di una fabbrica
probabilmente considerano gli altri lavoratori loro nemici e per tale motivo
fanno concessioni ai loro stessi datori di lavoro per poterli aiutare a
competere meglio.
E' forse difficile, dunque, capire perché Marx affermerebbe che il capitalismo
genera un lavoratore che guarda alle sue esigenze come a "leggi naturali a sé
evidenti"? Quando si pensa alla dipendenza del lavoratore dal capitale, è forse
difficile afferrare il senso del perché il capitalismo continui ad esistere?
Dopo tutto Marx non solo propose che il capitalismo "abbattesse ogni tipo di
resistenza", egli continuò col dire che il capitale può "contare sulla
dipendenza del lavoratore dal capitale e tale dipendenza scaturisce dalle stesse
condizioni della produzione e ne trae la garanzia per il suo perdurare" (899).
Il capitalismo tende, in breve, a produrre i lavoratori di cui ha bisogno.
Bene, potreste pensare che stia presentando un'idea distorta del capitalismo,
facendo in modo che il capitalismo sembri un sistema senza contraddizioni, un
sistema economico stabile atto a far recapitare i beni di consumo. Che ne dite
delle crisi economiche? Il capitalismo non urta inevitabilmente con le crisi,
quelle inerenti la sua natura? Alcune persone predicono il collasso del sistema
una volta a settimana. Non mi vengono in mente tanti argomenti per cui la crisi
permanente del capitalismo incominciò nel momento della sua nascita. Ma il
sistema ha delle crisi, periodi in cui i profitti calano, la produzione collassa,
la gente si ritrova senza lavoro. Tali crisi allora non servono a dimostrare che
occorre un nuovo sistema?
Senza dubbio una crisi economica conduce la natura del sistema economico alla
base. Quando ci sono persone disoccupate, risorse, macchinari e fabbriche e,
allo stesso tempo, persone con il bisogno effettivo di ciò che si potrebbe
produrre, è quasi ovvio che la produzione capitalista non si basa più sui
bisogni umani ma, piuttosto, solo su ciò che potrebbe essere prodotto per
ottenere un profitto. Questo è il momento di mobilitare gente per esaminare il
sistema. Tuttavia, fintanto che la gente continua a pensare che il capitale sia
necessario, allora le soluzioni a cui essi guardano non saranno mai quelle in
grado di sfidare la logica del capitale. (La stessa cosa risulterebbe vera nel
caso delle crisi ambientali che il capitalismo produce). Fintanto che si
considera il capitale come la fonte dei lavori, la fonte della ricchezza, la
fonte di qualunque tipo di progresso, allora la risposta dei lavoratori sarà
quella che non si ha voglia di uccidere la gallina che fa le uova d’oro.
Lo stesso punto deve essere relazionato con le lotte dei lavoratori contro il
capitale per ridurre il giorno lavorativo, migliorare le condizioni lavorative
ed aumentare i salari; punti diretti tutti contro gli specifici datori di lavoro
ed anche rivolti ad irretire lo stato usandolo per i propri interessi. Fintanto
che i lavoratori non considereranno il capitale come il loro stesso prodotto e
continueranno invece a pensare come di consuetudine ai bisogni di floridi
capitalisti (e nel loro stesso interesse), essi esiteranno dal produrre azioni
che mettono in crisi il capitale. Fino a che i lavoratori non rinunciano
all’idea che il capitale è necessario, uno stato sotto il loro controllo agirà
per facilitare quelle condizioni che faranno estendere la riproduzione del
capitale. Qui, in poche parole, vi è la triste storia della democrazia sociale
che, nonostante la prospettiva soggettiva di alcuni dei suoi sostenitori,
finisce col rinforzare il ruolo del capitalismo.
Dunque, ritorniamo alla nostra domanda: cosa fa sì che il capitalismo possa
continuare ad esistere? Come fa il capitalismo a riprodursi come un sistema?
Penso possiate soffermarvi sulla risposta che vi sto dando: il capitale tende a
produrre la classe lavoratrice di cui ha bisogno. Produce lavoratori che lo
considerano necessario. Tale sistema ne risulta ingiusto in quanto richiede
costantemente di lottare per realizzare i propri bisogni, un sistema generato da
persone che ti usano, ed ancora un sistema in cui la riproduzione del capitale è
necessaria per la riproduzione di forze-lavoro stipendiate. Cosa fa sì che il
capitalismo possa continuare ad esistere? Le forze-lavoro stipendiate. La
nascita di forze-lavoro stipendiate è necessaria per la riproduzione del
capitale.
Nota che non ho fatto alcun cenno al patriarcato e al razzismo. Alcune persone
di sinistra sostengono che il patriarcato ed il razzismo sono condizioni
necessarie per l’esistenza del capitalismo. Penso che si debba distinguere tra
ciò che è necessario e ciò che è utile al mantenimento del capitalismo. Quando
parliamo di necessità diciamo che senza x, il capitalismo non può esistere. Non
penso che ciò sia altrettanto vero per il patriarcato ed il razzismo. Il
capitale certamente usa il razzismo, il patriarcato, le differenze nazionali ed
etniche, per dividere la classe lavoratrice, per indebolirla e per dirigere le
sue lotte lontano dal capitale. Ma si potrebbero trovare molti altri modi per
dividere ed indebolire i lavoratori. Come si potrebbe anche fare senza il
razzismo o il patriarcato o come si potrebbe anche vivere con stipendi più alti
o giorni lavorativi più corti (proprio come si è fatto senza apartheid ed il
ruolo dei bianchi nel Sud dell’Africa). Il capitale, comunque, non potrebbe
proprio convivere con una classe lavoratrice che, sì, capisce che il capitale è
il risultato dello sfruttamento (per esempio che la ricchezza a cui far fronte
non è il prodotto dei lavoratori nella loro collettività) ma che è anche
preparata a lottare per mettere fine a tale sfruttamento.
Ovviamente, una classe lavoratrice con queste caratteristiche non cade dal
cielo, non quando il capitale produce lavoratori che considerano le richieste
del capitale leggi naturali a sé evidenti. La risposta, dunque, è che il partito
d’avanguardia fornisce una coscienza socialista ai lavoratori ignoranti? Perché
i lavoratori che sono i prodotti del capitale dovrebbero prestare attenzione a
questi messaggi esterni? Questo quadro sembra come uno scenario d’inevitabile
irrilevanza ed isolamento.
Lasciatemi sostenere, tuttavia, che il quadro non è necessariamente così
desolato come sembra. Gli operai non sono semplicemente il prodotto del
capitale. Sono formati (e si formano) attraverso tutti i tipi di relazioni in
cui esistono. E trasformano essi stessi attraverso le loro battaglie, non solo
quelle contro il capitale ma anche contro quelle altre relazioni come il
patriarcato ed il razzismo. Anche se queste lotte potrebbero prendere piede
interamente all’interno dei confini delle relazioni capitaliste, nel tentativo
di ingaggiare lotte collettive, la gente sviluppa un nuovo senso di sé. Sviluppa
nuove capacità, nuove coscienze sull’importanza delle lotte collettive. La gente
che diventa soggetto rivoluzionario attraverso tali lotte, entra in relazione
col capitale in modo diverso ed, entrando in contrasto con coloro che non sono
in crecita, è aperta a sviluppare una comprensione della natura del capitale.
Ma sono soltanto aperti a questa comprensione. Tutte quelle azioni,
dimostrazioni e lotte in sè non possono andare oltre il capitalismo. Poichè lo
sfruttamento appare per lo più come un'ingiustizia e la natura del capitale è
mistificata, queste lotte conducono soltanto alla richiesta d’imparzialità, per
ottenere giustizia all'interno dei rapporti capitalisti, ma non giustizia oltre
il capitalismo. Esse generano nel migliore dei casi un sindacato o una coscienza
social-democratica, una prospettiva che è limitata da un senso continuo di
dipendenza dal capitale, in altre parole, limitata dai rapporti capitalisti.
Poichè la risposta spontanea delle persone in crescita, in sè, non va oltre il
capitale, la comunicazione della natura essenziale del capitalismo appare
critica al livello di non-riproduzione.
Per coloro che si trovano nella stretta del capitale, tuttavia, è necessario
fare molto di più che una semplice comprensione della natura del capitale e
delle sue radici nello sfruttamento. La gente ha bisogno di credere che un mondo
migliore è possibile. Essi vogliono sentire che vi è un’alternativa, un qualcosa
per cui ha valore lottare. A tale rispetto, descrivendo la natura di
un’alternativa socialista ed analizzando le deficienze ed i fallimenti degli
sforzi del 20 secolo, ne risulta una parte essenziale del processo nel quale le
persone metteranno fine al capitalismo.
Quelli di noi a sinistra non stanno attivamente cercando di comunicare la natura
del capitalismo e non stanno esplicitamente lavorando per la creazione di
un'alternativa sociale, sono parte della spiegazione che riguarda il perché il
capitalismo continua ad esistere.
*I numeri parentetici si riferiscono a Michael A. Lebowitz, Beyond Capital:
Marx’s Political Economy of the Working Class (Palgrave Macmillan, 2003)
Michael A. Lebowitz è professore emerito di economia alla Simon Fraser
University, Vancouver, ed è l'autore di Beyond Capital: Marx’s Political
Economy of the Working Class [Oltre il capitale: l'economia politica della
classe lavoratrice, ndt] (Palgrave Macmillan, 2003). Attualmente vive e lavora
in Venezuela.
Questo saggio è basato su una lezione tenuta alla Rebuilding the Left Conference
[Conferenza per ricostruire la sinistra, ndt] alla Simon Fraser University il 23
settembre 2003.
Michael A. Lebowitz
Fonte: http://www.monthlyreview.org/
Link: http://www.monthlyreview.org/0604lebowitz.htm
Volume 56, Numero 2, giugno 2004
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di PATRIZIA DANIELE
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