L'economista tedesco Wilhelm Hankel ha diretto il dipartimento
per l'emissione della moneta e del credito nel ministero dell'Economia di Karl
Schiller, l'esponente di spicco della socialdemocrazia dell'epoca Brandt che
fece parte della Große Koalition del 1966. Tra il 1959 ed il 1967 il prof.
Hankel ha anche diretto e coordinato la sezione di economia sociale e
pianificazione della Kreditanstald für Wiederaufbau, l'ente di ricostruzione a
cui va gran parte del merito del miracolo economico tedesco del dopoguerra.
Passò poi a dirigere la Hessischen Landesbank. Attualmente insegna
all'Università di Francoforte ed ha ottenuto numerosi riconoscimenti
nell'ambiente universitario internazionale, tra cui il centro di Bologna della
John Hopkins University. Nel 1997, insieme ai professori Wilhelm Nölling,
Joachim Starbatty e Karl Albrecht Schachtschneider, Hankel presentò ricorso alla
Corte Costituzionale tedesca contro l'introduzione dell'euro.
Michael Liebig lo ha intervistato per l'EIR all'inizio di aprile.

Per investimenti netti s'intende la
differenza tra gli investimenti effettivi e la stima del deprezzamento del
capitale fisico esistente. Nel caso del capitale pubblico, questo capitale
fisico è rappresentato dalle infrastrutture. Quando gli investimenti pubblici
non bastano nemmeno a coprire il deterioramento fisico del capitale esitente
essi diventano negativi.
EIR: La Germania è campione del mondo per le esportazioni,
ma l'economia interna del paese è in ginocchio, tanto che gli investimenti
pubblici scendono ormai sotto zero (vedi figura 1). Questa è una tendenza che
si aggrava di anno in anno, da quando è stato introdotto l'euro. Può
descriverci il rapporto tra la politica dell'Unione Monetaria Europea e la
perdita crescente di vigore dell'economia nazionale tedesca, cosa di cui fanno
le spese anche i nostri vicini?
Hankel: Con l'adesione all'Unione Europea (UE) e soprattutto all'Unione
Monetaria Europea (UME) la Germania è stata condannata a pagare il doppio
delle spese. Il pubblico sa soltanto che la Germania è quella che versa la
parte più consistente di tutto il bilancio dell'UE, e questa realtà non è
stata affatto cambiata da Maastricht e dall'UME. Meno noto, ma più importante,
è il fatto che la Germania è il principale "fornitore di capitali" al resto
degli stati dell'UME. Ed è ciò che la sta dissanguando.
L'enorme surplus commerciale e dei conti correnti della Germania non porta,
così come avveniva in passato - quando c'era ancora il marco tedesco - ad una
situazione in cui la Germania espande la sua ricchezza nazionale in ragione
del suo surplus, in capitali investiti all'estero, o riserve monetarie - in
ogni caso ricchezza finanziaria tangibile. Questa ricchezza prodotta in
Germania viene bruciata dai deficit delle altre economie nazionali dell'UME.
La Germania rastrella valuta estera e titoli d'investimento stranieri per
tutta l'eurozona, ma da questa ricchezza non trae più benefici, perché questi
vanno ai paesi deficitari dell'UME.
Bilancia commerciale dei paesi dell’euro
|
Commercio con partner fuori dell’eurozona
escluso il commercio interno all’eurozona
|
Paese
|
Miliardi di Euro |
Germania
|
+99,9 |
Austria
|
+13,1 |
Francia
|
+12,6 |
Irlanda
|
+10,1 |
Finlandia
|
+7,3 |
Italia
|
+2,1 |
Lussemburgo
|
-1,2 |
Belgio
|
-3,5 |
Portogallo
|
-5,6 |
Grecia
|
-14,1 |
Spagna
|
-42,7 |
Olanda
|
-54,8 |
Totale eurozona
|
+23,3 |
|
Le cifre della bilancia commerciale di Olanda e Belgio
sono distorte a motivo delle attività portuali che in realtà interessano
tutta l’eurozona. Così, ad esempio, il grosso del petrolio che transita
per Rotterdam è qui calcolato nell’import dell’Olanda.fonte:
eurostat
|
Paesi come Francia, Spagna, Italia o Grecia hanno deficit correnti notevoli
che essi non colmano "stringendo la cinghia" e rinunciando ai consumi ed alle
importazioni. Ricevono invece un trasferimento finanziario dalla Germania. Dal
punto di vista macroeconomico siamo i campioni europei quando si tratta di
pagare, e questo in misura persino maggiore del nostro esborso per il bilancio
dell'UE.
Si potrebbe anche dire: senza i pagamenti tedeschi non soltanto Bruxelles
fallirebbe, ma anche la maggioranza dei paesi dell'UME finirebbe in una crisi
provocata dai deficit dei loro conti correnti. L'elemento grottesco in questo
costrutto dell'UME è che la Germania, che trasferisce così ricchezza ai suoi
vicini, al tempo stesso è condannata a "tirare la cinghia" nel contesto del
"Pacchetto di stabilità e crescita" del Trattato di Maastricht (vedi figura
2).

In altri termini: anche gli USA hanno un deficit enorme, da loro
però sono gli stranieri, che hanno una loro moneta nazionale, che "acquistano"
titoli in dollari, tanto che una fetta crescente dei titoli di proprietà finisce
in mani straniere; in Europa invece un paese deficitario come la Spagna non cede
nessuna proprietà, e il suo deficit è "bilanciato" con il surplus tedesco. La
Germania è un creditore nella sua propria moneta, l'euro, ed è qui che si
colloca il sussidio indiretto verso le economie deficitarie.
Di conseguenza, mentre le imprese tedesche esportano facendo profitti,
l'economia nazionale nel suo complesso - che non ha più una sua moneta - non si
arricchisce. Anzi, sia il reddito che gli investimenti diminuiscono mentre a
crescere è solo la disoccupazione.
EIR: Possiamo dunque parlare di un vero e proprio drenaggio delle
capacità produtive?
Hankel: Proprio così. Formulerei la cosa in questi termini: le imprese
tedesche fanno ancora i loro incassi dalle esportazioni, ma l'economia nazionale
non ottiene quell'aumento di ricchezza nazionale che ne dovrebbe conseguire. In
effetti abbiamo un aumento del reddito, ma attraverso l'unione monetaria questo
va ai paesi deficitari.
EIR: Questo drenaggio si manifesta nell'economia reale in una caduta del
reddito medio e in una diminuzione dei mezzi per investire, specialmente per
mantenere ed espandere le infrastrutture, categoria in cui occorre comprendere
anche sanità ed istruzione.
Hankel: Sì. Una caduta del potenziale economico. Rispetto agli anni
Sessanta e Settanta il potenziale per la crescita è caduto catastroficamente. Le
imperse ovviamente fanno dei buoni profitti con le esportazioni, ma l'economia
nazionale nel suo complesso perde vera ricchezza.
Per le imprese non fa differenza se i profitti sono fatti in patria a
all'estero, e va bene così dal loro punto di vista. Ma l'economia nazionale
dipende dal mantenimento e dalla crescita del suo capitale reale, giacché
occorre finanziare gli investimenti futuri e i progetti infrastrutturali. Il suo
potenziale dev'essere mantenuto ed aumentato. Mentre invece in Germania il
potenziale economico viene sacrificato sull'altare dell'Europa.
EIR: Gli investimenti netti sono ormai quasi negativi
Hankel: Lo vediamo ogni giorno come lo stato sociale e la spesa pubblica
stanno andando in rovina. Sulle strade ci sono le buche, persino in autostrada.
Sono cose che si vedevano solo nel terzo mondo. E questa è l'economia più forte
dell'UE.

EIR: L'emorragia di risorse tedesche provocata dai
meccanismi dell'UME è considerato il "segreto di pulcinella" in molti ambienti
bancari e politici al di fuori della Germania. Secondo lei perché la Bundesbank
non si è mai espressa su questo tema?
Hankel: Questo è dovuto ad un misto di codardia politica e di mancanza di
competenza in macroeconomia. Questo è molto evidente nel commento con cui la
Bundesbank introduce il proprio rendiconto, in cui si nota come da almeno cinque
anni i risparmi superano gli investimenti. La formazione di ricchezza monetaria
è molto più grande degli investimenti capitali reali. Questo è uno scandalo, da
un punto di vista dell'economia politica. In teoria non si investe perché non ci
sono soldi, ma in realtà questa scarsità di denaro non è reale. Dalle cifre
della Bundesbank emerge chiaramente che il surplus dei risparmi rispetto agli
investimenti viene trasferito all'estero.
E' così perché i risparmiatori sono costretti ad investire da qualche parte per
ottenere interessi e percepire un reddito. Questo conduce all'acquisto di titoli
stranieri ma anche alle follie speculative. Un parte crescente della formazione
di ricchezza monetaria non è più investita nell'economia reale ma nella sfera
monetaria. Come direbbe giustamente Lyndon LaRouche, a detrimento dell'economia
fisica. Questo è un aspetto molto evidente del fatto che il capitale viene
sprecato. L'altro aspetto di questo spreco sta nel trasferimento tedesco nel
contesto del sistema dell'euro.
La Bundesbank registra questo fatto, ma non lo pone all'ordine del giorno per
discuterlo. E la spiegazione dovrebbe essere ovvia: la Bundesbank non ritiene
più che il suo scopo centrale sia quello di amministrare il potenziale
finanziario della nazione in modo tale da garantire che la ricchezza nazionale
sia mantenuta e accresciuta. A comandare adesso è la Banca Centrale Europea, di
cui la Bundesbank è un membro. Evidentemente quest'ultima non vuole assumere una
posizione scomoda in seno alla BCE sollevando il problema di questo spreco
oltraggioso di capitale. (...)
EIR: In Italia si sta discutendo dell'euro. Se abbandonarlo o meno. I
favorevoli all'euro sostengono che se si abbandona l'eurozona bisognerà
dichiarare un'insolvenza il giorno dopo, e quindi l'Italia si troverebbe nella
situazione in cui si trovò l'Argentina. Che cosa può dirci al proposito?
Hankel: Con la sua appartenenza all'UME, ogni governo italiano, sia esso
orientato a destra o a sinistra – come questo vale anche per la Germania – ha
perso ogni possibilità di seguire una propria politica economica e
congiunturale: non si riesce ad intervenire né sui tassi d'interesse né sui
tassi di cambio. Queste leve sono bloccate, per questo l'euro danneggia
l'Italia.
D'altro canto l'Italia non ha ancora risolto il problema dell'unificazione tra
Nord e Sud, che iniziò 150 anni fa. Il Sud è ancora sussidiato dal Nord, che ha
un livello di produttività paragonabile alla Baviera.
Con l'entrata nell'UME una parte dei sussidi per il Sud furono trasferiti nell'UME.
L'Italia, nel suo complesso, è una delle principali beneficiarie dell'eurozona.
I tassi d'interesse italiani avevano raggiunto le due cifre prima dell'entrata
nell'UME.
Quando fu certo che la lira si sarebbe dissolta nell'euro, i tassi d'interesse
crollarono dal 14% agli stessi livelli tedeschi. Fu solo questo a risollevare il
bilancio italiano, abbonandogli 75 miliardi di euro all'anno. L'Italia è il
paese più indebitato dell'eurozona. Se l'Italia dovesse ora lasciare l'euro la
lira si svaluterebbe notevolmente mentre i tassi d'interesse aumenterebbero più
del doppio.
EIR: Abbiamo un problema simile anche in Germania?
Hankel: Effettivamente si può dire senza esagerare che quello che è il
Mezzogiorno per l'Italia, lo sono gli ex stati della Germania Orientale per noi.
Nella riunificazione tedesca del 1990 la questione monetaria fu risolta in
maniera completamente sbagliata. La decisione di adottare un tasso di cambio
sbagliato tra la moneta della vecchia Germania orientale e il marco tedesco non
ha fatto che esasperare il gap di produttività che separava le due zone
economiche.
Lo sgretolamendo della base industriale che si è verificata nei nuovi stati
tedeschi è stata principalmente la conseguenza di un errato tasso di cambio.
In questi stati della ex RDT, come avrebbero potuto sopravvivere le imprese,
note per la loro bassa produttività, se dovevano pagare dei salari ad un cambio
1:1? Come potevano mantenere i loro mercati tradizionali nell'Europa orientale e
nella Russia, o nel Terzo Mondo, se i prezzi erano determinati con un cambio 1:1
con il marco? Una sopravvalutazione stimabile fino al 300 o 500 volte in più!
Quelle imprese prima licenziarono i dipendenti e poi fallirono. La Treuhand
[l'ente che liquidò le imprese di stato della ex RDT] fece un danno colossale
con la sua politica di privatizzazioni e liquidazioni a tappe forzate. Ma il
colpo decisivo era già stato somministrato dalla politica monetaria della
riunificazione del 1990. (...)
EIR: Alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX secolo vi furono due
esperimenti di unione monetaria, quello Scandinavo e quello della "Unione
Monetaria Latina". Tutti e due questi esperimenti si rivelarono fallimentari.
Che lezione se ne può trarre per la situazione attuale?
Hankel: Le unioni monetarie "nordica" e "latina" fallirono a motivo della
diversità dei ritmi d'inflazione. Negli anni Venti gli altri paesi dell'Unione
Latina avevano un ritmo d'inflazione maggiore di quello della Francia, tanto che
questa fu costretta ad abbandonare l'Unione, a metà degli anni Venti, per
bloccare l'emorragia di oro.
Lo stesso avvenne con l'unione monetaria di Danimarca, Norvegia e Svezia, durata
fino agli anni Trenta. I tassi di cambio erano rigorosamente regolamentati, ma
l'inflazione negli anni successivi alla prima guerra mondiale tendeva a separare
le monete. Quando alla fine degli anni Venti all'inflazione si venne ad
aggiungere il problema della disoccupazione, la Svezia decise di porre fine
all'unione. Aveva bisogno di mettere mano alle leve monetarie per combattere la
disoccupazione.
Il crollo di ambedue le unioni monetarie dimostra che quando si creano dei
conflitti tra gli stati nazionali storicamente sviluppati e ancorati alla
costituzione, da una parte, e dall'altra le unioni monetarie sovrannazionali, a
sopravvivere sono gli stati nazionali.
Ed è giusto che sia così. Lo abbiamo visto anche su scala mondiale, con il
crollo dello standard aureo. Lo standard aureo fu abbandonato nel 1931 dai
principali partecipanti, la Gran Bretagna e la Germania prima di Hitler.
Decisero così perché dovevano avere mano libera per combattere la depressione e
la disoccupazione. La convinzione che le unioni monetarie possano condurre ad
un'effettiva integrazione tra gli stati è e rimane una utopia.
Al contrario, le unioni monetarie sovrannazionali non fanno che esasperare
tensioni e attriti tra gli stati nazionali fino al punto in cui o si abbandona
l'unione o lo stato va in frantumi.
EIR: C'è una lezione in questa storia?
Hankel: Certo. Quando si arriva ad una lotta per l'esistenza tra lo stato
e l'unione monetaria, lo stato deve abbandonare l'unione monetaria se vuole
sopravvivere. Ci potevamo risparmiare i disagi e le amarezze di questa
esperienza se si fosse studiata attentamente l'opera di un economista che aveva
previsto tutto questo: Friedrich List. Già nella prefazione del "Sistemi
nazionali di economia politica" scrisse che un'economia mondiale "cosmopolita"
era un'invezione, un'utopia.
EIR: Adam Smith la pensava diversamente
Hankel: List considerava Adam Smith un ciarlatano al quale l'unica cosa
che interessava davvero era la supremazia dell'economia inglese sul resto del
mondo, e cercò di presentare questo in veste "scientifica". Il nucleo centrale
del pensiero di List è che l'economia è sempre legata ad un territorio, e dev'essere
sempre vista nelle sue caratteristiche e condizioni specifiche. L'economia è una
scienza politica ed ha una chiara missione: garantire la prosperità
dell'economia nazionale.
Ed a tale proposito non c'è nessuno che lo dica in maniera più chiara di
Bismarck, che teneva sempre il libro di List sul suo comodino.
EIR: Qual è la lezione che occorre trarre oggi da List, dall'unione
doganale e da Bismarck?
Hankel: List aveva messo a punto per la Germania un "piano per fasi" che
fu poi ripreso e applicato da Bismarck. Primo, occorreva aggregare
economicamente e politicamente i diversi stati tedeschi. Questo cominciò nel
1834 con l'Unione Doganale. Occorreva poi costituire un mercato interno che
richiedeva l'eliminazione delle dogane interne e la creazione di ferrovie e
canali, linee di comunicazione che al tempo di List scarseggiavano. Fu soltanto
dopo l'unificazione politica della Germania, come stato, che maturò la
situazione per una moneta unica.
La tragedia di Friedrich List è che tra i suoi contemporanei furono davvero
pochi a comprenderne il pensiero. Fu per questo che finì suicida. Fu davvero un
grande economista, molto al di sopra dei suoi contemporanei, anche se non
ottenne nessun riconoscimento accademico in Germania. Fu l'America la prima a
riconoscere l'eccellenza della sua opera. In Germania Lista fu compreso solo
nella generazione successiva, specialmente tra le élite prussiane dei cosiddetti
Kathedersozialisten [una scuola di accademici che promuoveva un ruolo deciso
dello stato negli affari economici e sociali].
Il miglior discepolo di List fu Bismarck, il quale non aveva soltanto un buon
fiuto politico ma anche delle convinzioni molto solide in materia di economia.
EIR: Lei ritiene valido per la Germania l'indirizzo che va dall'Unione
Doganale di List a Bismarck?
Hankel: Si. Bismarck si attenne alle indicazioni del "piano per fasi" di
List, e rafforzò l'Unione Doganale.
Si rifiutò però di allargarla all'Impero Austriaco, che era composto da
nazionalità disparate, e pose fine all'unione monetaria austro-prussiana nel
1867. Bismarck arrivò all'unità tedesca, come stato, con un passaggio
intermedio, quello dell'Unione Nord Tedesca. Fu solo dopo l'unificazione dello
stato tedesco del 1870-1871 che si passò ad istitituire la moneta unica, nel
1873. Per Bismarck era ovvio che non si poteva mescolare la questione monetaria
con la questione della predominanza politica della Prussia. Per questo evitò di
adottare il tallero prussiano come moneta dello stato tedesco, che poteva
sembrare la cosa più logica, preferendo il marco della città stato di Amburgo.
EIR: Può parlarci dell'influsso sulla Germania di Bismarck di Henry C.
Carey, l'economista più rappresentativo del "sistema americano di economia
politica"?
Hankel: Carey conosceva List, e viceversa. Ambedue erano contrari
all'idea che l'economia sia semplicemente "commercio e profitto", cioè
l'economia dei mercanti. Ambedue combatterono contro l'ideologia
"liberoscambista". Favorendo le idee di List fu naturale per Bismarck favorire
anche le idee di Carey. Bismarck non vedeva di buon occhio quegli economisti
tedeschi che rimanevano accecati dall'ideologia liberista britannica. Si rendeva
conto dell'importanza rivestita dalla realizzazione di collegamenti ferroviari e
di vie d'acqua; basti pensare ai canali che collegano il mare del Nord e il Mar
Baltico, o le grandi opere nei fiumi come il Reno e l'Elba. Egli si preoccupò
inoltre di proteggere la produzione interna, sia agricola che industriale.
Ma c'è ancora molto da approfondire per mettere in risalto le reciproche
influenze e sinergie tra la teoria economica e politica dell'America e
dell'Europa nel XIX secolo.
EIR: Da Bismarck abbiamo il motto: i politici europei parlano sempre "in
nome dell'Europa" quando non vogliono mettere avanti i loro interessi nazionali
puri e semplici.
Hankel: Questo vale certamente per gli stati dell'UE e dell'UME, con
l'eccezione della Germania. In questo si collocano le vere cause del 'sistema di
Maastricht' e dell'introduzione dell'euro, in cui fu eliminata la sovranità
monetaria e finanziaria tedesca. Con questo torniamo di nuovo a List: l'economia
non può essere separata dal territorio nazionale. Chi nega questo fatto ha delle
ragioni che tiene nascoste, che sono degli interessi commerciali e politici.
L'"Europa di Maastricht" politicamente è stata voluta da gente che aveva paura
della Germania; e questo poteva essere comprensibile solo subito dopo la seconda
guerra mondiale. In secondo luogo, nella stessa Germania, l'"Europa di
Maastricht" è stata sostenuta dagli "eternamente colpevoli", coloro che credono
in una sorta di "peccato originale" tedesco e che riducono tutta la storia
tedesca ad Hitler e Auschwitz. Ma la Germania non è fatta solo di Hitler e
Auschwitz.
L'"Europa di Maastricht" è un costrutto buracratico sovrannazionale, dominato
dagli interessi particolaristici degli "eurocrati", interessi economici e
finanziari. La burocrazia dell'UE o della BCE non sarebbe in grado, neanche se
lo volesse, di fornire o garantire il benessere essenziale alla collettività:
istruzione, infrastrutture, o previdenza sociale. Questo bene pubblico può
essere fornito e finanziato soltanto dallo stato nazionale. Ciò che la
Commissione dell'UE ha combinato a tale riguardo negli ultimi anni dovrebbe
dissipare gli ultimi dubbi. Mi pare dunque la cosa più deleteria distruggere gli
stati dell'Europa per una chimera, qualcosa che non si vuole davvero e che
comunque non è raggiungibile.
C'è una questione che ho discusso sovente con dei colleghi, come il prof.
Schachtschneider o il prof. Nölling [presidente della Landeszentralbank Hamburg,
uno degli istituti regionali di Bundesbank, ed esponente della direzione di
Bundesbank]. Ritengo che lo stato sociale rappresenti una tappa molto importante
che l'arte dello stato è riuscita a raggiungere, dopo le fasi dell'assolutismo e
degli stati territoriali aggressivi. E' un grande progresso il fatto che
nell'Europa di oggi gli stati democratici non si considerino delle entità
militari che ricercano l'aggressione o l'espansione territoriale ai danni dei
vicini. Gli stati europei vedono la politica interna, del lavoro e sociale come
saldamente ancorata alla costituzione. E si sentono obbligati verso lo stato
sociale, verso il bene comune dei cittadini. Ed è ovvio che questo è un compito
che può essere espletato esclusivamente dallo stato. Ma per far questo però lo
stato ha bisogno degli strumenti adeguati.
EIR: L'Europa sta arrivando al bivio. Mentre aumentano gli squilibri
dell'UME, si acuiscono le crisi politiche. Che cosa potrebbe scatenare un crollo
dell'intero "progetto euro/UME"?
Hankel: In primo luogo ritengo che il nesso tra la "crisi europea" e il
fallimento dell'unione monetaria dovrebbe essere materia di un'ampia discussione
politica. Ancora non ci siamo arrivati. Abbiamo visto come la Costituzione
dell'UE sia stata respinta in Francia e in Olanda, ma si è trattata di una
repulsione di natura "viscerale". Se fosse stato invece un fenomeno più
"cerebrale", allora si sarebbe dovuto dire: la crisi in Europa, specialmente nei
grandi stati, è venuta con l'euro ed è destinata a permanere fin quanto resterà
l'euro. Si tratta di mettere in chiaro che è necessario tornare ad un ripristino
della capacità di agire economicamente come degli stati nazionali. Questa
capacità dev'essere ripristinata.
In tal modo non si danneggia l'Europa. Al contrario, si dispone del requisito
necessario affinché l'Europa possa crescere assieme.
Abbiamo bisogno di tutt'e due le cose: lo stato sociale nazionale, con la sua
prosperità, e la cooperazione europea. A proposito di tale sintesi c'è molto da
imparare dall'evoluzione storica della Svizzera. La Svizzera coopera nella
politica estera, di difesa e di sicurezza, ma mantiene una sua autonomia
interna.
EIR: Che cosa accadrà al sistema della moneta unica?
Hankel: Ritengo che debba essere riformato. Ritengo che in ogni caso si
debbano avere delle banche centrali nazionali, che abbiano facoltà di decidere
tassi d'interesse e tassi di cambio in rapporto alle esigenze della propria
economia.
Occorrono inoltre governi nazionali capaci di definire e realizzare la politica
economica. Questo è imprescindibile.
EIR: Che cosa ne pensa di una Europa/UME "ristretta"?
Hankel: Ho davvero poca considerazione per quest'idea di "salvare" l'UME
escludendo i paesi periferici con un alto deficit, e circoscrivere l'UME ad un
"nocciolo europeo". Credo che in tal modo si creerebbero solo più tensioni,
fratture, e conflitti. E' sempre sbagliato tornare indietro nella storia.
E soprattutto non c'è alternativa allo stato. Uno stato nazionale fondato sulla
solidarietà è sempre più stabile di qualsiasi "nocciolo europeo". (...)
Per non perdere la solidarietà e la cooperazione nella inevitabile riforma
monetaria - evitando così in particolare guerre dei cambi, che furono l'incubo
degli anni Trenta - l'euro può essere usato come "collegamento" monetario per
un'effettiva coordinazione delle monete nazionali.
EIR: Sul modello dell'ECU del Sistema Monetario Europeo del passato?
Hankel. Sì. Contrariamente a quanto credono molti banchieri centrali sono
convinto che uno standard monetario parallelo in Europa possa funzionare bene.
Le banche centrali lo hanno respinto sostenendo che non era praticabile. Per il
futuro, ma senza scadenze ravvicinate, si potrebbe pensare a trasformare poi
questa unità di conto, l'euro, in una moneta parallela, com'era stato previsto
dal "Piano Werner" del 1969.
In tal modo i cittadini in Europa potrebbero scegliere se avere i propri
risparmi in moneta nazionale o in euro, o in tutt'e due. Questa competizione
monetaria avrebbe effetti salutari molto stabilizzanti. Nessuno stato europeo
potrebbe permettersi di vivere al di sopra delle proprie possibilità e di
inflazionare la propria moneta rispetto a questo euro parallelo.
La mia idea di fondo per la riforma monetaria europea è comunque questa:
acconsentendo alla distruzione delle sue "locomotive economiche", o al macello
dei buoi che dovrebbero trainare il carro, l'Europa non ci guadagna niente. Oggi
a correre i pericoli maggiori, in Europa, è la Germania. E' qui che occorre
effettuare per prima la riforma monetaria, facendo così in modo che con la
crescita economica tedesca l'Europa possa recuperare forza e capacità di
competere.
Ogni economista serio lo sa: lo sviluppo economico reale comincia a casa
propria, non attraverso l'integrazione monetaria e di certo non con dei
pagamenti trasferiti dall'estero.
EIR: In conclusione. Qual è la sua prognosi per i prossimi 12 mesi per
l'euro e il dollaro?
Hankel: Qui abbiamo a che fare con due monete malate, ma che non si
infettano a vicenda, anzi si sostengono a vicenda.
Questo è dovuto alla labile struttura dei mercati finanziari mondiali. Il
dollaro si appoggia agli investimenti provenienti dall'Asia, alla formazione di
riserve in Asia, dove il prestigio del dollaro non è minato come in altre parti
del mondo.
Al tempo stesso il mondo arabo sta ovviamente cercando di passare dal dollaro
all'euro. Si tratta però di un'impresa doppiamente criticabile, giacché non
comporterà una stabilità durevole dell'euro - i suoi problemi e tensioni interni
sono semplicemente troppo grandi. Pertanto l'Europa andrebbe incontro ad una
nuova dipendenza, questa volta da partners imprevedibili.
Direi quindi che il sistema finanziario mondiale è e rimane labile, poiché
nessuno può prevedere da che parte andranno le due monete mondiali malate.
Inoltre, il regime monetario mondiale può saltare in aria domani. Se i tassi
d'interesse salgono negli USA gli europei non possono scegliere ma debbono fare
altrettanto, altrimenti rischiano una crisi monetaria internazionale.
Se anche l'Europa aumenta gli interessi potrà forse evitare una crisi
internazionale ma aggraverà di sicuro la propria crisi economia interna. Abbiamo
già abbastanza problemi con le differenze negli interessi reali in seno all'UME.
Se a ciò si aggiunge un aumento generale dei tassi d'interesse la situazione
potrebbe sfuggire al controllo. Ma se la BCE dovesse invece decidere di seguire
una politica di interessi bassi il cambio dell'euro cadrebbe. Questo è il
dilemma.
L'unica soluzione reale alla situazione monetaria globale la conoscete. L'ho
spesso ripetuto, e altrettanto ha fatto Mr. LaRouche: abbiamo bisogno di una
nuova Bretton Woods.
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